È il 1956 quando Achille Bonito Oliva scrive il suo primo testo critico. Si tratta di un testo breve, diretto, redatto probabilmente per un amico pittore. Bonito Oliva ha tra i 16 e i 17 anni e, significativamente, quel testo lo intitola Io. Lo scrive a mano, in prima persona, come fosse lui stesso l’artista, e lo consegna alle pagine di un quadernetto a righe orizzontali. Con una consapevolezza che sembra portarsi dietro decenni di vita vissuta, il giovane A.B.O. si interroga sul senso profondo dell’arte: “Faccio il pittore. Non ridete. Non imbratto tele o le imbratto, ma con decoro. Cerco di essere onesto almeno nell’arte. Non ho rimorsi né paura di guardare i quadri che, tappe della mia evoluzione pittorica, ho conservato. Ho parlato di arte con la lettera minuscola. Tutto può essere rappresentato con lettere minuscole”.
Assieme a molti altri documenti inediti, il testo di Bonito Oliva è presentato al pubblico, per la prima volta, in occasione della grande retrospettiva che il Castello di Rivoli ha deciso di dedicare alla figura di uno dei più influenti critici e curatori del secondo Novecento. Intitolata “A.B.O. THEATRON. L’Arte o la Vita” e curata dallo stesso Bonito Oliva e da Carolyn Christov-Bakargiev, con il coordinamento di Andrea Viliani, la mostra si sviluppa seguendo tre assi di ricerca principali, che si intersecano e si richiamano a vicenda. Il primo è quello che indaga l’attività espositiva del critico campano: dalla primissima mostra alla libreria/galleria Guida di Napoli, nel1966, con i lavori di Pino Pascali e Renato Mambor, alle più recenti “Le Tribù dell’Arte” (2001) e “Gino De Dominicis. L’immortale” (2010). Nel percorso, si incrociano mostre che hanno radicalmente trasformato i codici della curatela contemporanea, come “Amore mio” (1970), al Palazzo Ricci di Montepulciano, e “Contemporanea” (1973-74), nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese: due occasioni in cui il curatore agisce al di là di criteri storicistici e filologici ribaltando sistemi di conoscenza acquisiti e sperimentando la compresenza di linguaggi diversi. Per Bonito Oliva la mostra è un medium, o meglio, un mass-medium, così come dirà a proposito della sua Biennale del ’93, “I punti cardinali dell’arte”. Un mezzo di comunicazione grazie al quale è possibile “scrivere nello spazio attraverso le opere”. L’esposizione, d’altronde, rappresenta per A.B.O. “il secondo livello di scrittura del critico”, un livello “successivo” a quello della produzione saggistica, sebbene alimentato da un’attività teorica profonda. Nelle sale del Castello di Rivoli, la sua “scrittura espositiva” è restituita sia mediante la ripresentazione di alcune opere esposte nelle sue mostre storiche, come l’installazione ambientale di Fabio Mauri, Luna (1968), presentata in occasione di “Vitalità del Negativo” (1970-71), sia mediante l’esposizione di lettere, fotografie e documenti d’archivio, che svelano retroscena relativi agli inviti, all’allestimento, e allo stesso rapporto con gli artisti.
Il secondo asse di ricerca, invece, approfondisce lo spazio privato del curatore, assieme alla genesi e all’evoluzione della sua scrittura critica. Una scrittura che se negli anni Sessanta è innanzitutto poesia visiva, elaborata a stretto contatto con gli autori del Gruppo 63, dagli anni Settanta diventa vera e propria “critica militare”. Come Carlo V a cavallo, armato di lancia, Bonito Oliva si avventura nel “territorio magico” dell’arte, fianco a fianco a quelli che ha sempre considerato i suoi “nemici più intimi”, gli artisti. La conquista più prodigiosa è senza dubbio la Transavanguardia: la controrivoluzione eclettica di Chia, Cucchi, Clemente, Paladino e De Maria, che allo sperimentalismo assertivo dell’arte concettuale e all’impegno ideologico del poverismo preferirono la riprogettazione libera e multiforme del passato. “A.B.O. THEATRON. L’Arte o la Vita” si focalizza anche sui numerosi studi che il critico ha dedicato alla figura di Marcel Duchamp, analizzata in volumi come Vita di Marcel Duchamp (1976) e Mercante del Segno (1978), così come all’ideologia del traditore e quindi al manierismo, autentica “ossessione” di Bonito Oliva nonché “canovaccio” per la teorizzazione del nomadismo stilistico e culturale della Transavanguardia.
La terza linea di ricerca, infine, indaga la dimensione “performativa” e “comportamentale” del critico italiano, assieme a tutte quelle attitudini, quelle pose, quegli atteggiamenti, che hanno contribuito a delineare il profilo pubblico di Bonito Oliva. La mostra di Rivoli ci offre un ritratto sfaccettato e plurale del curatore, un vero e proprio affresco bonitoliviano che esplode in centinaia di frammenti in una delle sale centrali del percorso espositivo, dove A.B.O. rimbalza su decine e decine di schermi, ripreso da ogni prospettiva possibile, in contesti radicalmente diversi. Lo vediamo disteso sul letto di Amanda Lear mentre risponde a domande sulla sessualità e l’erotismo, lo ritroviamo al telefono con Harry Styles mentre fa la fila alle poste per la terza puntata della serie di Gucci. Sembra che Bonito Oliva, in fondo, si sia lanciato nello spazio mediale della televisione, del cinema e della radio, per lasciare una traccia ineliminabile del suo passaggio, ma anche per esibire e amplificare le sue posizioni critiche, per metterle alla prova su un territorio più impervio della pagina scritta, fino a trasfigurarle in un clamoroso spettacolo.
L’enorme lavoro di ricerca condotto sull’archivio del curatore (donato proprio quest’anno al Centro di Ricerca del Castello di Rivoli), il ricchissimo catalogo pubblicato da Skira e la quantità di opere, documenti e testimonianze raccolte, fanno di “A.B.O. THEATRON. L’Arte o la Vita” un capitolo centrale della storia delle mostre degli ultimi due decenni, nonché un caso studio essenziale di quel neonato filone della curatela contemporanea – già esplorato dal Castello di Rivoli con la mostra dedicata ad Harald Szeemann nel 2019, “Museum of Obsessions” – che si concentra sugli autori delle esposizioni, sulla loro metodologia e la loro influenza, mettendo in scena un cambiamento di paradigma che la storia dell’arte non può più trascurare.