Il recente taglio dell’IVA al 5% sulle opere d’arte, tanto storico quanto necessario, ha riacceso in Italia una conversazione urgente sul ruolo dell’arte nella società. Non solo come valore culturale, ma anche come industria, come lavoro, come economia concreta e diffusa. Una misura apparentemente tecnica che ha messo a nudo l’inadeguatezza di molte narrazioni attorno all’arte contemporanea, ancora troppo spesso descritta come un capriccio elitario, anziché come un settore produttivo a pieno titolo, connesso a filiere, mestieri, territori e politiche pubbliche.
Tiziana Di Caro, gallerista e intellettuale tra le più lucide della scena italiana, è una delle voci più chiare e risolute in questo passaggio storico. La sua è una testimonianza diretta di come il sistema dell’arte possa farsi compatto, collettivo, interlocutore politico. Nell’intervista che segue, Di Caro racconta il dietro le quinte di una riforma attesa da anni, la complessità del lavoro diplomatico tra istituzioni e professionisti, le energie e le fragilità di un settore che ha bisogno di visione, riconoscimento e fiducia. Non si limita però a celebrare un traguardo: rilancia con lucidità sulle criticità ancora aperte – dalla burocrazia che ostacola gli spazi indipendenti alla necessità di riconoscere gli artisti come veri lavoratori – tracciando una mappa concreta delle urgenze future.
Questa intervista arriva nel momento in cui, accanto al giusto entusiasmo, si moltiplicano commenti, puntualizzazioni, critiche. È proprio per questo che Flash Art sceglie di ospitarla: per dare spazio alla complessità, per spostare il discorso oltre i titoli, per ribadire che l’arte è, oggi più che mai, un bene comune. Da difendere. Da costruire. Da capire.

Cristiano Seganfreddo: L’IVA al 5% sulle opere d’arte è un risultato storico. Ma quando e da dove è partita questa battaglia? E con chi l’avete condotta?
Tiziana Di Caro: La richiesta di abbassare l’IVA sulla vendita di opere d’arte è oramai storica. Credo sia stata una delle prime cose di cui ho sentito parlare quando ho aperto la galleria, oramai 17 anni fa. La storia è troppo lunga da raccontare, per cui mi limito agli ultimi anni. È del 2022 una direttiva europea che concede l’iva agevolata nell’ambito degli Stati membri dell’Unione. La direttiva è stata uno strumento chiave, ma per dimostrare che c’erano le condizioni perché l’arte rientrasse è stato fatto un lavoro enorme, condotto con tenacia in primis dal Gruppo Apollo che si è fatto interlocutore con gli organi governativi preposti, nel caso specifico il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Una riforma fiscale, perché venga attuata, necessita di documentazione a supporto della fattibilità. Il Gruppo Apollo e Banca Intesa hanno quindi commissionato a Nomisma un’indagine finalizzata al reperimento dei dati relativi al mercato che l’arte genera. Al netto dei numeri, che sono stati lo strumento principale a dimostrazione della possibile attuazione, l’indagine Nomisma ha dimostrato che a beneficiare della riforma non sarebbero stati solo i collezionisti e le gallerie. Il sistema del mercato dell’arte si compone di artisti, corniciai, allestitori, trasportatori, fonditori, tornitori, laboratori fotografici e artigiani di diversa natura. Il cosiddetto “Gruppo Apollo” di fatto è un’Associazione che raccoglie gallerie, case d’asta, imprese di logistica e tra le missioni che si propone c’è il sostegno alla filiera dell’arte nell’interlocuzione con le istituzioni. Quindi non solo alle gallerie, ma a tutto l’indotto.
CS: Quali sono stati i momenti chiave in cui avete capito che era davvero possibile raggiungere questo obiettivo?
