
Al Hayya, fondata a Beirut nel 2020 e pubblicata in arabo e inglese, trasforma la rivista in dispositivo performativo che intreccia arti visive, scritture femministe e sound studies nella costellazione SWANA. L’ultimo numero, Dreams of Liberation, si comporta come un’azione curatoriale corale: raduna voci da Gaza e dalla diaspora per convertire la catastrofe quotidiana in linguaggio speculativo e documento vivente. La rarissima intervista a Leila Khaled, intrecciata al dialogo con Françoise Vergès, mappa genealogie di resistenza femminista con precisione chirurgica, mentre saggi fotografici di Maen Hammad, Amal Al-Nakhala, Nader Bahsoun, Sarah Kontar e Hannah La Follette Ryan inscrivono corpi e rovine in un atlante affettivo. Lo Studio Safar firma un design in cui margini, font e cuciture rispondono alle voci testuali come gesti coreografici; la pagina diventa una piazza, la carta una tenda improvvisata. Distribuzione bilingue, grammatura porosa e cromie sabbiate accentuano l’impressione di tenere tra le mani un frammento di archivio comunitario più che un semplice magazine. Dreams of Liberation reclama l’immaginazione come territorio strategico: sogno, rituale e militanza convergono per articolare un alfabeto capace di fendere l’assedio mediatico. Leggere Al Hayya equivale a un sit-in editoriale, inarrestabilmente urgente.