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15 Ottobre 2015, 1:17 pm CET

Internet semiotics di Domenico Quaranta

di Domenico Quaranta 15 Ottobre 2015
Eva e Franco Mattes aka 0100101110101101.ORG, Catt, 2010. Gatto e canarino tassidermizzati, resina poliuretanica, gabbia, legno, 55 x 40 x 40 cm. Foto: Rinaldo Capra.
Eva e Franco Mattes aka 0100101110101101.ORG, Catt, 2010. Gatto e canarino tassidermizzati, resina poliuretanica, gabbia, legno, 55 x 40 x 40 cm. Foto: Rinaldo Capra.
Eva e Franco Mattes aka 0100101110101101.ORG, Catt, 2010. Gatto e canarino tassidermizzati, resina poliuretanica, gabbia, legno, 55 x 40 x 40 cm. Foto: Rinaldo Capra.

Interior Semiotics è una performance messa in scena a Chicago da una studentessa americana di nome Natacha Stolz il 27 marzo 2010, nell’ambito di una collettiva organizzata da un’associazione studentesca. Dopo aver aperto, non senza difficoltà, una lattina di SpaghettiO’s, l’artista ne versa il contenuto in un pentolino, aggiunge dell’acqua e recita: “Tutto è merda. Attribuiamo significato, importanza e valore alla merda che ci circonda. Viviamo di questo significato e delle nostre parole. Viviamo di valore, diamo importanza, ma tutto è merda”. Ripete la sua dichiarazione al contrario, sillabandola, mentre si spalma gli spaghetti sulla T-shirt. Poi afferra una forbice, si taglia i pantaloni, si infila le dita sporche nella vagina e inizia a orinare sul pavimento. Quindi si toglie la maglia, pulisce il tutto ed esce di scena. Il pubblico applaude.
Se di questa performance parliamo, a mesi di distanza, sulle pagine di Flash Art, non è per il suo (discutibile) valore artistico, né per il fatto che, nel maggio 2010, qualcuno ne abbia caricato la documentazione su YouTube. Del resto, per circa due mesi, quel video rimane nel limbo di invisibilità a cui sono condannati materiali di questo tipo. Poi, in agosto, succede qualcosa. Nel giro di 48 ore, il video viene visto duecentomila volte. Mentre scrivo, il contatore di YouTube segna 1.057.191 visite, 1405 “mi piace”, 14.434 “non mi piace”.
Ciò che è successo è che il video è stato postato su 4chan, un forum che raccoglie e commenta immagini e video di ogni tipo. I “4channers” sono tanti, giovani, tecnologicamente smaliziati e postano per lo più in modo anonimo, il che consente loro qualsiasi tipo di infrazione delle regole di netiquette. Lì sono nati molti dei meme della rete, fenomeni virali come i “lolcats” (foto di gatti accompagnate da un commento testuale che ne verbalizza i pensieri); e lì è nata Anonymous, l’aggregazione di hacker divenuta popolare anche in Europa dopo i suoi attacchi ai nemici di Wikileaks.
L’interesse dei 4channers per Interior Semiotics si lega in gran parte alla loro ostilità nei confronti della cultura “hipster”, di cui il video sembra espressione. Gli hipster sono una sottocultura in cui il pensiero indipendente e il rigetto del mainstream diventano tendenza e moda; il rifiuto dello stereotipo diventa stereotipo. In effetti, non è difficile riconoscere nel popolo dell’arte una ramificazione della cultura hipster. Nel video, le sue tracce si trovano sui volti degli spettatori, su cui i 4channers si concentrano più che sulla performance stessa: ritagliandoli e isolandoli perché possano essere usati in altri contesti; affiancando loro un commento testuale, aggiungendo fumetti, ecc.
Quanto alla performance, le reazioni si concentrano soprattutto sull’uso della lattina di SpaghettiO’s e sulle difficoltà che Stolz rivela nell’aprirla. Ma c’è di più: in poche ore, i 4channers scoprono e rendono pubblica l’identità e i contatti personali dell’artista, diventano suoi amici su Facebook per poi insultarla e minacciarla, diffondono le foto personali che trovano sul suo account. Con nomi come “SpaghettiO Girl”, “Pizza Slut” (l’associazione che ha promosso la mostra), “Gabbi Colette” (lo pseudonimo adottato da Stolz per proteggersi dalle persecuzioni), il meme esplode e si diffonde in rete, rimbalzando sui blog e stimolando la creazione di decine di reaction videos, mash-up, persino una canzone.
Il caso è interessante per diversi motivi, non da ultimo per quanto ci dice sull’arte. Cosa succede quando l’arte finisce, per qualche motivo, sotto lo sguardo critico di una comunità molto più ampia di quella a cui si rivolge? E nelle mani di un pubblico che non è solo un pubblico, ma che reagisce, manipola, ricrea, produce nuovo senso servendosi di codici diversi da quelli dell’arte, ma non meno interessanti?
Il meme Interior Semiotics è il risultato dell’incontro-scontro tra l’arte contemporanea e Internet come piattaforma pubblica e luogo di relazione, e ci fa intravedere come l’arte potrebbe uscire ridefinita da questo scontro. Tutto ciò, Natacha Stolz l’ha subito, ma c’è qualcuno che se l’è andato a cercare.
Il 6 novembre 2010, una nuova opera di Maurizio Cattelan ha fatto la sua apparizione alla Inman Gallery Annex di Houston, Texas. Nell’opera, un gatto impagliato ci osserva da una gabbia per uccelli, a sua volta studiato da un canarino appollaiato sul gancio esterno. Qualcuno, a Huston, commenta: “Una straordinaria manifestazione dell’approccio ironico e antiautoritario di Cattelan”. Ma l’opera non è di Cattelan. Rivendicandola, Eva e Franco Mattes la descrivono come la traduzione in scultura di un “lolcat” trovato su 4chan (lì, l’immagine è commentata da un altro tormentone di Internet, “epic fail”). Secondo i Mattes, “a ogni istante che passa, Internet crea più arte di quanta un artista ne potrà fare in tutta la sua vita. È un’arte creata da gente qualunque per gente qualunque, e circola liberamente”. Ovviamente, la foto di Catt (2010) ha ripreso a circolare, fornendo la base per nuove variazioni sul tema del cage cat.
Più che un invito a ridefinire le barriere tra arte e non arte, Catt è il riuscito tentativo di farci riflettere su come l’arte, in realtà, sia solo un episodio di un’ininterrotta storia delle immagini che comprende anche la pubblicità, la cultura di massa, la produzione amatoriale. Un processo di rielaborazione continua che dovremmo prendere in seria considerazione, se vogliamo capire l’arte. E un processo su cui Internet sta avendo un impatto senza precedenti.

Domenico Quaranta è critico, curatore e docente. Autore di Media, New Media, Postmedia (Postmedia Books, Milano, 2010) e direttore artistico del Link Art Center, Brescia.

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