Tra le grandi città europee, Milano è storicamente una di quelle per le quali l’identificazione con l’arte contemporanea è particolarmente profonda e di lunga data. Per molti, intensi decenni Milano ha rappresentato uno dei reali terreni di coltura dell’arte europea, incarnando in particolare una straordinaria e pionieristica cultura della contaminazione con le altre forme dell’espressione creativa, dal teatro al design alla moda. Col tempo, tuttavia, si sono manifestati segni di crisi che hanno impedito alla città di mantenere il passo con le grandi realtà continentali di riferimento: primo fra tutti, la sempre più evidente mancanza di un adeguato polo museale del contemporaneo. A livello nazionale Milano mantiene il suo primato dal punto di vista del mercato e della formazione, ma piuttosto che evolvere difende la sua posizione, soffrendo la concorrenza sempre più agguerrita di città come Torino, Roma e Napoli, che possono far leva su sistemi museali di livello europeo, attorno a cui si sviluppano istituzioni private di qualità e anche un mercato sempre più vivace.
Le principali criticità attuali possono essere riassunte in tre punti:
1) La mancanza di istituzioni trainanti di grande prestigio, a esclusione della Triennale, che non soltanto ha riaffermato la sua dimensione internazionale nell’ambito del design e delle industrie creative, ma manifesta una presenza sempre più significativa anche nell’ambito dell’arte contemporanea.
2) La forte frammentazione delle iniziative in una miriade di istituzioni, ciascuna delle quali però caratterizzata da limitazioni in termini di sforzo progettuale, continuità di azione e tavolta anche di budget: le “grandi mostre” di Palazzo Reale, le “kunsthalle a intermittenza” del PAC e dell’Hangar Bicocca, o il nuovo polo della scultura della Fondazione Pomodoro restano frammenti isolati di un sistema privo di organicità e di completezza.
3) La presenza di poli di attività di sicuro prestigio internazionale ma per varie ragioni defilati dal punto di vista del contributo alla creazione di un sistema cittadino del contemporaneo, come la Fondazione Prada e la Fondazione Trussardi.
È questo lo scenario d’insieme in cui si situa la crisi identitaria di Milano nel contesto del contemporaneo, soprattutto se paragonato a quello definitosi negli stessi anni nella vicina Torino, nella quale si nota al contrario un processo di progressivo coordinamento strategico tra un ricco panorama di istituzioni pubbliche e private per il contemporaneo caratterizzate da un buon, a volte ottimo, profilo internazionale e da un crescente radicamento nell’identità condivisa della città, e persino nel comune sentire dei cittadini — che al contrario nel caso milanese presenta episodi ricorrenti di estraneazione e persino di aperta ostilità nei confronti delle manifestazioni più scomode e controverse del contemporaneo, come ad esempio l’ormai celebre intervento di Maurizio Cattelan in Piazza XXIV Maggio. Questi elementi di debolezza si riflettono inevitabilmente anche nei campi contigui, quelli delle industrie creative come la moda e il design, nei quali Milano mantiene ancora una volta un solido primato dal punto di vista del mercato, perdendo però posizioni a livello continentale come laboratorio creativo e di ricerca: una dimensione nella quale l’interazione con un sistema del contemporaneo vitale e propositivo risulta oggi sempre più essenziale.
Negli ultimi mesi, tuttavia, si stanno rapidamente sovrapponendo segnali di un ritorno di interesse verso la creazione di un sistema museale all’altezza della storia e del ruolo della città, favoriti dagli spazi aperti dal grande numero di progetti di trasformazione e riconversione urbana che stanno profondamente modificando la città e che produrranno nel corso dei prossimi anni cambiamenti importanti nel suo sistema delle centralità. Si tratta di iniziative per le quali esistono riscontri specifici ma in alcuni casi ancora prive di piena ufficialità (e quindi passibili di smentite e puntualizzazioni più o meno sostanziali) e a volte non ancora del tutto definite e articolate, ma che possono aiutare a dare un’idea del nuovo quadro che si va disegnando. Allo stato attuale le più significative sono:
1) Il nuovo progetto Triennale Fotografia, che andrebbe così a completare l’appena inaugurato Museo del Design rafforzando l’immagine della Triennale come la più dinamica e propositiva istituzione cittadina nell’ambito della cultura del contemporaneo.
2) Il nuovo Museo d’Arte Contemporanea, annunciato dal Comune ancora una volta di concerto con la Triennale, in un nuovo contenitore progettato da Daniel Libeskind nell’area ex Fiera nell’ambito del progetto di sviluppo CityLife.
3) Un secondo Museo d’Arte Contemporanea, questa volta di iniziativa della Provincia, da localizzare a Sesto San Giovanni su progetto di Renzo Piano nell’area ex Falck.
