
Collezionare è per Walter Benjamin un processo di memoria e ossessioni, in cui si intrecciano il desiderio, l’istinto di conservazione, il calcolo e il caos. Il museo come luogo supremo dell’interieur collettivo e le dimore dei collezionisti che diventano il loro guscio. La straordinaria raccolta di Achille Maramotti riflette entrambe le modalità, nella curiosità erudita, la sensibilità estetica e l’intuito nelle scelte di una Wunderkammer privata che adesso si apre al pubblico, nei vecchi stabilimenti della sua azienda di moda. La riconversione funzionale dell’edificio produttivo in spazio espositivo ha restituito tutta la purezza e la nudità strutturale del corpo di fabbrica e il valore simbolico dell’operazione museografica: nella successione delle sale e nel grande open space, inondati di luce zenitale, si mostrano più di duecento opere. Un ordinamento che non è musealizzazione conservativa ma traslazione di memoria: dalle tendenze espressioniste e astratte dell’area informale, alla Pop romana; gli enigmi silenziosi di Giulio Paolini fino all’Arte Povera e alla Transavanguardia, coi suoi cromatismi eccessivi, il Neo Espressionismo tedesco, la pittura americana degli anni Ottanta, con grandi tele all over e la scultura più recente. L’allestimento si traduce in un display rigoroso e minimale, nella logica del white cube, impermeabile a ogni riferimento esterno, politico e sociale, mai asettico, perché racconta un viaggio incalzante restituito in termini emozionali. Con qualche focus su opere eccezionali per elezione di pensiero: da Mario Merz ad Anselm Kiefer al wallpainting di Mimmo Paladino, fino al Caspar David Friedrich (1989) di Claudio Parmiggiani — una barca sospesa che, impenetrabile, campeggia muta negli spazi purissimi —, a Due o tre strutture che s’aggancino a una stanza per sostenere un boomerang politico (1978), una dislocazione ambientale in cui irrompe il sonoro di Vito Acconci, e alle curiosità naturali e balzane di Mark Dion in Grotto of The Sleeping Bear (1997).