“EUR_Asia” e Gala Porras-Kim “A Recollection Returns with a Soft Touch” Museo delle Civiltà / Roma di

di 9 Gennaio 2025

Il Museo delle Civiltà di Roma è in corsa. Procede spedito assecondando un progetto di rinnovamento pluriennale, ambizioso e inclusivo che nel 2026 lo renderà il più grande museo italiano dedicato alle arti e culture asiatiche. Grazie al piano strategico del Ministero della Cultura che rientra nei Grandi Progetti Beni Culturali, l’istituzione ha appena inaugurato un capitolo di aggiornamento che è sostenuto e stimolato da una profonda “riflessione sistemica sulle identità e le funzioni che un museo antropologico contemporaneo può assumere tanto rispetto alla responsabilità nei confronti del passato che custodisce quanto alle urgenze del presente in cui il museo opera”, come sostiene Andrea Viliani, direttore dal 2022. Questo progetto prevede l’unione di un patrimonio culturale inestimabile che attraversa millenni e confini e che si compone di due importanti fondi collezionistici e documentari: quello dell’ex MNAO-Museo Nazionale d’Arte Orientale co-fondato nel 1957 da Giuseppe Tucci e confluito nell’eredità del Museo delle Civiltà nel 2016, e quello delle collezioni etnografiche di provenienza asiatica dell’ex Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” fondato nel 1875 presso il Collegio Romano e le cui opere sono state trasferite nel Palazzo delle Scienze (uno dei due poli del Museo delle Civiltà) tra la fine del 1960 e l’inizio del 1970 e da allora mai più esposte al pubblico. A queste due collezioni, si affiancano quella del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, quella del Museo dell’Alto Medioevo, quella dell’ex Museo Coloniale e le collezioni dell’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, a manifestazione della vocazione enciclopedica che contraddistingue il Museo delle Civiltà che dal 2016, anno della sua fondazione, accoglie circa 2.000.000 tra opere e documenti negli 80.000 mq di sale espositive e depositi.

Indirizzato al ripensamento di queste due collezioni non solo da un punto di vista allestitivo, e quindi al loro rinnovamento in termini di fruizione e accessibilità da parte dei pubblici, questo cantiere porta con sé anche una valenza di carattere “storico, istituzionale e metodologico”, continua Viliani. Un’operazione che va ad inquadrare il Museo delle Civiltà come luogo di studio e ricerca che ha sempre più la responsabilità di imbastire un discorso che oltrepassi le contrapposizioni tra Oriente e Occidente, generando al contempo narrazioni compartecipate e dialoghi fertili e incrociati tra opere e oggetti di uso quotidiano, ognuno con la propria storia, memoria e provenienza. Tutto ciò per rispondere alle necessità di un presente dove i musei (anche quelli, sempre più numerosi, che vivono sotto la logica della privatizzazione) sono agenti attivi chiamati a una continua e rinnovata rilettura dell’arte che custodiscono, tenendo da un lato lo sguardo fisso su un’eredità culturale che va preservata, ma altresì valorizzata aprendo quel medesimo sguardo agli interrogativi più urgenti dell’oggi. L’opinione secondo la quale “i musei che possiedono in questo momento una collezione storica sono il più fruttuoso terreno di prova per una contemporaneità multi-temporale e non presentista” – per dirla con le parole di Claire Bishop in Radical Museology – ha allora ancora oggi un carattere più urgente che mai.

All’interno di questo disegno di progressiva musealizzazione permanente delle collezioni, la mostra temporanea “EUR_Asia” – dove EUR evoca il quartiere romano nel quale si colloca il Museo delle Civiltà, dal nome della mai inaugurata Esposizione Universale di Roma del 1942 – offre un primo spunto di riflessione “museografica e storica” che rende omaggio alla storia delle Collezioni di Arti e Culture Asiatiche del Museo. Il progetto – la cui sezione principale è stata curata dai responsabili scientifici delle collezioni Paola D’Amore, Pierfrancesco Fedi, Maria Luisa Giorgi, Laura Giuliano, Michael Jung, Gabriella Manna, Loretta Paderni, Paola Piacentini, Massimiliano Alessandro Polichetti, coordinati dal RUP Laura Giuliano – è realizzato in collaborazione con il MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino e mappa una serie di connessioni tra manufatti, documenti d’archivio, nuove produzioni, indagini diagnostiche, credenze, tecniche artigianali e materie naturali, in un’esplorazione che attraversa tutto il territorio dell’Asia, preparando i pubblici in maniera ancora più consapevole a quella che sarà l’identità multiforme del futuro riassestamento delle collezioni. Il registro esperienziale offerto dalle cento opere e testimonianze installate al piano terra e al primo piano dell’edificio è valorizzato dalla suddivisione del percorso in cinque sezioni, ognuna delle quali non solo espone il valore oggettuale di una serie di capolavori, ma ne evidenzia, e soprattutto ne condivide, metodologie di studio e indagine a partire dalle loro provenienze e dalle svariate interpretazioni che i loro incontri mettono in luce.

