Sono nato romantico. Una conversazione con Nam June Paik di

di 24 Ottobre 2024
Untitled, 1991. Tecnica mista, 160 x 122 x 10 cm. Collezione Privata.
Untitled, 1991. Tecnica mista, 160 x 122 x 10 cm. Collezione Privata.

Rosma Scuteri: Tu vieni considerato un componente del gruppo Fluxus. Nelle tue performance ho notato che facevi delle citazioni a proposito dell’arte o, se vuoi, dell’anti-arte Fluxus, in maniera però del tutto personale. Puoi parlarmi dei tuoi rapporti con i componenti di Fluxus e del tuo personale approccio agli elementi di quell’“estetica”?
Nam June Paik: Il primo personaggio che mi viene in mente è George Maciunas. Lui si comportava come un bambino che irrita i genitori perché vuole essere amato; il suo era un atteggiamento teatrale. Giuseppe Chiari, un altro membro di Fluxus, era un uomo “molto serio”, non era orientato verso la moda del momento, lui è determinato e continua a lavorare; non viaggia ed è molto orgoglioso di se stesso. Qualche volta lo vedo ma non ho niente da dirgli, amo il suo lavoro e ho stima di lui. Un’altra caratteristica di Fluxus fu il cinismo, un cinismo sarcastico che ha in Dick Higgins il suo rappresentante più significativo. Suo padre fu educato a Oxford negli anni Trenta ed era un comunista, crebbe in un ambiente pieno di cultura. Vostell ha parlato di lui come di un ragazzo fortunato, troppo fortunato. L’elemento di cinismo lirico in Fluxus fu rappresentato da Emmet Williams e Robert Filliou. Un altro fatto estremo sempre di Fluxus fu il purismo, George Brecht ne incarnò la tensione. Non ha mai cambiato le sue opinioni. L’infantilismo di George è un po’ simile a quello di Ben Vautier. Non sono un tipico “elemento Fluxus”, facevo le mie cose prima che Fluxus fosse fondato; ognuno faceva cose differenti prima di Fluxus. Maciunas studiava disegno industriale. La semplicità fu anche molto importante in Fluxus. Loro sono stati una specie di artisti preconcettuali. Io avevo già sviluppato il mio stile intorno al 1960. Personalmente fui influenzato da La Monte Young, Dick Higgins, George Brecht. Non volevo l’influenza di Fluxus nei miei pezzi, le cose Fluxus le consideravo “bagatelle americane” e continuavo i miei studi sui temi del video e della televisione, lavorando su questi. Questi interessi ogni tanto si rivelavano costosi e complicati. Un’altra caratteristica di Fluxus fu quella del fare i lavori da sé, lavori a buon mercato e non la tipica arte da museo. Se non si è indipendenti economicamente, dicevano quelli di Fluxus, bisogna fare dei lavori che costano poco, perché i soldi devono servire anche a sopravvivere. In quel tempo il Ministro sovietico della cultura, e Maciunas era d’accordo, richiedeva agli artisti di lavorare otto ore al giorno e, nel tempo libero, di dedicarsi alla loro arte. Maciunas mi consigliò di trovare un lavoro. Un “lavoro di televisione” era molto complicato da trovare. Mi consigliò di rivolgermi ad alcune gallerie e musei di Uptown. Io risposi che era un lavoro differente, il mio. Avevo bisogno di attrezzature. In questo mi differenziavo da quelli di Fluxus; anche le mie performance non posso definirle tipicamente Fluxus. Una è Il tributo a John Cage, un lavoro complesso, con tre pianoforti, audiotape-recorder e oggetti di teatro. L’altro fu lo Studio per pianoforte. Avevo bisogno di John Cage in persona. Il pezzo per Stockhausen risultò alla fine più semplice. George non amava molto le mie performance, le definiva troppo “barocche”. A lui piacevano i miei videotape, in questi non esprimevo me stesso come nelle performance, ero una specie di romantico “fuori moda”. A quel tempo le possibilità del video erano molto limitate, a George piaceva la “fredda meccanica” del video, aveva un gusto differente.

