Roberto Spada. La forza tranquilla del collezionista di

di 9 Luglio 2025

Roberto Spada è una delle figure più solide e rispettate del collezionismo italiano. Con discrezione e intelligenza, ha costruito un percorso coerente, radicale, internazionale. Sempre puntuale nel sostegno all’arte contemporanea, è capace di intercettare energie nuove senza cedere alle mode, sostenendo progetti, artisti e idee con visione e misura.

Il suo gesto è culturale prima che economico. Dialogico prima che estetico. Non cerca visibilità, ma genera senso. In questa intervista racconta il suo approccio all’arte, al collezionismo, al mecenatismo come forma attiva di partecipazione e responsabilità.

Cristiano Seganfreddo: Il tuo approccio all’arte non è mai decorativo, ma sempre dialogico.
Che cosa ti muove realmente quando scegli di sostenere un progetto o di acquisire un’opera?
Roberto Spada: L’arte per me è un incontro, un dialogo che si instaura prima ancora di conoscere l’artista o la storia che sta dietro al lavoro. Quando un’opera mi colpisce, è come se mi parlasse direttamente, creando un legame immediato e profondo. Questo impulso emotivo è ciò che mi guida nella scelta di sostenere un progetto o acquisire un’opera.

CS: Hai costruito un percorso di collezionismo colto e radicale.
Quali sono i momenti fondativi della tua visione, le scoperte che ti hanno trasformato?
RS: La mia vera passione per l’arte è nata nel momento in cui ho iniziato a viverla come esperienza condivisa, fatta di viaggi, incontri e scoperta. Esplorare contesti culturali differenti — India, Iran e Israele — e confrontarmi con realtà artistiche emergenti, con galleristi e altri collezionisti, mi ha permesso di allargare lo sguardo oltre i confini abituali. È stato lì che ho capito quanto il collezionismo potesse essere uno strumento di dialogo con il mondo, capace di accogliere identità, contraddizioni e prospettive diverse. Da quel momento, il mio percorso ha preso una direzione più consapevole e radicale.

CS: Per te il collezionismo è un gesto di relazione. Con gli artisti, con i curatori, con le idee. Come scegli le persone e i progetti con cui entrare in risonanza?
RS: Scelgo di collaborare con persone e progetti che condividono una visione autentica e una passione sincera per l’arte. Il dialogo e la fiducia reciproca sono fondamentali. Mi interessa costruire relazioni durature, basate sull’ascolto e sulla condivisione di valori comuni, che possano arricchire sia la mia esperienza personale che quella collettiva.

CS: Spesso sostieni l’arte emergente con grande intelligenza e discrezione.
Qual è la tua lettura del sistema oggi? E quali crepe o potenzialità vedi nei modelli dominanti?
RS: Il sistema dell’arte contemporanea oggi vive una tensione evidente tra consolidamento e trasformazione. Da un lato, persistono logiche di mercato fortemente centralizzate, spesso guidate da dinamiche speculative e da circuiti ristretti; dall’altro, emergono pratiche che chiedono nuovi spazi di libertà, nuovi modelli di sostenibilità e relazioni più autentiche. In questo contesto, l’arte emergente rappresenta una risorsa preziosa: è lì che si muovono le energie più vive, i linguaggi più coraggiosi. Credo sia fondamentale intercettare queste energie prima che vengano inglobate o neutralizzate dai meccanismi dominanti, sostenendole con strumenti flessibili, fuori dalle logiche di vetrina.

CS: Il gesto culturale è anche uno stile.
Hai sempre agito con misura, ma anche con potenza simbolica. È una scelta consapevole?
RS: Sì, è una scelta consapevole. Credo nell’importanza di agire con discrezione, lasciando che siano le opere e le azioni a parlare. Il gesto culturale, per me, deve essere capace di generare riflessione e dialogo senza bisogno di clamore.

CS: C’è una forte identità italiana nel tuo sguardo, ma anche una grande apertura internazionale.
Come si coniugano, nel tuo percorso, l’attenzione al contesto locale e l’interesse per il globale?
RS: La mia identità italiana è un punto di partenza, una lente attraverso cui guardo e interpreto ciò che incontro. È un radicamento culturale che mi permette di riconoscere il valore del contesto, delle storie, delle specificità locali. Allo stesso tempo, cerco costantemente di tenere aperto lo sguardo: viaggiare, per me, è parte integrante del mio modo di collezionare.
Durante l’ultimo Gallery Weekend a Berlino, dove sono stato con un gruppo di amici, ad esempio, ho respirato un’energia straordinaria, — vivace, plurale, sorprendente. È lì che ho scoperto Sun Yitian, una giovane artista cinese di cui non sapevo nulla. Le sue opere mi hanno rapito immediatamente, senza alcuna mediazione. È stata una scoperta istintiva, come spesso accade con l’arte che mi colpisce davvero, e ho deciso di acquisirla.

CS: Milano è una città chiave per l’arte contemporanea, ma anche difficile.
Come vivi il tuo rapporto con questa città? E cosa pensi serva per potenziarne davvero il sistema culturale?
RS: Milano è una città dinamica e stimolante, con un panorama artistico in continua crescita. Tuttavia, per potenziare il sistema culturale, è necessario investire in spazi accessibili, promuovere continuamente la collaborazione tra istituzioni pubbliche e private, e sostenere iniziative che favoriscano la partecipazione attiva della comunità.

CS: Le mostre che ti hanno cambiato.
Quali sono state, negli anni, le esperienze artistiche che ti hanno fatto ripensare il tuo ruolo e la tua visione?
RS: Per motivi legati alla mia professione, non riesco sempre a partecipare a tutti gli appuntamenti del sistema dell’arte, ma cerco di esserci ogni volta che posso. La Biennale di Venezia resta per me un punto fermo, un’occasione imprescindibile per confrontarmi con visioni che spesso lasciano un segno profondo. È lì che, più di una volta, ho scoperto opere e artisti.
Negli ultimi anni, ho notato che le fiere internazionali — forse anche a causa della situazione economica — faticano a scommettere davvero sui giovani artisti, privilegiando spesso scelte più sicure. Per questo trovo che i gallery weekend rappresentino oggi una delle esperienze più vitali e stimolanti: percorsi meno canonici, più intimi, dove è possibile fare scoperte e costruire nuove relazioni.

CS: Che cos’è per te, oggi, essere un mecenate?
Non più solo chi dona, ma chi genera. Come definiresti il tuo modo di esserlo?
RS: Essere un mecenate oggi significa essere un facilitatore di processi creativi, qualcuno che crea le condizioni per l’espressione artistica e il dialogo culturale. Il mio approccio è quello di sostenere progetti e artisti in modo discreto ma incisivo, provando a contribuire alla crescita di un ecosistema artistico vibrante e inclusivo.

CS: Il futuro dell’arte si gioca anche fuori dai confini del mercato.
Come immagini il ruolo del collezionista nei prossimi anni? Più pubblico? Più sociale? Più concettuale?
RS: Immagino un ruolo del collezionista sempre più orientato alla condivisione. Oltre all’acquisizione di opere, il collezionista può diventare un promotore di iniziative e un sostenitore di artisti. Questo implica una maggiore responsabilità e una visione più ampia del proprio ruolo.

CS: Una frase per raccontarti.
Se dovessi dire chi sei oggi, nel sistema dell’arte, con una sola frase, quale sarebbe?
RS: Una collezionista che raccoglie, nel Caos [così ho definito la mia collezione] di scoperte e viaggi, opere capaci di aprire domande e orientare lo sguardo sul mondo.

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