“Il Collezionista” è una sezione strutturata in una serie di interviste alle personalità che costituiscono il collezionismo italiano, è un campionamento di attitudini, gusti, visioni che mostra la varietà e le peculiarità delle collezioni.
Cristiano Seganfreddo: Come hai iniziato a collezionare arte? Colpo di fulmine o lenta ossessione?
Nicole Saikalis Bay: Inizialmente è stato un misto di curiosità e passione: un “colpo di fulmine” verso l’astrazione e la geometria, ereditato dalla mia formazione in architettura. Ma con il tempo, ho continuato a scoprire nuovi linguaggi, nuove storie e nuovi artisti. Così quella scintilla iniziale si è trasformata in un percorso sempre più strutturato, quasi una piccola ossessione positiva.
CS: Qual è stata la tua prima opera? Te la ricordi ancora?
NSB: In realtà non ce n’è una sola. All’inizio mi affascinava un intero momento dell’arte italiana moderna, che comprendeva autori come Carla Accardi, Melotti, Castellani o Tancredi. Ho cominciato a collezionare opere di quegli artisti quasi contemporaneamente: ognuna è stata uno “scatto” in avanti nella mia esplorazione.
CS: Collezionare è più istinto o strategia?
NSB: Sono entrambe le cose. L’istinto mi spinge a innamorarmi di un’opera in modo quasi immediato, ma cerco sempre di fare ricerca, di capire chi è l’artista, la sua storia, il contesto. La combinazione di queste due dimensioni rende la collezione personale ma anche coerente nel tempo.
CS: C’è un’opera che hai inseguito a lungo e poi hai perso? O peggio…rifiutato e poi rimpianto?
NSB: Ogni tanto capita di vedersi sfuggire un pezzo che ti incuriosisce molto — magari per un tempismo sbagliato o perché non eri del tutto convinto in quel momento o che ti mancava il budget. Tuttavia, credo che ogni mancata occasione ti insegni qualcosa di nuovo: a volte è un segnale che ancora non eri pronto, altre volte semplicemente arriva il momento giusto per un’altra scoperta.
CS: Cosa ti fa dire “questa la voglio” in un secondo?
NSB: La sincerità dell’opera: quando riesce a trasmettere un’emozione e a raccontare la visione dell’artista con immediatezza. Se, a distanza di ore, continuo a pensarci, è il segno che ha davvero toccato qualcosa di profondo.
CS: Un artista sottovalutato su cui punteresti tutto?
NSB: Più che un solo nome, mi piacciono le voci che provengono da aree poco esplorate dal mercato occidentale, talvolta dal cosiddetto “Global South”. Spesso lì si trovano talenti che offrono sguardi inediti e storie ancora “fuori dai radar”. Credo molto in chi riesce a proporre linguaggi nuovi o a reinterpretare in modo originale la tradizione.
CS: Cosa pensi del mercato dell’arte oggi? Giungla o parco giochi?
NSB: Forse un po’ entrambe le cose. È dinamico, competitivo, a volte spiazzante. Ma è anche un enorme “laboratorio” dove si incontrano gallerie, artisti e collezionisti che condividono idee, creano reti e fanno progetti insieme. Il mercato, se affrontato con la giusta consapevolezza, può diventare un’occasione di scambio culturale oltre che economico.
CS: Meglio una collezione coerente o un mix di sorprese?
NSB: Dipende dalla personalità del collezionista. Io credo che la coerenza non debba chiudersi in rigidi confini di stile o di epoca: può esserci un filo conduttore anche in un mix di sorprese. L’importante è che ogni opera sia frutto di un reale coinvolgimento e di un dialogo con l’artista.
CS: L’opera più folle che possiedi?
NSB: “Folle” è soggettivo, ma ho alcuni lavori concettuali e installazioni che possono spiazzare un pubblico più tradizionale. Lo si può intendere anche come curioso. Mi affascina chi sperimenta forme o materiali curiosi e non convenzionali, chi integra performance, materiali insoliti o elementi sonori. Sono opere che sfidano la percezione e non lasciano indifferenti. Per esempio un’opera di Heemin Chung, artista coreana, una scultura in metallo, gel e resina di un uomo — o forse un bambino — piegato, umile, in preghiera. Un corpo che sembra prepararsi alla rinascita, più consapevole, più forte. L’opera richiama la pratica rituale del Chobun, diffusa nella provincia coreana di Gyeongsangnam-do, in cui il corpo viene legato alla terra o agli alberi affinché l’anima possa liberarsi. Un gesto estremo che segna il passaggio tra la morte e la trasformazione. La scultura diventa così simbolo di questo ciclo eterno.
