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25 Aprile 2017, 12:44 pm CET

ALT: una collezione trasversale di Alessandra Olivari

di Alessandra Olivari 25 Aprile 2017
Veduta della mostra Collezione trasversale. A sinistra: Thomas Ruff "P. Lappat" (1987). a destra: Barbara Kruger "Untitled (good)" (2001).
Veduta della mostra Collezione trasversale. A sinistra: Thomas Ruff "P. Lappat" (1987). a destra: Barbara Kruger "Untitled (good)" (2001).
Veduta della mostra Collezione trasversale. A sinistra: Thomas Ruff “P. Lappat” (1987). a destra: Barbara Kruger “Untitled (good)” (2001).

Trasversale è il tipo di approccio in virtù del quale il bergamasco Tullio Leggeri ha collezionato, a partire dalla fine degli anni Sessanta, più di mille opere d’arte, partecipando attivamente agli sviluppi della ricerca artistica tanto dentro quanto fuori dai confini nazionali.

Sono circa 250 i lavori che hanno lasciato gli spazi domestici di casa Leggeri per andare a occupare quelli che erano i sotterranei di uno dei primi esempi di architettura industriale italiana, ora trasformati in uno spazio espositivo di 3500 mq pieno di carattere ed energia e che, grazie alla rispettosa ristrutturazione del collezionista, di professione architetto e costruttore, ha ritrovato la funzionalità e la vitalità che l’architetto Ernesto Pirovano gli aveva originariamente conferito.

Una collezione trasversale, quindi, perché non si è sviluppata in modo programmatico, ma avvicinandosi di volta in volta, con grande libertà e disponibilità, alla singola opera, aprendosi a un linguaggio sconosciuto, una idea originale, un punto di vista destabilizzante. Per Leggeri, l’acquisizione di un’opera ha sempre rappresentato da un lato un’occasione di crescita intellettuale e, dall’altro, un modo concreto, mai sconfessato da tentazioni speculative o ripensamenti posteriori, per sostenere e riconoscere l’impegno e il valore dell’artista.

Sotto la curatela di Fabio Cavallucci e con la collaborazione di Giacinto Di Pietrantonio, l’allestimento vede un’ampia sezione composta prevalentemente da fotografie e disegni che hanno per soggetto le mani e la gestualità. Sebbene questa sezione non presenti lavori ambiziosi o suggestivi, attraverso esempi di pratiche e interessi artistici tanto diversi come la fotoantropologia sociale di Martin Parr, la riflessione sulla condizione femminile nel mondo islamico di Shirin Neshat, o la problematica della paternità artistica del “non fare” di John Coplans, essa vuole simbolizzare — ma anche investigare — tanto la manualità come capacità del creare artistico quanto la condivisione, la partecipazione, l’aspetto relazionale non solo del fare artistico ma anche, almeno per quanto riguarda Leggeri, del collezionare arte.

Molte sono le presenze che celebrano il mecenate Leggeri: Maurizio Cattelan, la cui opera Loves Saves Life (1995), in mostra, era stata acquistata da Leggeri accollandosi tutte le spese di produzione, al momento stesso della concezione del lavoro; Vanessa Beecroft, in mostra con la serie Nicht versöhnt (1994), che, ancora emergente, era stata persuasa dal collezionista a iniziare a documentare fotograficamente le proprie performance; o ancora Daniel Knorr, la cui presenza-assenza in una sala separata è a ricordo della produzione e dell’acquisto per Manifesta 7 di Ex privato, un lavoro completamente immateriale. E poi ancora Olaf Breuning, il cui Good News, Bad News (2008) era stato acquistato durante la preparazione del set, prima ancora che la fotografia in mostra fosse scattata.

In uno spazio che non ha né percorsi obbligati né sale numerate, si è mossi ad avvicinarsi alle opere secondo lo stesso spirito di Leggeri — noncurante di movimenti, aree né tantomeno mode artistiche — e ad esplorare la mostra scoprendo, una volta girato l’angolo o proprio dietro il massiccio pilastro di cemento, la magia delle installazioni di Mario Airò e l’intenso lirismo del suo uso della luce; gli arrangiamenti scultorei di Tony Cragg: un invito a una nuova sensibilità e curiosità per l’oggetto e la materia; la controversa accettazione delle dinamiche consumistiche nelle serigrafie di Barbara Kruger; i documenti di inquietante denuncia sociale di Santiago Sierra; la quasi sacrale devozione alla natura degli assemblages di Richard Long.

Dedicato alla memoria di Fausto Radici e impensabile senza la collaborazione di Elena Matous Radici — una parte delle opere esposte proviene sia dalla collezione dei coniugi Radici sia dall’Accademia dei Visionari —, ALT, con questa mostra inaugurale e un programma rivolto tanto alla comunità bergamasca quanto a quella internazionale, ha tutte le carte in regola per diventare un luogo importante per lo scambio e la ricerca culturale.

ALT. Arte Lavoro Territorio – Spazio Fausto Radici, Alzano Lombardo (BG).

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