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L'occhio di Giacinto

15 Ottobre 2015, 2:45 pm CET

Dell’arte come del maiale… di Giacinto Di Pietrantonio

di Giacinto Di Pietrantonio 15 Ottobre 2015
Wim Delvoye, Art Farm, Yang Zhen (Beijing), 2005. Maiali vivi tatuati.
Wim Delvoye, Art Farm, Yang Zhen (Beijing), 2005. Maiali vivi tatuati.
Wim Delvoye, Art Farm, Yang Zhen (Beijing), 2005. Maiali vivi tatuati.

Qualche giorno prima di Natale ricevo una e-mail con oggetto: Wim Delvoye. La apro e leggo:

Buongiorno,
volevo farvi presente che uno dei vostri artisti, WIM DELVOYE, a causa dei tatuaggi sui maiali non è ben visto in Belgio e in Germania dagli animalisti.
Distinti saluti.

Naturalmente potevo far cadere la cosa, ma decido di rispondere subito, perché la lettera pone un problema con il quale mi confronto molto, molto spesso e cioè le varie modalità con cui persone che non sono interessate all’arte, o all’arte moderna e contemporanea, o che non si dispongono a comprenderne le ragioni profonde, ne contestano la validità, lasciandosi guidare dalle apparenze. Questa lettera non è che un esempio, molte altre volte mi è stato chiesto in modo più diretto: “Ma cosa significa?”. O ancora indiretto, quando conoscenti non interessati all’arte vengono per la prima volta a casa mia e, nel vedere alcune delle opere, esclamano: “Che belle!”. Ma non appena comunico che sono opere d’arte, la loro espressione cambia, passando dall’imbarazzo al “mi stai prendendo in giro”, e potrei andare avanti con esempi di situazioni simili successe a tanti miei colleghi.
Noi, quelli dell’arte contemporanea, sappiamo che suddetta arte è un linguaggio e il più delle volte lo riteniamo autosufficiente, mentre io vorrei provare a dare qualche risposta come quella data alla persona che mi ha contattato e a cui ho scritto:

Gentile Signora,
volevo far presente a lei e ai suddetti animalisti che i maiali di Wim Delvoye sono gli unici maiali che muoiono di morte naturale, mentre tutti quelli degli allevamenti di tutto il mondo dopo un anno all’ingrasso vengono macellati. Wim Delvoye, invece, li tiene in stalle pulitissime, controllatissime, accuditissimi da contadini e poi sono anche curatissimi da veterinari pagati dall’artista, finché non muoiono di morte naturale, seppur tatuati. Se i maiali potessero scegliere, cosa crede sceglierebbero o direbbero? Certamente: “Maiali di tutto il mondo tatuatevi!”
Cordialità e buone feste.

La signora, però, non paga della mia risposta e di quella presunta dei maiali di tutto il mondo che chiedono a gran voce a Wim Delvoye di tatuarli in modo da poter vivere più a lungo, insiste a sua volta con un’altra risposta in cui afferma:

Gent.mo Sig. Di Pietrantonio,
grazie della sua risposta spiritosa a difesa dei maiali del suo artista. Devo però precisare che Wim Delvoye con la sua Swine Art (strano modo di essere vegetariano) è dovuto andare via dal Belgio, perché gli è stato proibito di tatuare i suoi maiali. Adesso il signor Delvoye vive in Cina, dove indisturbatamente può tatuare e rivendere i suoi maiali da fattoria, poiché è un paese senza una legge per il diritto degli animali.
Cordiali saluti.

Al che, la mia risposta:

Gentile Signora,
dire che Wim Delvoye è dovuto andare via dal Belgio, perché gli è vietato di tatuare i maiali è errato, in quanto egli continua a vivere e lavorare in Belgio, mentre ha solo delocalizzato allevamento e tatuaggio di maiali per gli stessi motivi — e cioè economici — per cui molte industrie delocalizzano, e allo stesso modo in cui a partire dagli anni Novanta ha delocalizzato la produzione di sculture in legno intagliate in Thailandia, che in questo caso sarebbe meglio chiamare “Intaglilandia”.
Cordiali saluti.

Dopodiché la Signora non ha più replicato, forse perché si era ritenuta soddisfatta della risposta, o forse, perché non aveva più voglia.
Vorrei però aggiungere qualcosa a quest’opera di Delvoye. Dalla scienza sappiamo che il maiale, al di là della forma, è biologicamente l’animale più vicino all’uomo, non la scimmia, difatti molte sue parti vengono impiegate in medicina, medicinali, trapianti. A Delvoye questo interessa e, quando ha pensato di tatuarli, li ha scelti perché la loro pelle rosea è anch’essa molto vicina a quella umana, il famoso incarnato della pittura, per cui ben si presta a essere tatuata; poi il maiale è considerato un animale sporco, volgare, insomma poco presentabile e a Delvoye interessa la relazione tra questa definizione dell’animale plebeo e quella delle persone che si tatuano, non tanto oggi che è diventata una moda diffusa, ma ieri che era segno di persone marginali: hells angels, carcerati, marinai… una forma che gli permette di recuperare lo scarto dell’arte.
Ecco spiegato uno dei perché dell’arte moderna e contemporanea, che è tale in quanto ci ha insegnato che tutto può essere riportato all’arte e che quindi, cara Signora, dell’arte come del maiale non si butta via niente.

Giacinto Di Pietrantonio è critico d’arte, curatore, Direttore della GAMeC di Bergamo e professore presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano.

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