“Fata Morgana: memorie dall’invisibile” Fondazione Nicola Trussardi / Milano

9 Ottobre 2025

In occasione della mostra “Fata Morgana: memorie dall’invisibile”, ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi per Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, a cura di Massimiliano Gioni, Daniel Birnbaum e Marta Papini, Flash Art Italia propone il testo che accompagna il percorso espositivo.

“Fata Morgana: memorie dall’invisibile” è pensata dalla Fondazione Nicola Trussardi appositamente per gli spazi di Palazzo Morando e prende forma proprio dal dialogo con il palazzo – raffinato edificio barocco situato nel cuore del Quadrilatero della Moda – e con la sua storia e la sua collezione.

Oggi sede museale dedicata alla memoria storica e al costume della città di Milano, Palazzo Morando fu infatti dimora della contessa Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini (1876–1945), figura di spicco della società milanese a cavallo tra Ottocento e Novecento. Donna di cultura e mecenate, la Contessa costruì una straordinaria biblioteca dedicata a discipline allora considerate eccentriche e marginali: alchimia, teosofia, spiritismo, esoterismo e occultismo, raccolta oggi custodita presso l’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana. Grande filantropa e benefattrice, ma anche collezionista appassionata di testi “proscritti”, ottenne persino dalla curia milanese una dispensa per continuare i suoi studi in ambiti considerati eterodossi. Il suo salotto milanese era luogo di incontro di artisti, intellettuali e sperimentatori attratti dalle nuove frontiere del pensiero occulto. Questa doppia anima – aristocratica e filantropica da un lato, mistica ed esoterica dall’altro – fa di Palazzo Morando non solo uno spazio espositivo, ma il cuore concettuale di Fata Morgana: la mostra diventa così un dialogo tra l’eredità della Contessa e le ricerche artistiche che, dall’Ottocento a oggi, hanno sondato il mistero dell’invisibile.

Il titolo del progetto evoca la figura mitologica di Fata Morgana, personaggio leggendario del ciclo arturiano, custode di segreti e illusioni, spesso associata a luoghi misteriosi come l’isola di Avalon, terra di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Nell’immaginario collettivo è una maga potente – ora benevola, ora spietata – capace di incantesimi, sortilegi e inganni, ma anche, nelle interpretazioni più recenti, una donna libera, indipendente e anticonformista, che vive senza piegarsi alle regole imposte dalla società.

La mostra trae ispirazione dal poema Fata Morgana, che André Breton compose nello stesso 1940, durante il suo esilio a Marsiglia, in fuga dall’avanzata nazista. In quelle pagine visionarie, tra apparizioni improvvise e oracoli enigmatici, Breton evocava un altrove in cui visibile e invisibile si confondono, dove sogno e realtà si intrecciano fino a dissolvere i loro confini. È a partire da questo immaginario, sospeso tra incanto e rivelazione, che prende forma “Fata Morgana: memorie dall’invisibile”, concepita come un museo temporaneo nel museo, in relazione con gli ambienti suggestivi di Palazzo Morando.

Attraverso più di duecento opere tra dipinti, fotografie, film, documenti, disegni, sculture e oggetti rituali, la rassegna compone una costellazione di settantotto figure – medium, mistiche, visionarie, artiste e artisti contemporanei – che hanno tentato di aprire varchi tra il mondo terreno e dimensioni invisibili. L’esposizione indaga le contaminazioni tra arti visive e misticismo, fenomeni paranormali, spiritismo, esoterismo, teosofia e pratiche simboliche, mostrando come ricerche considerate eccentriche o marginali abbiano avuto la forza di scardinare convenzioni consolidate, ridefinendo il ruolo dell’arte nella società.

Ne emerge un vero e proprio atlante dell’invisibile, popolato da estasi, apparizioni e visioni medianiche, che restituisce la potenza immaginativa di esperienze capaci di ridefinire i confini stessi dell’arte. Lontana dal voler dimostrare la veridicità del soprannaturale, Fata Morgana racconta invece come, tra Ottocento e contemporaneità, queste pratiche abbiano rispecchiato ansie e desideri collettivi, interrogando i rapporti tra conoscenza e mistero, fede e scienza, memoria e immaginazione.

