Tomaso Binga “Euforia” Madre / Napoli di

di 7 Luglio 2025

“Euforia” è il titolo della mostra di Tomaso Binga a cura di Eva Fabbris e Daria Khan, al Museo Madre a Napoli. Un progetto il cui impianto allestitivo, firmato da Rio Grande, non si limita a ospitare le opere, ma ne diviene estensione sensibile, attivando nello spettatore un percorso che riflette i principi fondanti della poetica di Binga: l’ironia, la leggerezza e il gioco come strategie di profondità, come dispositivi per accedere a una consapevolezza altra, acuta. I temi affrontati dall’artista—al secolo Bianca Pucciarelli Menna—sono tutt’altro che leggeri. Si tratta, anzi, di nodi cruciali del dibattito politico e culturale contemporaneo: la rappresentazione del femminile, l’identità di genere, il corpo della donna e il suo complesso portato simbolico e sociale storicamente negato, occultato o ridotto a stereotipo. In questo scenario, l’operazione di Tomaso Binga si staglia come gesto sovversivo e rivelatorio. L’assunzione di un nome maschile, scelta programmatica e ironica, agisce come cortocircuito linguistico e ideologico: smaschera i privilegi patriarcali inscritti nel linguaggio e nei meccanismi del sistema artistico, producendo uno spiazzamento che diventa forma di resistenza.

Questa riflessione sull’identità, condotta sin dagli anni Settanta attraverso la pratica performativa, la scrittura, il collage e la poesia visiva e sonora, si configura come un’indagine radicale sulle possibilità espressive del corpo e della parola. Binga ha costruito una traiettoria sperimentale unica nel suo genere, promuovendo eventi d’avanguardia in cui suono, gesto, simbolo e immagine si contaminano, si intersecano, fino a lambire il confine dell’incomprensibile—una zona franca in cui i codici vengono sovvertiti per aprire spazi di senso inediti.

La mostra si configura come il più esteso progetto retrospettivo mai dedicato all’artista, articolando un’indagine cronologica e tematica sull’arco di oltre quarant’anni di attività. Un percorso che si compone di più di centoventi opere—incluse poesie visive, installazioni, fotografie, collage, materiali documentari e performativi—provenienti da raccolte pubbliche e private. Numerosi lavori, inediti o a lungo non visibili, sono riemersi per l’occasione, rendendo possibile una rilettura critica della complessità metodologica e concettuale che ha caratterizzato la sua pratica.

“Euforia” nasce da un confronto intenso tra l’artista e la curatrice Eva Fabbris. È una parola che accoglie molte sfumature: evoca energia, desiderio, vitalità, ma anche una forma di resistenza. In questo contesto, diventa un titolo-manifesto, capace di contenere tanto lo slancio creativo quanto la forza di una presa di posizione. Allo stesso tempo, l’euforia è anche ciò che si prova vivendo il presente: il gioco, la leggerezza, il sentirsi parte di qualcosa. Elementi che si ritrovano con forza nel lavoro dell’artista. Nonostante la sua opera sia ormai parte della storia dell’arte, Binga continua a dialogare con il presente, mantenendo viva una connessione autentica e intergenerazionale. La sua pratica artistica, infatti, non si chiude nel passato, ma resta aperta, dinamica, capace di ascolto e trasformazione.

Tra le molte opere presentate in questa retrospettiva, a mio avviso tre lavori in particolare si impongono come momenti chiave per comprendere la radicalità e la coerenza del percorso di una delle figure centrali della sperimentazione verbo-visiva italiana.
Con Alfabeto vocalico (1975), prende forma per la prima volta la “scrittura vivente”, gesto fondativo in cui il corpo dell’artista diventa segno alfabetico e strumento espressivo. Le vocali – elementi aperti, fluidi, legati alla voce – assumono un valore quasi simbolico, incarnando una grammatica della liberazione. Il corpo femminile si fa supporto e veicolo del linguaggio, scardinando il primato della parola scritta e introducendo un’idea di scrittura come presenza, respiro, incarnazione.
Questa tensione tra struttura e affetto si ritrova in Senza titolo (1973), parte della serie Grafici di storie d’amore. Su carta millimetrata, con tratto essenziale e ironico, Binga disegna i diagrammi dell’emotività. Le relazioni affettive diventano tracciati cartesiani, dove desiderio, attesa e disillusione si muovono lungo coordinate fittizie ma rivelatrici. È una mappatura sentimentale che ironizza sulla pretesa oggettività del dato e restituisce, invece, la complessità percettiva delle relazioni.
Il lavoro tra i più dichiaratamente performativi è Bianca Menna e Tomaso Binga. Oggi spose (1977), un’opera che mette in scena la fusione (e la tensione) tra identità legale e identità artistica. Il matrimonio tra i due sé dell’artista – celebrato pubblicamente, documentato fotograficamente – è un atto ludico ma tutt’altro che superficiale. Qui il linguaggio, ancora una volta, viene sovvertito: dal titolo che usa “sposa” al femminile al ribaltamento di simboli patriarcali, tutto è pensato per incrinare le strutture normative del genere e dell’autorialità.

In questi tre lavori, Binga rivendica la voce, il corpo e l’ironia come strumenti di disarticolazione dell’ordine simbolico. La sua è una pratica che attraversa la scrittura, ma non si accontenta della pagina; che tocca la performance, ma non si esaurisce nell’evento; che guarda al femminismo, ma con intelligenza, ambiguità e precisione.

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Gigiotto Del Vecchio