In occasione della settima edizione del programma Furla Series, Fondazione Furla e GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano, presentano la mostra di Sara Enrico “Under the Sun, Beyond the Skin”, Flash Art Italia propone il testo critico di Bruna Roccasalva.
Sara Enrico è un’artista italiana la cui ricerca ruota attorno alle nozioni di superficie, corporeità e materialità, esplorate attraverso la scultura. Tutta l’opera di Enrico ha a che fare con l’idea di “transizione” e con una costante sperimentazione di materiali e processi che indagano il rapporto tra la superficie o “pelle” dell’oggetto e la sua forma e sostanza materiale. Integrando approcci provenienti dalla sartoria, dalla coreografia e dall’architettura, e combinando materiali come cemento, tessuto e acciaio con un uso intuitivo delle tecnologie digitali, l’artista si confronta con processi trasformativi capaci di evocare una vitalità latente e di articolare una relazione fluida tra corpo, abito e spazio.
“Under the Sun, Beyond the Skin” presenta una serie di nuove produzioni pensate appositamente per il particolare contesto del parco di Villa Reale e nasce da una riflessione sul giardino come luogo in cui la natura è funzionale al progetto paesaggistico: una costruzione dell’uomo, modellata secondo canoni estetici, filosofici e sociali, in cui si intrecciano elementi naturali e sovrastrutture culturali.
Partendo da questo dualismo tra natura e artificio, Sara Enrico ha creato “un paesaggio nel paesaggio”: una serie di sculture che abitano il giardino senza mimetizzarsi ma attivando al contrario una tensione sottile tra il regno vegetale e un’idea di vitalità sintetica, tra ciò che nasce spontaneamente e ciò che è frutto di un gesto consapevole. Da sempre luogo di rappresentazione e riflessione, il giardino diventa uno spazio di risonanza in cui i lavori dell’artista dialogano con l’ambiente circostante generando un equilibrio instabile che mette in gioco continuità e frizioni tra opera, contesto e spettatore.
Nell’approcciare il giardino come spazio espositivo d’eccezione, l’artista ha realizzato cinque interventi dislocati in punti diversi del parco, lungo un percorso che lo attraversa nella sua interezza.
Nei giardini storici, come quello di Villa Reale, la componente architettonica gioca un ruolo essenziale nel definire l’identità dello spazio. Padiglioni, tempietti, ponti e sculture si fondono con la vegetazione, costruendo una narrazione visiva e simbolica, studiata per evocare suggestioni e accompagnare il visitatore in un itinerario di scoperta. Questa compresenza di natura e architettura ha guidato Enrico nell’articolazione del percorso espositivo, che si snoda all’interno del giardino seguendo le sue linee architettoniche, pieni e vuoti, verticalità e orizzontalità, ritmo naturale e costruito.
Pensate per relazionarsi alle architetture presenti nel parco, le sculture della serie The Jumpsuit Theme (2023; 2024; 2025) sono installate sulla terrazza della Villa e nel Tempio d’Amore. Queste opere, tra le più iconiche della produzione dell’artista, consistono in sculture di cemento pigmentato nate da una ricerca sulla tuta a “T” inventata dal futurista Thayaht nel 1919. La natura di quell’indumento dalla forma geometrica e versatile, si presta perfettamente all’idea di ottenere delle forme scultoree a partire da un supporto morbido e flessibile come la tela, che ritorna in molti lavori di Sara Enrico. L’artista, infatti, usa spesso il tessuto per sperimentare le possibilità tridimensionali e scultoree che si possono generare dalla sua piattezza e duttilità, individuando nella piega un elemento in grado di definire una forma e di conseguenza uno spazio, un volume. Il passaggio dall’interesse per la tela e il tessuto a quello per la tuta è tanto spontaneo quanto intuitivo, e si allarga a riflessioni sulla sartoria, sul rapporto tra abito e corpo e il loro relazionarsi allo spazio – e dunque all’architettura.
Il corpo, con le sue posture, snodi e tensioni, è il soggetto implicito di The Jumpsuit Theme, le cui sembianze vagamente antropomorfe sono ottenute colando cemento e pigmento in una cassaforma morbida di tessuto tecnico con chiusure a zip. La miscela cementizia aderisce in tutto e per tutto al rudimentale abito costruito dall’artista per contenerla, dando forma e peso a quel che potrebbe essere un corpo disteso, che si allunga e si rannicchia nello spazio, che assume posizioni precarie, alla ricerca di un appoggio e un equilibrio. La posa sdraiata di queste pseudo figure pone l’accento su una dimensione orizzontale che sembra fare eco a quella che domina la facciata della Villa, scandita dalla successione degli archi al pianterreno, dall’alternarsi di semicolonne, finestre e altorilievi al piano nobile, e fa da contrappunto alla sequenza verticale delle statue che sormontano la balaustra.
Questa ricercata orizzontalità e il ritmato susseguirsi di elementi proseguono nella variopinta scultura di grandi dimensioni Beyond the Skin (2025), installata sulla vasta distesa di prato antistante la Villa. L’opera è composta da ventitré elementi, disposti in modo circolare e sospesi a diverse altezze tramite sottili strutture in ferro; le forme geometriche sono ricavate da una serie di blocchi industriali di gommapiuma nautica, sagomate e rivestite con un tessuto tecnico usato per l’abbigliamento sportivo. I particolari motivi che connotano questi rivestimenti sono stati realizzati dall’artista attraverso la manipolazione di un frammento di tela da pittura sul piano dello scanner mentre la luce è in movimento, e rielaborando digitalmente i dati ottenuti dalla diretta interazione tra la luce dello scanner e il bianco della tela.