Al centro del percorso è presentato un corpus raro e prezioso – esposto per la prima volta in Italia – di sedici tele di Hilma af Klint (1862–1944), pittrice svedese che, guidata da esperienze medianiche e sedute spiritiche, intraprese a partire dal 1906 un cammino radicalmente innovativo, dando forma a un linguaggio artistico astratto e simbolico del tutto originale, sviluppato ben prima degli esperimenti di Wassily Kandinsky e Piet Mondrian, tradizionalmente riconosciuti come pionieri dell’astrazione. Le opere di af Klint, rimaste celate per decenni secondo la volontà dell’artista stessa, rappresentano oggi uno dei capitoli più enigmatici e rivoluzionari della storia dell’arte moderna: testimonianze di un’arte concepita come trascrizione visiva di messaggi ultraterreni, di forze invisibili e immateriali che trovano nella pittura un canale privilegiato. In esse si intrecciano geometrie cosmiche e motivi organici, visioni astrali e simbologie spirituali, dando vita a una cosmologia pittorica che anticipa le grandi rivoluzioni dell’arte del Novecento e che soltanto negli ultimi anni ha trovato pieno riconoscimento internazionale.

Le tele di af Klint diventano fulcro e catalizzatore di un dialogo che si estende ad altre figure storiche che, in epoche diverse, hanno sondato gli stessi territori. Tra queste, Georgiana Houghton, che già nel 1871 esponeva a Londra i suoi acquerelli astratti realizzati sotto la guida di spiriti guida, sfidando il pubblico vittoriano con immagini che non trovavano alcun paragone nell’arte del suo tempo. O Annie Besant, teosofa e attivista, che insieme a Charles Leadbeater sviluppò il concetto delle “forme-pensiero”, diagrammi visivi delle energie mentali destinati a influenzare profondamente la sensibilità di artisti e intellettuali di inizio Novecento. A queste si affiancano le opere di Emma Kunz, visionaria guaritrice svizzera, che tracciava grandi diagrammi geometrici utilizzandoli come strumenti terapeutici per diagnosticare e curare malattie, e le fotografie di Eusapia Palladino, celebre medium napoletana la cui fama attraversò l’Europa di fine Ottocento attirando l’attenzione di scienziati e studiosi come Cesare Lombroso e i coniugi Curie. Il percorso incontra poi l’opera monumentale di Augustin Lesage e le architetture immaginarie di Fleury-Joseph Crépin, entrambi autodidatti e di umili origini, che dichiaravano di essere guidati da voci ultraterrene nel realizzare tele rigorosamente simmetriche, costellate di costruzioni fantastiche e simboli sacri, come se ogni quadro fosse un tempio o una cattedrale eretta per ordine degli spiriti.

Queste voci pionieristiche, poste ai margini della storia ufficiale dell’arte, dialogano in mostra con una costellazione di artisti moderni e contemporanei che hanno esplorato le stesse tensioni con linguaggi radicalmente diversi. I film sperimentali di Maya Deren, con le loro atmosfere oniriche e ipnotiche, e di Kenneth Anger, con i loro riferimenti esoterici e rituali magici, aprono il percorso verso l’era del cinema come strumento visionario. Le fotografie di Man Ray e Lee Miller, figure centrali del Surrealismo, restituiscono un immaginario ambiguo e perturbante, sospeso tra desiderio, inconscio e spiritualità.

Accanto a loro, le visioni dissacranti e carnali di Carol Rama, le architetture in legno trasformate in cattedrali intime di Louise Nevelson, e le pratiche ironiche e militanti di Chiara Fumai, che attraverso la performance ha evocato e rianimato figure di medium e sensitive del passato, ribaltano con forza lo sguardo sulla storia e sul femminile.

Infine, una generazione più recente di artiste e artisti – da Judy Chicago, con la sua astrazione femminista, a Kerstin Brätsch, che reinterpreta le tradizioni esoteriche attraverso pitture monumentali e gestuali; da Marianna Simnett, che esplora i territori della trance e del corpo estatico, ad Andra Ursuţa, che attraverso immagini spettrali e apparizioni fotografiche interroga la presenza dell’oltre-naturale; fino a Diego Marcon, Giulia Andreani e Guglielmo Castelli – amplia il discorso con nuove forme e nuove narrazioni, mostrando come il fascino dell’invisibile continui a esercitare un ruolo centrale nella pratica artistica contemporanea.