CS: Se dovessi salvare solo un pezzo della tua collezione, quale sarebbe?
NSB: I miei figli: sono opere site-specific e, temo, non replicabili.
CS: Arte e investimento: binomio o falso mito?
NSB: Sicuramente l’arte ha anche un valore di mercato. Ma se si comincia a collezionare pensando solo al rendimento, si rischia di perdere il vero senso di collezionare. Il valore artistico, culturale e di scambi personali, alla lunga, è ciò che rimane. L’investimento diventa una conseguenza, non il motore principale.
CS: Meglio scoprire nuovi talenti o inseguire i grandi nomi?
NSB: Entrambe le strade sono legittime, e seguiamo entrambe strade in contemporanea. L’emozione di sostenere un giovane artista, o uno ancora poco conosciuto, e vederlo poi crescere, è qualcosa di davvero speciale.
CS: Hai mai comprato un’opera e poi cambiato idea?
NSB: Non in modo radicale. In genere, scelgo con cura e non mi sono ancora separata dai pezzi che acquisto.
CS: Dove finisce il collezionista e inizia il mecenate?
NSB: Quando smetti di chiederti “che cosa aggiungo alle mie pareti?” e inizi a chiederti “che cosa aggiungo al mondo?”. Da lì nasce la Saikalis Bay Foundation, un cantiere permanente dove l’ego diventa infrastruttura pubblica. Per me, il passaggio avviene quando decidi di dare supporto all’arte non solo come arricchimento personale ma come contributo alla comunità. Finanzi progetti, biennali d’arte, residenze d’artista, istituzioni o avviando nostre iniziative come viaggi e visite di WeArt Experience, cercando di creare opportunità per altri. È una missione, un investimento culturale, più che economico.
CS: L’arte che ami di più è quella che capisci o quella che ti sfida?
NSB: Amo quella che mi sfida, anche se magari non la comprendo subito. L’arte che mi mette alla prova, che costringe a pormi domande, è quella che di solito si rivela la più profonda. Penso che un’opera “difficile” possa diventare indimenticabile proprio perché ti costringe a esplorare nuovi punti di vista.
CS: Se dovessi spiegare la tua collezione in tre parole?
NSB: Passione, ricerca, condivisione.
CS: Cosa manca ancora alla tua collezione dei sogni?
NSB: Tutto ciò che non ho ancora immaginato – e per fortuna la mia immaginazione è senza fine.
CS: Il consiglio che daresti a chi vuole iniziare a collezionare?
NSB: Studiare, visitare mostre, parlare con gli artisti, frequentare gallerie e fiere, non avere fretta. Lasciarsi guidare dalla curiosità e non solo dal valore di mercato. E poi ricordare sempre che un’opera d’arte non è un semplice “oggetto”: è espressione di un pensiero, di un’emozione, della storia dell’umanità.
CS: C’è un pezzo che hai visto in un museo e avresti voluto portarti a casa?
NSB: Adoro, ad esempio, certe installazioni di scultura minimalista che trasformano lo spazio in maniera poetica. Come Dan Flavin a Villa Panza, e le grandiose installazioni nel Turbine Hall della Tate come il sole di Olafur Eliasson. Ma credo anche che rimangano più belle dove sono, visibili e condivise con tutti.
CS: Cosa rende un collezionista…un vero collezionista?
NSB: La volontà di dare un senso al proprio percorso, di raccogliere opere che parlino a lui o lei ma anche al mondo esterno. Un vero collezionista è curioso, aperto, capace di mettere in relazione storie, stili, epoche diverse. E, alla fine, è qualcuno che si prende la responsabilità di custodire e di tramandare un patrimonio di idee, non solo di oggetti. È per questo che è nato Circolo, come un laboratorio di idee, una piattaforma non profit dedita al sostegno di nuovi progetti e collaborazioni con artisti emergenti, realtà piccole e medie locali, e scambi internazionali.