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361 ESTATE 2023, Recensioni

26 Giugno 2023, 9:00 am CET

Islamic Arts Biennale 2023 Western Hajj Terminal – King Abdulaziz International Airport / Jeddah di Cristiano Seganfreddo

di Cristiano Seganfreddo 26 Giugno 2023
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Islamic Arts Biennale 2023. Veduta dell’installazione presso Western Hajj Terminal – King Abdulaziz International Airport, Jeddah, 2023. Courtesy Ministero dell’Interno dell’Arabia Saudita.
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Islamic Arts Biennale 2023. Veduta dell’installazione presso Western Hajj Terminal – King Abdulaziz International Airport, Jeddah, 2023. Courtesy Ministero dell’Interno dell’Arabia Saudita.
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Islamic Arts Biennale 2023. Veduta dell’installazione presso Western Hajj Terminal – King Abdulaziz International Airport, Jeddah, 2023. Courtesy Ministero dell’Interno dell’Arabia Saudita.
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Islamic Arts Biennale 2023. Veduta dell’installazione presso Western Hajj Terminal – King Abdulaziz International Airport, Jeddah, 2023. Courtesy Ministero dell’Interno dell’Arabia Saudita.
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Islamic Arts Biennale 2023. Veduta dell’installazione presso Western Hajj Terminal – King Abdulaziz International Airport, Jeddah, 2023. Courtesy Ministero dell’Interno dell’Arabia Saudita.
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Islamic Arts Biennale 2023. Veduta dell’installazione presso Western Hajj Terminal – King Abdulaziz International Airport, Jeddah, 2023. Courtesy Ministero dell’Interno dell’Arabia Saudita.

La città si apre d’improvviso, nella notte desertica, in una distesa di luci che corrono verso il Mar Rosso senza esserne inghiottite. È di scena, a terra, il Saudi Arabian Gran Prix di Formula Uno, il più veloce al mondo con il suo “Overtake the Future”, che ci dice tutto di una terra che cerca e vuole primati, visibilità e unicità. E nuovi futuri. Verso il mare, adesso nero, c’è una macchia luminosa, come il frame congelato di un fuoco d’artificio. Mi immagino i rumori di Ferrari e Williams quando invece è l’aereo che scende su Jeddah, con i suoi quattro milioni di abitanti. Non è il solito viaggio stampa. Almeno così dicono le premesse. È Saudi Arabia. In un mondo che produce migliaia di biennali, mostre e inaugurazioni e in un circuito artistico dove tutto è più o meno uguale, come aeroporti o vie della moda, Saudi Arabia ha un rimando di sconosciuto e di pregiudizi con i quali si atterra. Culturali e politici. Come sarà questa nuova presenza – potenza politica, economica, religiosa e culturale – nella sua incredibile repentina trasformazione?

La Islamic Arts Biennale è organizzata dalla Diriyah Biennale Foundation, ente costituito nel 2020 dal Ministero della Cultura per produrre le prime biennali d’arte nel mondo saudita come quella dello scorso anno a Riyad.

Per vederla, si ritorna nel posto dove si arriva. Il Western Hajj Terminal – Hajj è proprio il pellegrinaggio – offre migliaia di metri quadri monumentali, con vista aeroporto, nel caldo secco del deserto, per partire, come fanno milioni di pellegrini, proprio da qui, per Medina e Mecca.

È Sumaayya Vally, Direttore Artistico, che ci accoglie, avvolta nel nero della sua eleganza, per camminare assieme e percorrere “Awwal Bait” [La prima casa], che ha concepito assieme al team curatoriale composto da Julian Raby, Saad Al-Rashid e Omniya Abdel Barr.

È l’inizio di un viaggio spirituale alle origini dell’Islam e del senso profondo della relazione con la rappresentazione artistica. L’allestimento di OMA tradisce una perfezione millimetrica, pur nella morbidezza di tende e pareti morbide, quasi fragili capanni esterni, fuori scala, per notti stellate in cammino. Il percorso sorprende nell’equilibrio dispositivo tra astrolabi antichi, orologi celesti, rimandi archeologici, che respirano e dialogano con le grandi installazioni affidate ad artisti di varie nazionalità e culture. È una messa in scena dello spazio interiore e dell’essere musulmano, che permette, anche a chi non lo è, di sentire le vibrazioni di un impegno religioso e di una dimensione più comunitaria. Due sezioni all’interno della mostra: “Qibla” [direzione sacra], che enfatizza la spiritualità dell’Islam, e “Hijrah” [migrazione], che riflette sull’importanza della migrazione intesa come scambio tra culture. Le opere trascendono gli oggetti e le installazioni trascendono il pubblico. È una biennale che lavora su un livello invisibile con il visibile, e che non è mai retorica nel trattare un tema delicato e che, velocemente, può diventare mondano. Le domande sono leggere come il vento del pellegrino sulla faccia, a volte grattano come sabbia negli occhi, altre si spostano all’interno rimanendo all’esterno. È un primo passo di consapevolezza. Altre sono miraggi. Come capita nel fuori dentro – luce abbagliante e scie degli aerei in partenza – e l’oscurità dei padiglioni con i loro segreti. E così non è mai il singolo artista a rappresentare questa biennale, tra i quaranta selezionati, a varie latitudini, da Wael Shawky e Moataz Nasr, a Ahmed Mater e Lubna Chowdhary, a Sarah Brahim o Shahpour Pouyan. Non è una biennale di opere ma una biennale di senso, non una biennale di party e after ma di contenuti. È una biennale silenziosa e di comunità.

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