Il percorso espositivo si snoda attraverso otto sezioni, concepite come altrettanti capitoli di un grande atlante dell’invisibile, che intrecciano genealogie storiche e interpretazioni contemporanee.
Si parte dagli Spiriti guida, che a metà Ottocento alimentarono le prime ricerche di artiste come Georgiana Houghton e Annie Besant, impegnate a dare forma visibile a presenze incorporee e flussi di energia psichica. Già nel 1871 Houghton esponeva a Londra acquerelli astratti ispirati dalle voci degli spiriti, mentre Besant, nel 1901, insieme a Charles Leadbeater, elaborava il concetto di “forme-pensiero”, diagrammi cromatici delle energie mentali che avrebbero influenzato profondamente il linguaggio dell’astrazione del Novecento. Accanto a queste pionieristiche indagini, compaiono i disegni medianici di autodidatti che, senza alcuna formazione accademica, produssero immagini sorprendenti sotto l’influsso di forze invisibili, spesso in dialogo con le nuove tecnologie dell’epoca – telegrafo, radio, raggi X – che sembravano anch’esse aprire varchi verso mondi nascosti.

Il racconto prosegue con Medium e Mistiche, un capitolo che sottolinea il protagonismo femminile nello spiritismo e nella sua diffusione in Europa. Nell’Ottocento, in un contesto culturale che relegava le donne a ruoli marginali, lo spiritismo offrì loro una centralità imprevista. Eusapia Palladino, medium napoletana divenuta celebrità internazionale, fu studiata da scienziati come Cesare Lombroso e i coniugi Curie, mentre la fotografa Linda Gazzera documentava con immagini spettacolari le proprie sedute. Nel presente, artiste come Chiara Fumai e Giulia Andreani hanno riportato in vita quelle voci femminili, restituendo loro un ruolo attivo nella narrazione storica e intrecciando femminismo, mistica e critica sociale.

Con Il messaggio automatico si entra nel cuore del Surrealismo: nel 1933 André Breton pubblicava il saggio omonimo, riconoscendo nelle pratiche medianiche un antecedente fondamentale del suo “automatismo psichico”. In mostra, le opere di Marcel Duchamp, Antonin Artaud, Man Ray, Unica Zürn e di altri surrealisti restituiscono un panorama di esperimenti che univano scrittura, trance, insonnia e stati alterati, trasformando la pratica artistica in un canale di accesso diretto all’inconscio.

I Giardini cosmici evocano un mondo vegetale e ultraterreno: nei disegni di Madge Gill e Madame Favre i fiori diventano presenze spirituali, custodi di segreti cosmici, mentre nelle opere di Andra Ursuta le apparizioni fotosensibili assumono la forma di spettri effimeri e immagini angeliche, frutto di un processo che sembra sottrarsi al controllo dell’artista.

Con Fiori di carne il discorso si fa corporeo e femminista. Judy Chicago, con la sua “central core imagery” – il cosiddetto “immaginario del nucleo centrale” – rilegge l’astrazione in chiave ginocentrica e carnale; Carol Rama, con i suoi acquerelli degli anni Quaranta, reinventa il corpo femminile in immagini libere e perturbanti; Kerstin Brätsch, con i suoi dipinti monumentali, riattualizza la tradizione esoterica combinandola con linguaggi contemporanei.

Le Voci dello spirito mostrano come arte e fede si intreccino nei i disegni floreali di Minnie Evans, ispirati da visioni divine, nelle serigrafie di Corita Kent, suora e attivista che univa religione e lotta sociale, nelle pitture della predicatrice Gertrude Morgan, che si autorappresentava come “sposa di Cristo” e nei film di Kenneth Anger, in cui il cinema diventa rituale magico e liturgia segreta.

Infine, l’ultima sezione Salvare il mondo racconta la fiducia incrollabile nell’arte come strumento taumaturgico e profetico. I diagrammi di Emma Kunz, tracciati per diagnosticare e guarire; le visioni di Marian Spore Bush, che immaginò persino il giudizio ultraterreno di Hitler; e l’imponente World Rescue Project di Vanda Vieira-Schmidt, che con migliaia di disegni tentava di proteggere l’universo dall’imminente rovina, testimoniano un’arte capace di trasformarsi in preghiera, profezia e salvezza.