TDC: Dal punto di vista tecnico la speranza ci ha accompagnati per lungo tempo, ma la conferma ufficiale che il Governo Italiano stava finalizzando la riforma è stata il 27 marzo 2025, in seno alla presentazione del secondo rapporto “Arte: il valore dell’industria in Italia”, promosso dall’Associazione Gruppo Apollo e realizzato dall’osservatorio di Nomisma in collaborazione con Intesa Sanpaolo. È l’indagine di cui vi parlavo prima. È stata una giornata di lavori intensa, dove sono intervenuti i principali protagonisti che nel tempo si erano adoperati per dimostrare che l’attuazione della riforma non era importante, ma necessaria, idea che in quella sede fu ampiamente sostenuta dal Ministro Alessandro Giuli, da Roberto Marti, da Federico Mollicone, da Alessandro Amorese.
In questa stessa sede Nomisma, nella persona di Roberta Gabrielli, ha descritto le conseguenze che avrebbe avuto la riduzione per le due ipotesi che la direttiva europea prevedeva, ossia il 10% e il 5%, evidenziando come quest’ultima percentuale avrebbe avuto un impatto sull’intero comparto, non solo sostenibile, ma capace di rivitalizzare in maniera poderosa il mercato dell’arte.
Come giustamente aveva osservato, qualche tempo prima, Claudia Ciaccio, la vicepresidente dell’ANGAMC, durante la premiazione della sua galleria, La Galleria Zero …, ai Flash Art Italia Award, non si sarebbe trattato di un intervento assistenziale, ma strutturale, capace di valorizzare le risorse del territorio italiano, abbattendo la zavorra competitiva rispetto agli altri paesi europei.
La ricerca Nomisma ha dimostrato che se questo abbassamento non fosse stato attuato ci sarebbe stato un calo del mercato pari al 50%, e che nell’arco temporale di soli tre anni, sarebbe stato necessario, ma solo laddove possibile, far migrare le gallerie d’arte all’estero. L’impatto sarebbe stato deleterio, oltre che di perdita culturale anche in termini di posti di lavoro, con tutto quello che ne consegue.
CS: Quanto è stato difficile, nel concreto, far dialogare tra loro galleristi, associazioni, fiere e artisti?
TDC: Nell’ultima fase c’è stata una generale presa di coscienza, che ha aiutato molto. Non dico che sia stato semplice, però ammetto che tutti hanno dato un contributo a sostegno della riforma. Le associazioni di categoria hanno lavorato a strettissimo contatto coinvolgendo tutti, dico tutti. Hanno speso parole a sostegno dell’iniziativa i direttori dei musei, i direttori delle fiere, i collezionisti e gli artisti, i quali con la famosa lettera al Governo hanno voluto mettere nero su bianco le dinamiche di quella che oramai era diventata un’urgenza e confermando che la questione riguardava la totalità degli attori dell’arte, un’intera categoria a sua volta composta da professionalità differenti, ma imprescindibilmente connesse tra loro.
CS: L’arte contemporanea è stata riconosciuta come un valore pubblico. Cosa manca perché venga riconosciuta anche come urgenza politica?
TDC: Se quando parli di politica ti riferisci alle istituzioni il percorso che ha portato al raggiungimento dell’abbassamento dell’IVA ha dimostrato, finalmente, non solo una disponibilità all’ascolto da parte degli interlocutori istituzionali, ma a una visione comune rispetto al ruolo e al valore dell’arte in Italia.
Se invece vogliamo intendere la politica come l’insieme delle scelte che tutti noi facciamo quotidianamente per sostenere o combattere le battaglie a cui teniamo, allora il percorso mi sembra ancora lungo e tortuoso, visto che ancora in tanti, persino organici a questo mondo, pensano che l’arte sia qualcosa di elitario e pertanto ogni intervento atto a promuoverla debba essere considerato a beneficio di pochi, ricchi e privilegiati.
CS: La riduzione dell’IVA è una misura di mercato. Ma come può questa apertura fiscale tradursi in progettualità e sostenibilità culturale?
