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16 Maggio 2017, 3:43 pm CET

Arte/Natura-Natura/Arte di Alberto Mugnaini

di Alberto Mugnaini 16 Maggio 2017
CILDO MEIRELES, Viaggio al centro della Terra, 2002.
CILDO MEIRELES, Viaggio al centro della Terra, 2002.
CILDO MEIRELES, Viaggio al centro della Terra, 2002.

Con “Arte/Natura-Natura/Arte. Paesaggio e arte contemporanea in Toscana” si è inaugurato il nuovo corso di Palazzo Fabroni a Pistoia. La mostra è a cura del neo-direttore Ludovico Pratesi e di Adriana Polveroni, che negli ultimi anni ha seguito con passione e competenza le interazioni tra arte e spazi pubblici in questa regione. Le opere scelte rappresentano, infatti, i sedici artisti che vantano un maggior numero di installazioni permanenti, siano esse collocate nelle piazze dei paesi, tra i vicoli dei borghi o in mezzo alle colline. “Ogni opera — spiega Pratesi — funziona come un catalizzatore di senso […], in modo da suggerire una comparazione tra interno ed esterno, museo e natura, città e territorio”. Il criterio selettivo preliminare non ha impedito ai curatori di organizzare un itinerario sorprendente, intessendo un percorso fatto di dialoghi e di assoli, di continuità e cesure, spaziando liberamente nel tempo. Da una parte, vengono recuperate le campane del 1993 (Senza Titolo) di Jannis Kounellis, una doppia colonna del 1991 (Ipomea e Pleiade) Arte/Natura-Natura/Arte Alberto Mugnaini di Hidetoshi Nagasawa, un Oculus Memoriae (1986-2007) di Anne e Patrick Poirier, alcune strutture in vetro risalenti addirittura al 1969 di Mario Merz e di Eliseo Mattiacci (del primo un igloo della prima ora, Senza Titolo; del secondo una sorta di mappa lunare minimale e arcana, Rapporto con il mondo). Dall’altra, Daniel Spoerri ci accoglie con il Divano d’erba (2009) fresco di vivaio, e Mauro Staccioli con una struttura di tre metri appena uscita dall’officina (Senza Titolo, 2009). Mentre Vittorio Corsini, con il suo Albero (1991), fatto di funi e morsetti d’acciaio, e Anthony Gormley, con una figura umana in maglia di tondino saldato (Shift V, 1996), si ritagliano dei monologhi in nicchie più appartate, in altre stanze le opere dialogano e si affrontano in duetti e quasi in duelli: straordinaria la scoperta di un’inaspettata composizione di Luigi Mainolfi, Con nacchere a Caracas (1991): enormi valve di ferro ossidato raggruppate a formare un cerchio di oltre tre metri di diametro sulla parete, la quale tiene testa a un antistante Untitled (Black Felt) (1993) di Robert Morris, a sua volta in dialogo, nella sua silhouette piramidale, con una V rovesciata di Staccioli. Altrettanto imprevedibile ci appare la spirale di fotografie trapezoidali di un Mimmo Paladino agli esordi (Senza Titolo, 1976), sagoma nera contrapposta al bianco delle guglie lignee di Sol LeWitt (Pyramids, 1985) e del Nido marmoreo (1994) di Luciano Fabro. Un affondo cromatico è portato invece da Daniel Buren, che usa, per la verità, i verdi e gli azzurri freddi e trasparenti del plexiglas (Couleur et ombre portées n°10, 2006). Infine, deponendo le dieci scritte al neon di Joseph Kosuth (Ten Locations of Meaning [White], 2000) sopra le arcate della facciata esterna, i curatori sembrano voler chiudere (o aprire) questa carrellata di modi e di linguaggi con un’interrogazione circa il loro stesso significato.

Palazzo Fabroni, Pistoia.

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