Al piano nobile di Palazzo Morando il viaggio prosegue con Immagini primordiali, tra opere che indagano le profondità dell’anima e le sue connessioni con l’universo. Le visioni di Hilma af Klint, Wilhelmine Assmann, Olga Fröbe-Kapteyn ed Emma Jung aprirono alle dimensioni dell’inconscio e agli archetipi del mito. Af Klint, sotto la guida di spiriti guida, creava cicli monumentali di pittura astratta; Assmann disegnava flora fantastica ispirata al figlio scomparso; Fröbe-Kapteyn, fondatrice dell’Eranos, realizzava tavole di meditazione su simboli universali; ed Emma Jung traduceva in immagini le sue ricerche su mondi onirici e archetipi. Insieme, queste opere disegnano un universo in cui sogno e spiritualità diventano strumenti di conoscenza.

Le sale dedicate ai Corpi senz’organi esplorano invece la metamorfosi e la disgregazione dell’identità, in un universo popolato da esseri in continua trasformazione. Dalle maschere di Paulina Peavy agli abiti rituali di Giuseppe Versino, dalle figure ibride di Guglielmo Castelli alle presenze primigenie di Chiara Camoni, emergono anatomie fluide, prive di confini, attraversate da desideri e forze vitali. Goshka Macuga ritrae Helena Blavatsky in uno stato di estasi e levitazione, Cecilia Edefalk cattura apparizioni angeliche, Rosemarie Trockel prefigura un futuro inorganico, mentre il cinema visionario di Maya Deren trasforma l’inconscio in coreografia di luce e movimento.

Infine, in Simulacra, la storia di Palazzo Morando incontra la contemporaneità in un dialogo sospeso tra visione e memoria. Negli ambienti barocchi del palazzo, interventi contemporanei riscrivono le relazioni tra corpo e spirito, tra passato e futuro. La scultura di Jill Mulleady rilegge in chiave inquieta l’iconografia delle sante martiri; i collage di Max Ernst e i disegni di Pierre Klossowski evocano soffii e apparizioni che attraversano il tempo; il video di Diego Marcon trasforma sogni e incubi in un melodramma moderno, raccontando storie di spiriti in procinto di abbandonare corpi al contempo fragili e artificiali, simulacri digitali ma quanto mai umani nei loro desideri e paure. Tra arredi originali, presenze evanescenti e immagini di un oltremondo tecnologico, la mostra si conclude come un grande rito collettivo: un dialogo tra memoria e fantasma, tra realtà e simulacro.

“Fata Morgana: memorie dall’invisibile” non si propone di confermare l’esistenza del soprannaturale, ma di raccontare come, in diversi momenti storici, pratiche considerate eccentriche abbiano saputo scardinare convenzioni artistiche e sociali, mettendo in discussione gerarchie di genere, autorità scientifiche e limiti del pensiero razionale. In un’epoca segnata da nuove forme di ossessione e nevrosi, da disinformazione e fascinazione per il mistero, la mostra riflette anche sulle relazioni pericolose tra tecnologia, spiritualità e potere. Attraverso una rete di narrazioni visive – dai diagrammi di “macchine influenzanti” concepite in contesti psichiatrici ottocenteschi, alle fotografie spiritiche, fino alle testimonianze di sedute medianiche – Fata Morgana compone un atlante dell’invisibile: un mosaico di mondi interiori, utopie, derive mentali e alternative radicali alla razionalità dominante.

Con una selezione di settantotto figure tra intellettuali, artiste e artisti storici e contemporanei, la Fondazione Nicola Trussardi, attraverso “Fata Morgana: memorie dall’invisibile”, invita a ripensare il ruolo del marginale, dell’inspiegabile e del visionario nella creazione artistica. Affidato a un team curatoriale di grande esperienza internazionale – che per la prima volta in Italia riunisce due ex Direttori della Biennale di Venezia – il progetto trasforma Palazzo Morando in un portale verso dimensioni altre, sospese tra passato e presente, tra immaginazione e realtà.

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