Arianna Rosica: Caro Andrea, come definiresti il tuo lavoro?
Andrea Kvas: Il mio lavoro può essere paragonato all’improvvisazione teatrale. Sono coinvolti diversi fattori, tra i quali l’intenzione, il fare stesso e le sue conseguenze. Insomma, tutto ciò che mi ha portato a seguire una determinata direzione in un determinato contesto diventa la materia principale del mio operare.
AR: Sei un artista molto poliedrico: utilizzi la pittura, la fotografia, la scultura e una volta hai anche fatto una performance. Con quale tecnica riesci a esprimerti meglio e ti senti più a tuo agio?
AK: Ogni giorno tutto ha inizio con un piccolo segno sulla carta, il resto dipende da cosa mi incuriosisce in quel momento.
AR: Hai partecipato all’ultima Biennale di Praga in una sezione di pittura italian. Pensi che la pittura, da sempre considerata passata, stia ritornando in auge?
AK: Tutti questi dibattiti non hanno mai condizionato il mio rapporto con la pittura e questa è l’unica cosa che mi interessa.
AR: Nel tuo lavoro ci sono soggetti che si ripetono in maniera continuativa, perché?
AK: Il mio lavoro nasce dall’imprevisto che inevitabilmente si crea dalla trasposizione, su carta o altri supporti, di immagini mentali. Questo è il leitmotiv della mia ricerca. Ogni opera è tuttavia diversa da quella precedente, pur essendo accomunate dalla stessa processualità.
AR: Su cosa stai lavorando in questo momento?
AK: Ultimamente non riesco a smettere di pensare al sistema numerico degli Shadocks e alla concezione di gabbia, intesa come limite: il sistema espositivo, il formato DIN A4, il telaio… In questo senso sto producendo delle opere che successivamente serviranno come incipit alla realizzazione di altre opere direttamente nello spazio espositivo. Come se studiassi una partitura, un copione, da eseguire poi in loco, dando sempre più rilievo alla reinterpretazione. Sto anche costruendo una libreria…
AR: Frequenti molti artisti e spazi gestiti da loro. Hai mai pensato di realizzare un lavoro a quattro mani? Se sì, con chi ti piacerebbe farlo?
AK: Sono interessato alla produzione di lavori a stretto contatto con altri artisti, come succede ancora con il “teatro”. Mi interessa poco la fusione di diverse identità artistiche in un’opera unica, piuttosto preferisco un tipo di interazione polifonica in cui ognuno contribuisce a creare una sensibilità comune, corale, ma secondo la propria identità. Ho già collaborato con Kristian Sturi e mi piacerebbe lavorare con Michele Tocca e Nicola Martini, oltre ad altre persone che lavorano in ambiti diversi.