Lorenzo Zerbini lavora sull’invisibile. Come Xerjoff, trasforma la materia in spirito, la fragranza in segno, l’odore in memoria. Il Simile Scioglie il Simile — il titolo già alchemico dell’opera — è una costellazione di vasi in vetro soffiato, cera di soia e piante impollinate da insetti. Trappole per il desiderio e per la vita, sospese su strutture in rame che sembrano respirare.
All’interno, fiori e semi fossilizzati in trasparenze lattiginose, come resti di un’era organica ormai dissolta. La loro decomposizione diventa linguaggio. L’odore, spesso relegato all’effimero, qui è invece sostanza strutturale: un materiale scultoreo, volatile, ma reale quanto il vetro o il ferro.
Nel dialogo con Xerjoff, maison torinese che ha elevato il profumo a gesto artistico, Zerbini amplifica la tensione tra natura e artificio, tra fragranza e forma. La sua opera non rappresenta il profumo: lo incarna. Ogni vaso è una capsula di tempo olfattivo, una reliquia di vita vegetale sigillata nell’ambra della contemporaneità.
Visionario e complesso, Sergio Momo, fondatore di Xerjoff, ha costruito un universo che unisce arte e profumeria in un solo emisfero estetico. La sua intuizione è quella di spingere il linguaggio del profumo oltre la sensualità, verso una dimensione concettuale, dove l’essenza diventa esperienza, e la materia un’estensione del pensiero.
Il risultato è un’esperienza sinestetica e meditativa: il profumo non è più un lusso, ma una metafisica. Il corpo stesso diventa spazio espositivo, la pelle superficie porosa dove l’arte si fa respiro.
In un’epoca di saturazione sensoriale, Zerbini e Xerjoff costruiscono un altare del silenzio. Un laboratorio visionario in cui la materia si scioglie nella memoria, e il simile — finalmente — scioglie il simile.





