MATTA: un collettivo come frizione di

di 9 Settembre 2025

Un dialogo con MATTA significa entrare in una geografia di pensiero che attraversa arte, musica, comunità e linguaggi ibridi. La sua pratica, nomade e radicale, non si lascia definire da confini disciplinari, ma procede per collisioni e cortocircuiti. Questa intervista prova a restituire la densità di uno sguardo che vede nell’arte non una forma, ma un campo di forze capace di ridefinire identità, relazioni e paesaggi contemporanei.

Cristiano Seganfreddo: MATTA è oggi una delle realtà più interessanti del panorama indipendente milanese: un collettivo fluido, multidisciplinare, nomade. Ci raccontate chi siete, quanti siete, da dove venite e quali percorsi avete attraversato prima di incontrarvi?
MATTA: Siamo tre. Ognuno arriva da esperienze differenti: arti visive, musica, scrittura, curatela. Percorsi irregolari che si sono incontrati in un punto di frizione. Più che da un luogo veniamo da una condizione: la necessità di trasformare entusiasmi individuali in pratica collettiva.

CS: Com’è nata l’idea di MATTA? È stata un’urgenza, una reazione a un vuoto, o il desiderio di costruire qualcosa che ancora non esisteva?
MATTA: Non è nata come idea, ma come gesto. Un’occasione minima, un’urgenza precisa. Non si trattava di riempire un vuoto ma di riconoscere un movimento, un’intensità, e darle una forma temporanea.

CS: Il vostro team sembra muoversi per affinità elettive, tra arte visiva, curatela, scrittura, suono, progetto. Vi conoscevate già o MATTA è nato da un incontro tra mondi differenti?
MATTA: Ci conosciamo da dieci anni. L’amicizia è venuta prima del progetto. Abbiamo mantenuto approcci diversi e incompatibili, ed è proprio lì che troviamo forza: tre sguardi che non coincidono mai del tutto.

CS: Avete avuto riferimenti diretti – modelli o anti-modelli – che vi hanno spinto a prendere posizione e a costruire questa piattaforma in modo radicale e personale?
MATTA: L’Attico di Fabio Sargentini. Un’esperienza che resta un punto di riferimento, non tanto da imitare quanto da interrogare.

CS: Qual è stato il vostro primo progetto concreto? E cosa avete imparato da quella prima volta che oggi è diventato parte del vostro metodo?
MATTA: “CIELOFUTURO” di Francesco Tosini. Un lavoro accumulato per quattro anni che chiedeva di chiudersi. Abbiamo capito che l’urgenza dell’artista è il vero motore. E che una mostra può nascere solo come spazio di confronto tra discipline diverse, tutte sullo stesso piano.

CS: Vi definite “nomadi” e “crossdisciplinari”, due parole che oggi rischiano di essere abusate. Che significato reale hanno per voi, nella pratica quotidiana del progetto?
MATTA: Preferiamo non definirci. Ogni parola diventa etichetta e finisce per irrigidire. La nostra pratica quotidiana è piuttosto un attraversamento: metterci costantemente in dialogo con autori e linguaggi che ci costringono a ridefinire lo sguardo.

CS: Nella scelta degli artisti da coinvolgere, seguite criteri precisi o lasciate spazio all’intuizione? Cercate linguaggi già maturi o processi ancora in divenire?
MATTA: Intuizione ed emozione. Sono i primi filtri. Poi subentra la curiosità, che è la condizione necessaria perché un dialogo si apra. Non cerchiamo maturità, ma processi in tensione.

CS: L’interazione con altri linguaggi – musica, performance, video, scrittura – è parte integrante del vostro approccio. In che modo questi elementi convivono con la mostra tradizionale e la superano?
MATTA: Non pensiamo in termini di superamento. La mostra è un formato, non un dogma. Ogni progetto nasce come racconto, e in questo racconto i linguaggi convivono senza gerarchie.

CS: MATTA si è affermata in pochissimo tempo: il vostro nome circola, i progetti si susseguono. Come gestite questa accelerazione? È una spinta creativa o un rischio?
MATTA: La rapidità non è un problema se resta fedele al ritmo interno dei progetti. Il rischio non è correre, ma fermarsi o procedere per inerzia.

CS: Le vostre scelte appaiono rapide ma non superficiali. Come trovate l’equilibrio tra velocità e profondità curatoriale?
MATTA: Il lavoro vero è all’inizio: porre le domande giuste, costruire il campo. Se quella fase è solida, la realizzazione procede con naturalezza.

CS: Quanto conta per voi il rapporto con lo spazio fisico? E quanto invece lavorate pensando al digitale, all’online, al publishing?
MATTA: Lo spazio fisico per noi resta centrale. Ci interessa entrarci, comprenderlo, modificarlo. Il digitale ci è meno naturale, ma cerchiamo di attraversarlo. Non vogliamo che il nostro spazio a Milano diventi un recinto: preferiamo immaginare ogni volta un nuovo luogo possibile.

CS: MATTA non è solo una galleria: è anche un editore, un generatore di contenuti, un luogo di discorso. Come costruite una coerenza tra mostra, evento, testo e presenza web?
MATTA: La coerenza è una conseguenza, non un punto di partenza. Ogni elemento nasce da una necessità specifica. Se non ha ragione di esistere, lo eliminiamo.

CS: Milano è la vostra base, ma non sembra definirvi completamente. Che ruolo gioca la città nel vostro immaginario e nella vostra attività concreta?
MATTA: Nessuno di noi è milanese. Forse è proprio questa distanza a renderla fertile. Milano ci offre incontri e relazioni, ma non ci basta. Restiamo legati all’Italia, ma con lo sguardo sempre rivolto altrove.

CS: Siete legati a un luogo o vi sentite sempre pronti a sparire e riapparire altrove, in altri contesti, con nuove forme?
MATTA: La nostra natura è mobile. Non ci interessano sedi fisse o bandiere. Preferiamo apparire e scomparire, costruire forme nuove a seconda del contesto.

CS: Se vi proiettate tra cinque anni, cosa immaginate che sarà MATTA? Una galleria espansa, una piattaforma culturale, una nuova istituzione fluida?
MATTA: Non ci interessa l’etichetta. Vogliamo continuare a crescere insieme agli artisti con cui lavoriamo, seguendo i loro percorsi e trasformandoci con loro.

CS: In un sistema dell’arte che richiede visibilità, collaborazioni, adattamenti, c’è qualcosa che non fareste mai, nemmeno per il successo?
MATTA: Sì. Non collaboreremo mai con SS Lazio o Genoa CFC o Juventus FC. Alcuni confini restano invalicabili.

CS: Il rapporto con le istituzioni è per voi un limite, una possibilità o qualcosa che deve ancora essere inventato?
MATTA: Il rapporto è fondamentale. Non per subire, ma per generare scambio. Le istituzioni hanno senso se non si chiudono, se aprono possibilità. Crediamo più nella costruzione condivisa che nella competizione.

CS: Avete costruito un pubblico affezionato e curioso. Ma c’è un tipo di pubblico che ancora non vi guarda e che vorreste intercettare?
MATTA: Collezionisti meno legati alla trattativa e più disposti a un gesto immediato.

CS: Per chiudere: se doveste rappresentare MATTA oggi con un solo oggetto, un suono, un’immagine o un frammento di testo, quale sarebbe?
MATTA: Un Intonarumori di Luigi Russolo. Un dispositivo che non pretende di essere musica, ma produce possibilità.

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