David Moser “True Colors” zaza’ / Napoli

23 Ottobre 2025

In occasione della mostra personale di David Moser “True Colors” presso la sede di Napoli della galleria zaza’, Flash Art Italia propone il testo di Laura McLean-Ferris che accompagna il percorso espositivo.

Stampe, Rotoli del Mar Morto, lettere, la Sindone di Torino, una copia carbone di un testo scomparso. Queste sono alcune delle immagini che vengono in mente osservando una serie di ordinate scatole di plexiglas standard, ognuna contenente un grande foglio di carta da forno coperto da macchie cotte. L’artista David Moser ha raccolto questi fogli in un caffè di Berlino, Romeo und Romeo, dove aveva lavorato: ogni giorno, dei pretzel surgelati venivano cotti nel forno, gonfiandosi e sudando la soluzione alcalina con cui erano stati trattati, lasciando tracce morbide, calde, sinuose, unte. I fogli venivano riutilizzati giorno dopo giorno, e i segni di ogni infornata si sovrapponevano a quelli precedenti: i nodi di pasta lasciavano impronte che si incontravano e si disallineavano, facendo collassare la materialità ordinaria dell’arte povera con la serialità pop di una stampa di Warhol. Briciole come polvere di diamante, la glassa del pretzel che ossida come urina: questi fogli diventano un archivio delle mattine, un accumulo del quotidiano in quell’esercizio commerciale. I clienti arrivavano a ondate: prima i lavoratori notturni e le sex worker a fine turno, poi chi iniziava la giornata.
Mi piace pensare a questi fogli da forno come a una forma di scrittura. Una scrittura-rifiuto, una
ricevuta della fame, del chiacchierare, dello scambio. Un gesto che si sovrappone ma anche entra in tensione con l’atto di acquistare un caffè o un pretzel al mattino. Ogni scatola trasparente reca inoltre due o tre lettere adesive in vinile arancione, una sorta di monogramma – AB, ET, LM – che ricorda delle iniziali, una dedica, evocando la possibilità che si tratti di ritratti, messaggi o memorie legate a individui specifici. Nel momento in cui inizio a immaginarle come contenitori di una persona, penso che trattengano una sorta di ectoplasma: una materia dello spirito che filtra fuori, che non può essere facilmente letta o definita da sistemi come il linguaggio, o come un nome.
Che cos’è, in fondo, un nome? O Romeo, Romeo? O dovremmo dire David, David? Cos’è David? Non è mano né piede / Né braccio né volto né altra parte / Appartenente a un uomo.
Eppure, quel nome viene pronunciato da molte voci diverse, da un dispositivo presente nello spazio
espositivo, dove è visibile anche un filmato che mostra in sequenza campioni di colore digitale.
Sono tutti arancioni: arancione EasyJet, arancione Grindr, arancione Substack. L’arancione del low-cost, dei rider, della velocità. L’arancione della scelta senza attrito, dello swipe, della tassonomia. Dei Bilancia e delle statistiche, dell’altezza e dei tipi fisici – non mano, né piede, né braccio – ma ENFP o INTJ, sicuro o insicuro in attaccamento, biondo o bruno, da Barcellona a Heathrow, della spesa in consegna immediata. Eppure, ciò che struttura questo film non è la sua totalità. C’è qualcosa che filtra attraverso, qualcosa che supera la somma delle sue identità di marca. È un bagliore caldo, come un fuoco, una luce che tocca ciò su cui cade.

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