Silvia Calderoni e Ilenia Caleo — anteprima e evento inaugurale del Festival FAROUT, che aprirà ufficialmente il 9 ottobre a BASE Milano.
Tutto comincia come un cambio, di stato. Di stagione. Un colpo di tosse. Una piccola nuvola quando il cielo è sereno. Sembra sereno. ‘Tempo bello’. L’aria vibra, si addensa, qualcosa muta nel ritmo del respiro. In Temporale, Silvia Calderoni e Ilenia Caleo orchestrano una meteorologia dei sentimenti: un ciclo di perturbazioni emotive, di vapori e desideri che si condensano e si dissolvono, lasciando in sospensione il tempo stesso.
Si perdono gli occhiali. Si perde spesso la Vista. Non si vede.
Il palco è un microclima artificiale: una stanza gialla, satura di luce, dove i corpi si fanno nuvole, piogge, venti caldi. I fumi si sollevano come pensieri, i colori cambiano come dopo un lampo, e sorprendono la retina e l’immaginario. i gesti si ripetono e si trasformano, come variazioni di pressione. La pressione ha ed é colore. Ogni contatto, ogni pausa, è un evento atmosferico: un piccolo rumore del cuore. Lontano o vicino. Una annunciazione.
Calderoni e Caleo danno forma a un teatro meteorologico, dove l’intimità è un fenomeno fisico e l’amore un campo di forze instabile. È in tutto questo le due artiste sono millimetriche pur gestendo l’aria. La tragedia è liquida, ironica, perturbata. I corpi si cercano come fronti in collisione, si accendono, si oscurano, fino a evaporare. Nel loro incontro, il desiderio diventa nuvola: attraversa, oscura, bagna, sparisce. Si anima. Riparte. Torna limpida. Ma il limpido non é materia del cielo.
C’è una grandissima capacità scenica, una gestione del colore e delle scene impeccabile: la costruzione, di una semplicità radicale, genera un’enorme potenza espressiva. Rara. E temporale. Lo spettacolo si chiude tra gli applausi, quando una bandiera palestinese si apre al centro della scena — non come simbolo astratto, ma come immagine reale del temporale vicino che dura da anni senza pausa. È il ritorno improvviso del mondo, dopo tanta poesia. la sua irruzione dentro la quiete estetica: un lampo politico che attraversa la poesia e la rende necessaria.
Dopo, resta una calma magnetica: quella che segue ogni tempesta, quando l’aria, ancora carica di vapore e di pensieri, sa di umanità e di pioggia. E sa di poesia che ti rimane addosso. Un unico antidoto alla barbarie.