4) Il Museo del Novecento, promosso dal Gruppo Intesa in una localizzazione ancora non annunciata, che potrebbe attingere a prestigiosi fondi, come l’Agrati e il Mattioli, che fanno parte del patrimonio del gruppo e che si configurerebbe come un prestigioso polo espositivo per l’arte più storicizzata.
5) L’iniziativa di Acacia, l’associazione cittadina dei collezionisti d’arte contemporanea, tra le più accreditate in Italia, che supporta il progetto di un nuovo museo d’arte contemporanea della città, che però non necessariamente implica la promozione di una ulteriore iniziativa in tal senso ma potrebbe eventualmente configurarsi come appoggio all’effettiva realizzazione di una di quelle in progetto.
6) La Kunsthalle Lambretto, un nuovo spazio espositivo privo di collezione dedicato alla ricerca e alla sperimentazione nel contemporaneo che dovrebbe sorgere nell’area di Via Ventura in zona Lambrate, all’interno di un contesto che si è già qualificato come polo galleristico emergente della città e dotato inoltre di spazi occasionalmente adibiti a progetti d’arte contemporanea come la ex Faema.
7) Il rilancio della Fabbrica del Vapore, col suo completamento e la sua messa a regime, che dopo una lunga e incerta transizione creerà un polo espositivo, laboratoriale e relazionale in linea con le più avanzate esperienze europee.
8) Vi è infine da considerare la crescente attività di coordinamento strategico con Torino, resa possibile dal progetto sul collegamento ferroviario ad alta velocità, che potrebbe avere conseguenze rilevanti anche sul contemporaneo, producendo sinergie sempre più significative tra i due poli e configurando di fatto un’unica macro-area metropolitana.
È possibile che questo quadro, già così composito e ricco di progetti anche impegnativi, sia soltanto parziale, soprattutto tenendo conto dei tanti progetti di trasformazione urbana in corso che potrebbero, nelle loro fasi avanzate, prevedere, come sempre più spesso accade oggi nel mondo, poli di “vivacizzazione” culturale legati al contemporaneo. Ma questa ricchezza di proposte evidenzia ancora di più l’ormai drammatica necessità che la città ritrovi un suo coordinamento strategico, per evitare che questo proliferare di nuove iniziative paradossalmente esasperi l’attuale clima di frammentazione delle risorse e dei progetti. Milano può finalmente ritrovare un suo posizionamento forte e autorevole nel contesto internazionale dell’arte contemporanea, ma per far questo occorre non tanto una proliferazione incontrollata di nuove istituzioni, magari tutte alle prese con problemi di budget, di continuità di azione di alto profilo internazionale, di individuazione di una precisa ed efficace missione istituzionale all’interno di un organico e condiviso quadro di insieme, quanto piuttosto il dar vita a pochi progetti autorevoli di indiscutibile prestigio, con un’efficace sinergia con le realtà già esistenti e una copertura adeguata e ben coordinata di tutti gli aspetti: collezione, programma espositivo, grandi progetti, sostegno agli artisti in crescita, sperimentazione sugli artisti giovani ed emergenti, ricerca sui nuovi modelli espositivi e progettuali. In assenza di un reale coordinamento strategico, il rischio è che le varie nuove istituzioni vadano a definire delle missioni in larga parte sovrapposte e sovrapponibili, finendo per farsi concorrenza su vari piani piuttosto che concentrare ciascuna la propria attenzione e le proprie risorse su un preciso ambito di eccellenza da coltivare secondo i più stringenti standard internazionali. Il rischio è cioè quello di sviluppare un insieme di istituzioni “ibride” — relativamente simili tra di loro, magari interessanti a livello cittadino o anche nazionale ma incapaci di rilanciare nel modo dovuto la città sulla scena globale — piuttosto che un sistema propriamente detto, che copra con efficacia e autorevolezza tutti i vari passaggi della filiera del contemporaneo facendone dei punti di riferimento di assoluto valore.
C’è poi il tema dell’equilibrio spaziale e territoriale degli interventi, la necessità di coordinarli alla trasformazione del sistema delle centralità delle città, all’interno di una visione e di una metodologia di urban e cultural planning che superi la prassi, ancora troppo diffusa in Italia, di collocare le istituzioni culturali dovunque sembri esserci uno spazio disponibile e attraente senza però tener conto di tutti gli elementi di contesto, operando al contrario per dare alla collocazione di questi spazi e alla definizione delle loro caratteristiche e della loro missione un ruolo di primo piano nella riprogettazione della qualità e della vivibilità urbana. Il discorso vale anche nel più ampio contesto dell’area metropolitana, che sicuramente va in questo senso stimolata e coinvolta, ospitando anche in provincia nuovi progetti, ancora una volta non fini a se stessi ma pensati nel contesto di un sistema del contemporaneo di area vasta di livello europeo.