RS: Il tuo interesse originario per la musica si estende e viene analizzato nell’ambito delle performance. Culmina, alla fine, nella Video Arte. Potresti descrivermi i legami esistenti all’interno di questa ricerca?
NJP: Ricordo soprattutto la mia prima esperienza. Stavo volando da Calcutta al Cairo, era il mio primo viaggio nel “mondo occidentale”, un volo di mezzanotte. Tutti stavano dormendo e c’era una sola luce accesa, la notai, tutti erano stanchi, era un lungo viaggio per quei tempi, il 1956. Una ragazza occidentale stava leggendo, non sapevo di che nazionalità fosse, poteva essere tedesca, italiana, inglese, per me forse stava leggendo Balzac o qualcosa d’altro, poteva essere qualsiasi cosa. Poi ho pensato: “Oh, ma certo, è una ragazza americana che sta leggendo un libro di fantascienza, un essere umano molto cerebrale, concettuale”. Mi colpì questo tipo di feticismo dell’idea, il feticismo del cervello; questo accadde prima che conoscessi John Cage, il gruppo Fluxus e prima ancora che mi coinvolgessi nella Video Arte. Era il 1956. Pensai che quella fosse una cosa del futuro. Una cosa dominata dalla mente. Una cosa dominata dal cervello, non dalla mente e dal sentimento. Quando ho incontrato John Cage e George Maciunas ho pensato subito che erano due ragazzi “molto cerebrali”. Penso che in quel viaggio, a causa di quell’episodio, ci sia stata una “convergenza di estetica” in me. Andai a Tokyo, dopo, soprattutto per costruire il mio robot, e studiare “televisione a colori”, perché a quel tempo, il 1964, in Europa non c’era la televisione a colori; interessi, questi, entrambi “cerebrali”. Dopo, sono andato in America a vedere tutti questi “lavori del cervello” come la musica e la grafica di John Cage, lavori del tipo “antiromantico”. Sono nato romantico; questo mi rende un po’ differente da quelli di Fluxus. I coreani, sai, sono molto romantici. Cercavo di tenere lontana questa mia tendenza, tentare l’impossibile; è interessante, vero? Quando faccio qualcosa di tecnico creo nuove combinazioni, sono molto preciso in questo lavoro, la mia forma espressiva, stranamente, potrebbe non comunicare questo perché il prodotto, alla fine, diventa parte del computer e della grafica.

TV-Buddha, 1974. Videoinstallazione, 160 x 215 x 80 cm. Collezione Stedelijk Museum Amsterdam. © Nam June Paik Studios
TV-Buddha, 1974. Videoinstallazione,160 x 215 x 80 cm. Collezione Stedelijk Museum Amsterdam. © Nam June Paik Studios.

RS: Per to le possibilità del mezzo televisivo sono infinite. Anni fa hai scritto dei trattati sulle implicazioni che questo potrebbe avere nel campo dell’educazione e dell’arte contemporanea. Potresti farmi degli esempi a proposito…
NJP: Ci sono già abbastanza videocassette nella vita di ogni giorno, si potrebbe però andare oltre. Le ricerche in questo campo richiedono soldi, per quella particolare rivoluzione che stanno costruendo. Ora anche i ragazzi rivoluzionari hanno bisogno della macchina, dell’aria condizionata, dell’IBM elettrica. Yoko Ono mi ha raccontato una volta di aver chiesto a Maciunas, che stava regalando tutti i suoi oggetti agli amici perché dall’America partiva per l’Europa, l’IBM elettrica e lui gliel’ha rifiutata. L’aveva comprata, in Germania, nel 1961. A proposito del mezzo televisivo nell’educazione e nell’arte contemporanea, bisogna mettere in evidenza il fatto che dobbiamo aspettare la fine del processo che veramente realizzerà questo. Bisogna aspettare lo sviluppo successivo della Video Arte; potrebbe essere quello dell’uso di uno schermo grande e piatto, una grande immagine piatta sul set della televisione, un monitor più grande. Quando questo succederà si potrebbe creare un mercato anche nelle gallerie e nei musei. La ragione per cui non possiamo vendere le installazioni video è perché queste richiedono troppo spazio. Nessuno compra le installazioni video per questo motivo, in alcuni casi non c’è neanche to spazio necessario per vivere. Dobbiamo aspettare quindi la venuta di questa enorme “parete televisione”. Prevedo sei o sette anni da ora per la messa a punto di questa innovazione. Perché i prezzi diminuiscano sul mercato prevedo invece una decina d’anni… una lunga strada da percorrere…