TDC: L’efficacia di questa misura di mercato si pone in una dinamica che è direttamente proporzionale alla progettualità e alla sostenibilità culturale. In qualità di gallerista sono molto orgogliosa delle considerazioni che ho sentito più volte di recente: le gallerie d’arte sono imprese, ma sono imprese culturali. Il miglioramento del sistema impresa ha necessariamente una ricaduta anche sul resto. In un momento di forte contrazione del mercato è fisiologico che i galleristi, in quanto imprenditori, facciano fatica a fare investimenti dal ritorno economico incerto e soprattutto non immediato, come può essere quello relativo alla promozione degli artisti delle ultime generazioni. Il benessere delle imprese gallerie ci mette in condizione di poter investire più serenamente nel futuro, non solo degli artisti con cui lavoriamo, ma dell’intero sistema a cui apparteniamo.
CS: Cosa dovrebbe fare oggi lo Stato per sostenere non solo chi vende arte, ma chi la produce, la ricerca, gli spazi indipendenti?
TDC: Innanzitutto attenzionarli di più. Per quanto riguarda gli artisti, di recente, finalmente lo strumento del dottorato di ricerca è stato adottato anche dalle Accademie. Ma in generale la formazione che nel tempo si trasforma in ricerca deve essere maggiormente protetta e promossa.
Io frequento tanto gli spazi indipendenti. Molti di essi si auto – finanziano, utilizzando diversi canali, ma assumendosi comunque un rischio. Avrebbero l’opportunità di disporre di bandi pubblici, ma questi risultano essere ancora troppo macchinosi, estremamente burocratizzati. Bisogna alleggerire il sistema, renderlo al contempo più chiaro e meno complesso. Di fatto gli spazi indipendenti non perseguono lo scopo del lucro, e rimangono tra i luoghi di sperimentazione più arditi e più coraggiosi. Come si fa a non pensare di premiarli in qualche modo?
CS: Che ruolo ha avuto Italics in questo processo? E perché è importante che esistano piattaforme comuni anche tra realtà diverse?
TDC: Italics ha impostato una comunicazione circa l’urgenza di questa riforma praticamente da subito, e poi per prendere parte ai lavori si è iscritto all’Associazione Gruppo Apollo. A differenza delle associazioni di categoria Italics è un consorzio che promuove la cultura e la bellezza diffusa del territorio italiano, ma essendo composto da gallerie (di arte antica, moderna e contemporanea) ha prontamente colto la necessità di far parte di un gruppo più ampio, che attraverso il lavoro di professionisti specializzati, ha operato con meticolosità, affinché si procedesse al raggiungimento di un obbiettivo che ribadisco essere fondamentale per tutte le categorie, di un unico sistema, molto variegato.
Al di là della possibilità di realizzare progetti comuni come Panorama e il Forum, l’opportunità di dare vita a relazioni, conoscenze, rapporti, che in questi anni Italics ha generato è impagabile.
CS: Il successo di questa azione collettiva può diventare un modello replicabile per altre rivendicazioni del sistema dell’arte?
TDC: È già un modello. La battaglia sull’iva è solo la prima di una serie su cui da tempo si sta già lavorando. Speriamo solo che continuino ad arrivare buone notizie.
CS: Se oggi avessi un minuto davanti a un ministro o a un premier, quale sarebbe la tua richiesta, secca, per il futuro dell’arte in Italia?
TDC: Riconoscere gli artisti per il vero ruolo che svolgono. Sono persone con abilità straordinarie, interpreti della storia passata, presente e futura. Per rendere sostenibile la pratica e lo sviluppo di queste abilità devono essere riconosciuti attraverso l’incremento della loro formazione come delle acquisizioni e delle mostre istituzionali. Bisognerebbe che fossero riconosciuti a tutti gli effetti come professionisti, perché fare arte non è un passatempo, né un’attività extra-lavorativa. Al contempo chiederei anche strumenti a sostegno di chi già si sta occupando della loro promozione.