 

Mostra nella mostra, la terza sezione “A Recollection Returns with a Soft Touch” ospita l’omonima installazione audio video dell’artista di origine colombiano-coreano-americana Gala Porras-Kim che con quest’opera conclude il suo percorso biennale come Research Fellow del Museo delle Civiltà e Artist in Residence presso il MAO. Curato da Davide Quadrio, Anna Musini con Francesca Filisetti, Matteo Lucchetti e Andrea Viliani, il progetto si snoda all’interno di una struttura che evoca un tempio, al centro del quale si erge un pilastro che ospita un buddha con le mani davanti a sé aperte e poste in verticale, in segno di protezione e rassicurazione, frutto della collaborazione di Andrea Anastasio con l’associazione di donne Insha-e-Noor di Nuova Delhi. Coppie di mani, ricoperte dai classici guanti in cotone per archiviazione, animano, invece, quattro monitor installati in vetrine e collocati agli angoli di questa area “protetta”. Sono le mani dei curatori e curatrici delle collezioni asiatiche del Museo delle Civiltà che agli occhi di Gala Porras-Kim incarnano il principale strumento di conoscenza istituzionale delle collezioni. Spostando l’attenzione dall’oggetto alla personalità di chi questi manufatti li conserva, cura, studia, maneggia e tramanda sotto quella che l’artista definisce “un’ansia conservativa” dell’istituzione museale, Porras-Kim gli ha chiesto di selezionare un solo oggetto della collezione a loro caro e di “aprirsi” ad esso, raccontandone il proprio legame, tanto personale quanto professionale: ne sono emersi aneddoti, funzioni, significati, descrizioni e storie di vita che vengono fruiti dal pubblico come dei voice over sottotitolati in inglese. Dopo la registrazione, i video sono stati lavorati traendo ispirazione dalla tecnica del pepper ghost che ne ha annullato la presenza dell’oggetto, restituendone però l’illusione di percepirlo tridimensionalmente. Le opere hanno assunto così un carattere spettrale, come se mostrassero un gesto di cura che resta sì sospeso ma che al contempo conferisce un certo grado di materialità ad una serie di ipotetiche storie ed interpretazioni. È curioso notare come i movimenti delle mani si mostrano inizialmente titubanti, per poi diventare più sicuri nel “maneggiare” l’oggetto prescelto. Alcune teche collocate al centro del tempio espongono invece classicamente i capolavori “cancellati” nei video, riaffermando la loro presenza fisica e le funzioni culturali e rituali che li caratterizzano.

Con questa opera frutto di un lungo lavoro di analisi sui concetti di catalogazione, lettura e interpretazione e di riflessione sulla storia della conservazione, Porras-Kim ha restituito in maniera diretta un processo lento e prezioso che spesso resta invisibile dietro la storia di una collezione: quello dalla “portata umana” che silenziosamente si prende cura di un manufatto in modo così maniacale da diventare parte vitale della sua sopravvivenza nel tempo e nello spazio. La restituzione che ne dà l’artista parte sempre dal presupposto che esista una “relazione sensibile” con tutte le collezioni museali e che dentro ai display spesso statici delle teche ci siano oggetti “mossi” da sentimenti, azioni e reazioni altrui. “A Recollection Returns with a Soft Touch” apre quindi a una metodologia di ricerca che abbatte in qualche modo le barriere temporali e scientifiche, facendo emergere negli oggetti di studio una soggettività che è sempre lì presente per comprenderne il passato e immaginarne un ipotetico futuro. Ciò amplifica e aggiunge valore all’operazione che il Museo delle Civiltà sta intraprendendo su scala più ampia con il capitolo dei Grandi Progetti Beni Culturali. Perchè “questo guardare alla storia restando concentrati sul presente”, continua Bishop, “non vuole uno spettatore incantato in una contemplazione auratica di singole opere, ma uno consapevole di avere di fronte questioni e posizioni da leggere e magari contestare […] Il contemporaneo allora non è più una questione di periodizzazione o un discorso, ma piuttosto un metodo o una pratica, potenzialmente applicabile a ogni periodo storico.” Gala Porras-Kim, con il suo modo di far ricordare e ri-collezionare (recollection) una serie di opere, e “EUR_Asia” lo hanno qui ampiamente dimostrato.

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Giovanna Manzotti