Luigi Bonotto. La lingua segreta delle cose. di

di 19 Novembre 2025
Luigi Bonotto. Fotografia di Piero Viti.

Certe persone attraversano il mondo come una piccola corrente d’aria: non fanno rumore, ma quando passano qualcosa cambia direzione. Luigi Bonotto era così. Un gesto di lato, uno sguardo che brillava un istante prima del pensiero, quella grazia imprevista che Fluxus avrebbe riconosciuto all’istante: l’arte come modo di respirare, non come disciplina.

Non cercava l’oggetto: cercava l’energia che lo precede. Annusava le idee come si fa con qualcosa di vivo. Le trovava nei materiali poveri, nelle carte abbandonate, nei frammenti minimi di quotidiano pronti a trasformarsi in azioni. In quel punto in cui il reale si incrina un poco e lascia filtrare una possibilità, lui stava a casa.

Così, senza proclami e senza metodo apparente, Luigi ha costruito una delle più profonde e importanti collezioni al mondo: Fluxus, poesia visiva, poesia concreta. Ma più che una collezione, un paesaggio mentale. Una trama di opere, gesti, segni, voci che ha saputo tenere insieme con naturalezza, come si tengono insieme le cose che si amano e che non si vogliono controllare.

Luigi non accumulava: ascoltava. Tesseva connessioni dove altri vedevano solo frammenti; lasciava che gli oggetti si parlassero tra loro; seguiva i fili nascosti che legano una performance a un foglio, una partitura a un silenzio, un sorriso a un’idea. E lo faceva con quella sua leggerezza veggente, mai ostentata.

Chi lo ha incontrato porta ancora negli occhi il suo passo felpato, la gentilezza dei suoi occhioni grandi, quel sorriso un po’ sornione che arrivava sempre un secondo prima della battuta. Una creatività inattesa, giocosa, capace di scavalcare il giudizio e restituire alle cose un incanto primario.

La Fondazione Bonotto nasce da questo suo modo di tenere insieme l’impossibile. Non un archivio, non un museo: un organismo vivo, in cui l’arte non si immobilizza ma continua a circolare. Oggi, grazie alla cura rigorosa e appassionata di Patrizio Peterlini, quell’ecosistema respira ancora: un archivio-orizzonte, una geografia dell’immaginazione che sfida il tempo.

Pensare a Luigi significa ricordare che l’arte accade nei margini, nei lampi, nelle traiettorie fragili che solo pochi sanno riconoscere. E che nel suo modo di guardarti — affettuoso, curioso, sempre sul punto di iniziare un gioco — c’era già tutto: la misura esatta della sua eredità.

Altri articoli di

Cristiano Seganfreddo