RS: In un’intervista rilasciata l’anno scorso, hai detto che solo nel gioco d’azzardo e nell’informazione non ci sono assolutamente limiti e, soprattutto, che i bisogni dell’informazione sono senza limiti. Mi diresti qualcosa in più?
NJP: Io vengo da un paese povero come la Corea e so quali sono i bisogni necessari e quali non lo sono. Si ha realmente bisogno di un frigorifero, per esempio. In ogni paese povero tutti hanno comperato un frigorifero, per loro era necessario; prima del frigorifero si è avuto bisogno della lavatrice, quando ero piccolo tutti lavavano la biancheria a mano, tutte le donne avevano la funzione di lavatrice, compresa mia madre. La televisione anche, era un oggetto “cruciale”, in ogni paese povero tutti lavorano come pazzi per poter comperare una televisione. L’automobile viene subito dopo come bisogno necessario. C’è un punto di saturazione, anche in questi bisogni, lo stesso avviene per il cibo, mangi una tazza di riso e un po’di bistecca, hai bisogno di alcool per diventare di buon umore e hai bisogno di sesso. Tutto questo fino a un punto di saturazione. Quando si pensa alla macchina dell’informazione si pensa a una macchina senza limiti. Non c’era la macchina Xerox quando io sono andato all’università, ma non ne avevo bisogno. Più macchine Xerox hai e più senti il bisogno delle Xerox. Nelle università americane è tutto un andare e tornare dalle macchine fotocopiatrici. Il motivo per cui l’economia russa non funziona bene è perché non si permette a molti di usare la Xerox, perché questo potrebbe creare dei problemi. Il telefono non è un mezzo utile ma piacevole, si può chiacchierare con il telefono. L’informazione aumenta i bisogni dell’informazione. Non c’è un punto di saturazione nell’informazione, come nel rapporto con il cibo o con il sesso, dove arrivi a un punto di soddisfazione. Nell’informazione c’è la possibilità di creare, artificialmente, delle leggi. Il gioco d’azzardo è un po’ così, tu giochi fino a che non hai venduto anche la tua casa. Quando ero bambino nella mia casa in Corea c’era un vecchio… in Corea ci sono molti disoccupati, o meglio non del tutto disoccupati ma inattivi per la maggior parte del tempo. È una situazione quasi cronica dove questi personaggi vivono con i parenti, perché per loro è meglio così. Il vecchio che viveva con noi, facendo ogni tanto piccoli lavoretti in casa, mi disse un giorno: “Tu puoi bere quanto vuoi, se vuoi bere, tu puoi fare l’amore quanto vuoi, se vuoi fare l’amore, ma stai attento con il gioco d’azzardo, potresti vendere la tua casa, la casa di tua moglie e alla fine anche tua moglie”. Il gioco d’azzardo è un gioco di informazione intellettuale, è quello che io ora riscontro nei videogame. Non riuscivo a capire come si potessero spendere tanti soldi nei videogame. Noi videoartisti abbiamo anticipato questo bisogno dei videogame, mi sembra veramente un nonsense. Un’informazione genera altra informazione come succede per i topi. Questo è quello che io chiamo “metabolismo artificiale”. Ci sono due tipi di metabolismo, quello naturale, mangiare, defecare, fare l’amore e andare. Tu hai questa impostazione; oppure tu hai un’impostazione di tipo “cerebrale” e questo è il metabolismo artificiale, lo stesso, secondo me, della ragazza americana che leggeva fantascienza di notte sull’aereo per il Cairo, nel 1956.

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Rosma Scuteri