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9 Agosto 2019, 6:20 pm CET

Christian Jankowski Galleria Enrico Astuni / Bologna di Fabiola Naldi

di Fabiola Naldi 9 Agosto 2019
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Christian Jankowski, “Where do we go from here?” 2019, stampa su PVC, 274 x 460 cm. Courtesy Galleria Enrico Astuni, Bologna.
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Christian Jankowski, “Where do we go from here?” veduta della mostra presso Galleria Enrico Astuni, Bologna. Fotografia di Michele Sereni. Courtesy Galleria Enrico Astuni, Bologna.
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Christian Jankowski, “Where do we go from here?” veduta della mostra presso Galleria Enrico Astuni, Bologna. Fotografia di Michele Sereni. Courtesy Galleria Enrico Astuni, Bologna.
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Christian Jankowski, “Where do we go from here?” veduta della mostra presso Galleria Enrico Astuni, Bologna. Fotografia di Michele Sereni. Courtesy Galleria Enrico Astuni, Bologna.

“Where do we go from here?”, titolo della personale di Christian Jankowski alla Galleria Enrico Astuni a Bologna è anche la domanda esistenziale che precede tutto il percorso espositivo.  

Una carrellata di lavori, più o meno storici, si snoda lungo il perimetro della galleria invitando lo spettatore a infilarsi, sbirciare o assecondare quanto immaginato dall’artista. Opere che si comportano come una mappa concettuale da esperire attraverso percorsi indicati da Jankowski, modificabili dagli spettatori. Se sulle pareti espositive ritroviamo Visitors (2010-2019) un appassionato inventario di commenti e disegni recuperati dai libri dei visitatori delle gallerie d’arte e convertiti in simpatici neon, al centro della sala invece una scultura in scala 1:1 non si allontana molto da una lavatrice in funzione. La grande fotografia all’entrata, intitolata sempre Where do we go from here? (2019)  (scattata da Jankowski durante una viaggio di lavoro al villaggio artistico di Dafen in Cina) ritrae due sculture pubbliche che abbandonando la funzione storica di monumento si trasformano in uno stendibiancheria a uso collettivo.  

Ispirandosi a quanto visto in Cina, alla Galleria Astuni l’artista mette in funzione la lavatrice che laverà gli indumenti dei visitatori che potranno stenderli proprio sulla scultura e nell’attesa prendersi il proprio tempo per riflettere sulla mostra. Una partecipazione “controllata” da una precisa costruzione concettuale intenta ad aprire l’opera, quanto basta, per trasformarla in un’azione pubblica. Proprio come accadde nel 1992 per la video installazione Public Bath in cui l’artista invitava i passanti a farsi un bagno davanti la finestra del suo studio/appartamento ad Amburgo. L’intera mostra potrebbe essere letta come un attraversamento, in cui tante piccole scorciatoie non portano a una destinazione ma all’incontro di altre opere come Neue Malerei (2017–2018) in cui immagini in prelevate dalla rete sono state riprodotte da pittori di Dafen o My Audience (2003 – in corso) in cui lo stesso Jankowski scatta fotografie del pubblico durante le conferenze a cui partecipa. 

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