Pollinaria è stata fondata nel 2007 nei territori di Loreto Aprutino, Penne e Civitella Casanova come residenza per artisti in un contesto rurale, sui terreni di un’azienda agricola biologica. Ne parlo con il fondatore Gaetano Carboni.
Simone Ciglia: Quali erano gli intenti iniziali del progetto e come si è evoluto nel corso di questo periodo?
Gaetano Carboni: Pollinaria nasce con l’intento di riunire gli elementi dell’agricoltura, dell’arte e dell’ecologia per indagare il mondo rurale e costruire per esso vie di rinascita. Fin dai primi giorni, abbiamo rivolto attenzione a una ricerca artistica che potesse fondere questi temi per noi cardinali ma capace al contempo di proiettare uno sguardo visionario sul futuro della Terra e dell’umano nell’ambiente naturale. Il sistema rurale sembrava costituire la sfera ideale per approfondire questo campo di ricerca e come metodo d’interpretazione della realtà, così nel tempo abbiamo cercato di mantenere una forte coerenza con l’ispirazione iniziale. Da esperimento sul territorio connesso alla dimensione agraria, Pollinaria ha ampliato nel corso degli anni il suo raggio d’azione proprio attraverso i progetti artistici che gradualmente ne hanno forgiato l’identità, mettendo in relazione e creando campi di condivisione tra contesti rurali eterogenei e geograficamente distanti. La nostra struttura aspira sempre più a incorporare un’opera di ricerca dilatata nel tempo e tesa da una parte alla riflessione sul regno organico, dall’altra all’ascolto delle radici, della storia, della voce degli antenati.
SC: Il luogo è in prima istanza l’elemento identitario di Pollinaria: una campagna d’incanto paesaggistico, una località remota che forse proprio in virtù del suo essere periferica è stata capace di attrarre nel corso degli anni artisti internazionali. Allo stesso tempo, Pollinaria è stata capace di tessere relazioni tali da farne un luogo di scambio e relazione, diffondendone le attività. Negli ultimi anni, maggiore attenzione è stata dedicata anche alla dimensione locale, accogliendo artisti del territorio. In quale modo il contesto ha determinato l’identità di Pollinaria? Come si è articolata la relazione fra proiezione internazionale e legame con il territorio?
GC: Il luogo fisico ha avuto sempre un rilievo fondamentale per la nostra realtà che è innanzitutto un’azienda agricola attiva in modo continuativo dalla metà del XIX secolo e del tutto peculiare sotto il profilo geomorfologico e dell’ecosistema: si tratta, infatti, di un’estesa valle solcata da sorgenti dove le coltivazioni si alternano a pascoli e boschi naturali caratterizzati da vegetazione e fauna selvatica molto varie. Questo ambiente singolare e ricco di stimoli, così come la natura incontaminata e carica di mistero dei Parchi d’Abruzzo, non molto distante dai nostri confini, sono sempre stati parte integrante della nostra essenza e terreno elettivo per le nostre residenze. Ugualmente imprescindibile il legame con la comunità locale, soprattutto con il paese di Loreto Aprutino al quale ci lega visceralmente il trascorso familiare. In alcuni casi, questa connessione con la popolazione locale ha costituito il nucleo fondante dei progetti proposti da artisti internazionali, ponendo al centro di un’idea di rinnovamento in ambito rurale proprio gli abitanti del posto e creando una condivisione di pensiero e azione apparsa sempre più centrale per promuovere quelle opere di salvezza e quei processi di evoluzione che fin dall’inizio abbiamo inteso perseguire. Gli artisti il più delle volte hanno sentito la necessità di fondersi con tutte le espressioni del luogo, creando uno scambio molto naturale tra culture spesso lontane, amplificato in tempi recenti nell’ambito del progetto Aequusol che coinvolge direttamente artisti abruzzesi, consentendo loro di approfondire il rapporto con la terra di provenienza e al contempo di collaborare con artisti e organizzazioni internazionali.
SC: Nel corso di sedici anni di attività, Pollinaria ha ospitato artisti quali Mira Calix (2007), Nikola Uzunovski (2008), etoy (2009), HeHe (2009-2016), Futurefarmers (2010, 2015), Agnes Meyer-Brandis (2011), Fritz Haeg (2012- 2013), Myvillages (2020-in corso), e portato avanti una collaborazione costante con Vaseem Bhatti. Ciascuno ha presentato un progetto diverso per intenti, approcci, media, sviluppo temporale, risultato. In questa molteplicità, come hai visto declinarsi la relazione fra arte contemporanea e agricoltura?
GC: Dall’utopia solare di Uzunovski al sogno sull’avvenire della ruralità dei Futurefarmers, dal libro coltivato e “fumabile” degli HeHe alla colonia di oche pronte all’allunaggio di Meyer-Brandis, la nostra storia è testimone della più varia articolazione di idee e prospettive sui rapporti biologici interspecifici che interessano la presenza umana e che sono alla base della condizione rurale. Qui, l’agricoltura in senso classico, ma anche il ruolo del selvatico e l’influenza del cosmo assumono valore essenziale, e nel loro intersecarsi e costituire materia d’indagine da parte dell’artista offrono delle chiavi di lettura e decodificazione dell’epoca attuale, nella quale è basilare entrare nel corpo della natura e costruirvi all’interno un rivoluzionario archetipo di relazione. Nell’arco della nostra esperienza, l’arte contemporanea – le sue risorse e modalità infinite di plasmarsi per tracciare strade inedite e illuminare diversamente le cose del mondo – incontra la civiltà rurale per immaginare i pilastri del tempo che verrà su questo pianeta, le linee base di una coesistenza, e infondere visioni rigeneratrici e nuovi sentimenti.