Al centro di questo processo c’è la luce, elemento costitutivo e generativo dell’opera stessa, che assume un significato particolare nel contesto di una mostra all’aperto.
La luce infatti regola i ritmi biologici delle piante, ne influenza la crescita e la disposizione nello spazio, e a livello paesaggistico modella l’atmosfera del giardino stesso definendone le volumetrie, creando contrasti e trasparenze, esaltando texture e colori, trasformandolo continuamente durante il giorno e nel corso delle stagioni. È proprio grazie alla luce solare, infine, che noi percepiamo i colori. L’opera di Sara Enrico si confronta con questo fenomeno fisico, innescando un gioco di sottili rimandi tra la generazione di colori attivata dalla luce (artificiale) dello scanner e gli effetti della luce (naturale) nel giardino.
Ricordando il profilo di un cartamodello, il tessuto stampato evoca anche l’associazione della loro superficie all’idea di abito, di seconda “pelle”, un concetto centrale non solo in tutta la mostra ma nel lavoro dell’artista in generale, dove la “pelle” va intesa come zona che regola il complesso rapporto tra interno ed esterno, un luogo di confine permeabile e reversibile. Questa scrittura di forme geometriche dalle cromie totalmente artificiali, cangianti e quasi psichedeliche, sprigiona un’energia centrifuga, evocando l’idea di proliferazione che contraddistingue la flora del giardino, ma anche l’immagine di un’architettura orizzontale, capsulare, che si espande, facendosi paesaggio.
Proseguendo nel percorso che dal prato porta verso l’interno del giardino, il visitatore incontra Carriers (2025), un intervento site-specific che si concentra su una serie di elementi preesistenti all’interno del parco, ovvero i frammenti del tronco di un bagolaro monumentale abbattuto da una tempesta nel 2023. L’artista recupera i pezzi di tronco e li dispone come fossero stati appena rovesciati, a formare un gruppo disordinato ma compatto; cambia la loro “postura”, sollevandoli parzialmente da terra attraverso una serie di supporti colorati in ferro che sembrano riattivarli, rianimarli, come a evocare la verticalità ormai perduta e suggerire allo stesso tempo l’inizio di un nuovo ciclo vitale.
Le alzate metalliche catturano lo sguardo accompagnandolo sulla superficie delle cortecce, alla scoperta di quei muschi, funghi e muffe che le ricoprono: un proliferare di microrganismi che suggerisce come l’orizzontalità di quei tronchi, che pur segna la fine della vita dell’albero, possa ancora restituire la sua energia vitale.
I Carriers diventano così un’immagine del ciclo naturale di crescita e decadimento ma anche di tutti quei cicli continui di rigenerazione e rinascita che non vediamo, perché avvengono “sotto pelle”. Questa condizione di trasformazione costante – anche se impercettibile – è enfatizzata dalla scelta di esporre le sculture in fieri: su alcune porzioni di corteccia è infatti possibile notare delle gomme siliconiche che solo a fine mostra verranno rimosse per essere fuse in vetro e in metallo, sostituendosi ai tronchi e completando così il processo di produzione delle sculture stesse.
Ciò che da sempre ha affascinato Sara Enrico è il rapporto che la scultura ha con il reale, la sua capacità di registrarlo in maniera anche minuziosa e allo stesso tempo di spostarne il senso verso territori più ampi e immaginari. Anche la predilezione per l’orizzontalità ha a che fare con la ricerca di una prospettiva eccentrica, che si apre ad una gestualità e ad un modo di sentire non funzionale, non performativo, più vulnerabile e che coincide anche con un cambio di paradigma del modo di guardare, ovvero con il tentativo di produrre un’esperienza “aptica”: la qualità con cui il nostro occhio è in grado di “toccare”, riconoscere a distanza la sensazione tattile e materiale di un oggetto o di una superficie.
Le due sculture Bodiless Observer (2025), che chiudono il percorso espositivo, nascono proprio da una riflessione sull’atto stesso del guardare, e dal desiderio di Enrico di creare una relazione con lo spazio attraverso uno sguardo diventato fisico, oggettuale.
Le opere, realizzate in vetro e cemento, hanno una forma circolare e concava, come fossero gusci di cui è possibile osservare sia l’interno che l’esterno. L’esterno dalla texture quasi geologica ha trattenuto il contatto con la terra, mentre la superficie interna ricalca dettagli quasi impercettibili di un indumento, come fosse l’involucro di un corpo che non c’è più. Il vetro non solo le rende attraversabili alla vista, ma in parte riflette il contesto catturando e accogliendo così al suo interno il paesaggio circostante. Bodiless Observer è l’incarnazione dello sguardo e allo stesso tempo la smaterializzazione del corpo, quel corpo a cui l’artista allude costantemente all’interno di tutto il suo lavoro, senza tuttavia rappresentarlo mai direttamente.
La mostra “Under the Sun, Beyond the Skin” conferma l’interesse di Sara Enrico per il dialogo tra corpo, superficie e spazio. Il giardino di Villa Reale, con la sua complessità storica e formale, diventa cornice ideale per un lavoro che indaga da tempo la trasformazione della materia e l’ambiguità tra corpo e oggetto, attivando un confronto serrato tra naturale e artificiale e dando vita a un paesaggio insieme reale e immaginato.






