Mario Ceroli “Teatro Domestico” Carrozzeria900 / Milano di

di 5 Dicembre 2025

Mario Ceroli è stato tra i primi in Italia a ridefinire il ruolo dell’artista oltre i confini disciplinari tradizionali. La sua pratica, fin dagli anni Sessanta, attraversa scultura, design, progettazione di ambienti e scenografia per teatro, cinema, televisione e pubblicità. Ceroli incarna la figura dell’artista totale, capace di muoversi con naturalezza tra diversi linguaggi senza perdere la coerenza di una visione fortemente identitaria, legata in particolare all’uso del legno come matrice formale e concettuale. La sua apertura interdisciplinare anticipa di decenni una condizione che ancora oggi non appare pienamente acquisita: l’artista non come specialista di un medium, ma come autore trasversale, capace di influenzare tanto la cultura alta quanto quella popolare. Le sue scenografie, le sue collaborazioni con registi e i progetti ambientali non rappresentano attività parallele, ma sono un’estensione naturale della sua ricerca sulla relazione tra figura, spazio e percezione.

Mentre Roma, città cruciale nella vicenda artistica di Ceroli, rende omaggio allo scultore originario di Castel Frentano e vicino alle istanze dell’Arte Povera con la mostra “Ceroli Totale” alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Milano lo spazio Carrozzeria900 racconta un corpus più circoscritto della sua produzione: i Mobili nella Valle. Diretto omaggio a Giorgio de Chirico, questa serie di arredi in legno di pino di Russia, ideata nel 1965 e prodotta nel 1972 da Poltronova, rivive oggi nella mostra “Teatro Domestico”. Come de Chirico, anche Ceroli concepisce l’immagine come scena, un luogo artificiale capace di generare straniamento, e realizza ambienti immersivi in legno in cui entrare fisicamente e metaforicamente. Carrozzeria900 si trasforma così in un palcoscenico dove i pezzi esposti diventano protagonisti di un debutto teatrale. La serie rimanda a un nucleo di dipinti tardo-metafisici dallo stesso titolo in cui De Chirico esplora l’idea di quadro come teatro e lo spazio pittorico come scena. Oggetti mobili come poltrone, sedie, armadi, sono inseriti in ambientazioni aperte, mobili “fuori luogo”, “sradicati” dal loro contesto domestico, ma carichi di memoria e significati. È forse una delle rappresentazioni più radicali del concetto metafisico di “straniamento”: oggetti quotidiani e familiari diventano tragici, alienanti e persino misteriosi se privati del loro contesto abituale e “messi in scena” nel vuoto della natura, diventando simbolo, segno.

Il mobilio progettato dall’artista raggiunge la sua piena forza scenica in “Teatro Domestico”. Le dodici sedie, con le spalliere filiformi e slanciate, rimandano a una seduta raffigurata in un olio su tela di De Chirico del 1963. Attorno, si dispongono altri arredi iconici di Ceroli: i divani a due e tre posti, la cassettiera, la poltrona con braccioli e il tavolino con ripiano in vetro, accomunati da superfici ondulate che, attraverso un alternarsi di pieni e vuoti, luci e ombre, conferiscono al legno un senso di vibrazione e movimento. Il letto La bocca della verità, con la testiera che richiama l’antico mascherone in marmo della chiesa di Santa Maria in Cosmedin a Roma, amplia il gioco di rimandi alla storia dell’arte. Sono oggetti che evocano qualcosa di familiare, intensificando un senso di lieve, metafisico spaesamento che accompagna chi li osserva. Infine, due tavoli tondi, con la riproduzione della rosa dei venti, mettono in luce la maestria della realizzazione in legno, dalla levigatura all’incastro.

Il legno è un materiale con cui Ceroli non ha mai voluto identificarsi del tutto. Nel corso della sua carriera ha infatti sperimentato anche con la ceramica, il marmo, il ghiaccio, la carta e diversi materiali di scarto. È il legno, tuttavia, ha offrigli la possibilità di dare forma alle proprie idee con rapidità, direttamente in studio, senza ricorrere a collaboratori esterni e con costi contenuti, grazie al recupero del materiale da diverse attività, anche industriali. Quella che nasce come una necessità pratica diventa un mezzo per conservare, nelle sue sculture, una vocazione alla bidimensionalità del disegno: pur giocando con spessori reiterati, le forme restano volutamente piatte e si risolvono nella sintesi del contorno. La sagoma diventa il modo per svuotare l’immagine del superfluo e per coglierne l’essenzialità. Le sue figure invadono lo spazio, mentre la serialità anonima emerge come valore fondamentale della sua ricerca. Anche da Carrozzeria900, la ripetizione e la semplificazione delle forme produce una distanza straniante, e l’ambiente diventa enigmatico nella sua teatralità astratta.

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Matilde Burelli