Fabio Cavallucci: Siete hacker o artisti?
0100101110101101.ORG: Siamo artisti, ma come gli hacker impariamo le regole per poterle infrangere in modo appropriato.
FC: Vi abbiamo conosciuti con azioni di pirateria informatica nascosti dietro la sigla 0100101110101101.ORG, pronti a duplicare siti istituzionali, come quello del Vaticano, o a stravolgere le pagine web di una mostra coreana. Poi siete usciti allo scoperto, avete adottato dei nomi terreni, Eva e Franco Mattes. Non credete sia un segno di debolezza, un rigurgito di umano individualismo?
01.org: Sono dieci anni che cambiamo identità. Siamo stati Luther Blissett, Darko Maver, Renato Posapiani e Tania Copechi, 0100101110101101.ORG. Nelle nostre opere abbiamo impersonato il Vaticano, la Nike, l’Unione Europea. Eva e Franco Mattes sono l’ultima evoluzione di questa deriva identitaria, forse l’identità più complessa, perché include tutte le altre.
FC: Siete anche passati dalla Net Art, tutta giocata nella virtualità della rete, a interventi di hackeraggio calati nella realtà, come il progetto “Nike Ground” del 2003, in cui avete simulato un punto informativo in Karlsplatz a Vienna per raccontare della prossima costruzione di un grande monumento a forma del celebre logo della Nike. Cominciate a sentire la necessità di approdare a una maggiore fisicità?
01.org: In realtà la Net Art è stata un movimento molto più “fisico” di quanto si pensi, tutto avveniva tanto online quanto on the road. Dietro ai monitor ci è capitato di tutto, siamo stati quasi arrestati a Lubiana, ricercati dalla Symantec Corporation e dal Vaticano da Roma fino in Canada, attaccati dal Ministro della Cultura sudcoreano e contemporaneamente abbiamo partecipato alla Biennale di Venezia, a Manifesta, tenuto discorsi in centri culturali e università un po’ ovunque, vissuto dappertutto, guadagnato e sperperato una montagna di soldi. La Net Art è stato il meglio del Novecento compresso, frullato e ingerito a dosi sbagliate: un mix inedito di Dada, Cyberpunk, Hacking, anarco-yuppismo, psichedelia e Futurismo.
FC: Cos’hanno in comune i vostri lavori di Net Art con i più recenti “Nike Ground” (2003-2004) e United We Stand (2005-2006)?
01.org: Si rivolgono tutti a un pubblico planetario e casuale, e non si svolgono negli spazi tradizionali dell’arte ma nello spazio pubblico, che sia Internet o una piazza. Sicuramente la “fisicità” di questi ultimi due lavori per il pubblico è più evidente. Nel caso di “Nike Ground” abbiamo installato un container ultramoderno di 13 tonnellate nel centro di Vienna, coinvolgendo l’intera città in un’allucinante performance iper-reale. In United We Stand abbiamo affisso migliaia di poster che pubblicizzavano l’uscita di un film di propaganda europea (inesistente) in mezzo mondo, da Berlino a Bruxelles, da Barcellona a New York passando per Bangalore. Ma anche in questi lavori più “fisici” la realtà non è mai il fine ultimo, è sempre al servizio dell’invisibile…
FC: Credete che il mondo sarà sempre più virtuale, che la realtà sia stata uccisa, come sostiene Baudrillard, o ritenete che la parte fisica resterà determinante?
01.org: La realtà non è stata uccisa, è mediata. Nessuno di noi ha vissuto personalmente la guerra in Iraq, ma tutti ne abbiamo esperienza. La realtà è resa più complessa dalla quantità di immagini che abbiamo a disposizione. Preferiamo lo spettacolo alla realtà. Per questo come artisti abbiamo deciso di usare i media come medium, come un pittore usa pennello e tela. La parte fisica della realtà esisterà sempre, forse sarà quella di un corpo senza organi, immerso in un mondo sintetico, dove la copia ha sostituito l’originale. Da un anno stiamo vivendo all’interno di Second Life, un videogame online che ricostruisce un mondo virtuale in cui vivono due milioni di abitanti, vere persone collegate da varie parti del pianeta e rappresentate da avatar, alter ego digitali. Da questo mondo escono 13 Most Beautiful Avatars, una serie di ritratti di esseri virtuali, e un nuovo progetto a cui stiamo lavorando proprio in questo momento, in cui rimetteremo in scena performance storiche, da Chris Burden a Joseph Beuys, in un contesto in cui alcuni dei pilastri della performance, come il corpo e lo spazio, sono completamente stravolti.
FC: Anche i net artisti amano la Storia dell’Arte. Quali sono i vostri principali riferimenti?
01.org: La Net Art è stata l’ultima avanguardia del secolo: dalla fase eroica alla museificazione finale in dieci anni, passando per la leggenda sul nome, i manifesti, l’autostoricizzazione. L’unica differenza è che noi sapevamo fin dall’inizio cosa sarebbe successo. Abbiamo tanti padri: il Futurismo, il Dadaismo, Duchamp e Warhol. Dei viventi: Murakami. Tra gli amici: NSK, Jodi, Hans Bernhard. Ma solo uno che valga la pena di uccidere: Duchamp. Ha influenzato troppo l’arte contemporanea.
FC: Avete spesso affrontato le questioni legate ai diritti su Internet. Siete per il free copyright. Quale pensate possa essere il futuro dell’economia del sistema dell’arte? Credete che persisterà il suo valore commerciale o nasceranno dei nuovi sistemi?
01.org: La cultura è plagio, è sempre la ricombinazione di quello che è già stato fatto in precedenza. Non esiste il genio isolato dal mondo ispirato dalla musa. Il free copyright non è incompatibile con il mercato, anzi: il collezionista o il museo che compra un’opera garantisce la libera circolazione dell’opera stessa, che potrà essere vista e utilizzata da milioni di persone che non potrebbero permettersela. Dal nostro sito puoi copiare e riutilizzare immagini, testi e opere che abbiamo prodotto in questi anni. È possibile farlo perché c’è un sistema che mantiene tutto questo (collezionisti e musei). È un sistema in cui tutti vincono: noi possiamo vivere di quello che facciamo, i musei e i collezionisti possono investire su di noi, la gente può usare le nostre idee come crede. Per dirla con George Bernard Shaw: se tu hai una mela e io ho una mela e le scambiamo, sia tu che io avremo ancora una mela. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e le scambiamo, alla fine entrambi avremo due idee.