Una volta che la polvere si sarà posata, le mascherine saranno una reliquia del passato e il termine “distanziamento sociale” soltanto un brutto ricordo, potremmo domandarci quali opere d’arte prodotte durante o sulla scia della pandemia sopravviveranno anche oltre i tempi difficili in cui sono state realizzate. Un lavoro che cattura perfettamente lo spirito di un periodo senza precedenti, ma, allo stesso tempo, trascendendolo, è The Age/L’Età di Emma Talbot, presentato in anteprima alla Whitechapel Gallery di Londra (2022) e attualmente esposto in una forma leggermente modificata presso la Collezione Maramotti a Reggio Emilia.
Talbot ha realizzato le opere durante i sei mesi di residenza in Italia, dopo la vittoria dell’ottava edizione del prestigioso Max Mara Art Prize for Women nel 2020 – residenza posticipata poi di un anno e mezzo per ovvi motivi. Alcuni dei temi da lei affrontati nei lavori precedenti – come le strutture patriarcali o le conseguenze disastrose del capitalismo e del riscaldamento globale – sono oggi più rilevanti e tangibili proprio a causa della pandemia. Una delle tante influenze presenti nel suo nuovo lavoro è quella esercitata dall’anziana donna in menopausa del dipinto di Gustav Klimt Le tre età della donna (1905), che l’artista ha avuto modo di vedere alla Galleria Nazionale di Roma durante uno dei suoi viaggi di ricerca. I lunghi capelli grigi, la testa china, la postura sghemba e il ventre sporgente della donna sembrano esprimere un sentimento di vergogna. Sentendosi offesa dalla resa ageistica di questo personaggio – e avendone tra l’altro riconosciuto, non senza sgomento, alcune somiglianze fisiche con il suo stesso corpo –, Talbot ha deciso di rendere la donna la protagonista del proprio lavoro, conferendole, però, un ruolo ben più attivo rispetto al dipinto di Klimt. La donna senza volto, eppure rugosa, fa da protagonista in due pannelli sospesi di seta dipinta alti undici metri che occupano un posto centrale in questa mostra – e in tutte le altre opere esposte.
Delineata da concise linee nere, la figura cammina, inciampa, cade e si rialza in un paesaggio vulcanico, una scena di rovine post-apocalittiche da cui essa sembra apparire e scomparire, accompagnata qui e lì da testi scritti a mano che si rivolgono allo spettatore in modo diretto (“rifiuta le antiquate storie di potere”, “dimentica il mainstream, lascia spazio ad altre idee”), comunicando un messaggio di speranza come un oracolo di un altro mondo. Se da un lato i dipinti su seta sono la logica continuazione del suo stile caratteristico, dall’altro l’artista si muove verso nuove direzioni con l’animazione The Trials (2022), una tecnica che ha imparato a padroneggiare durante il lockdown. L’animazione riscrive la storia delle dodici fatiche di Ercole in capitoli brevi, nell’atmosfera di un cupo paesaggio sonoro, anch’esso autoprodotto. Talbot, affidando nuovamente al personaggio della donna anziana un ruolo centrale, sostituisce il discutibile comportamento da maschio alfa di Ercole – il quale raggiunge i suoi obiettivi con furti, tradimenti e omicidi – con un approccio più attento e sostenibile, utilizzando i dodici principi della permacultura come principio guida. In The Augean Stables, ad esempio, la donna condanna la soluzione a breve termine di Hercules, che devia un fiume per ripulire le stalle, lanciando un appello a favore dell’energia pulita e denunciando la nostra dipendenza collettiva dai combustibili fossili.
Attraverso questi riferimenti specifici al ‘qui e ora’, così come altri riferimenti espliciti a temi scottanti come Brexit, Covid-19 e globalizzazione, l’artista conferisce alla sua opera epica e senza tempo un tocco straordinariamente contemporaneo, switchando con disinvoltura tra passato e presente. Sebbene il suo linguaggio visuale – un mix idiosincratico di Gustav Klimt, William Blake e molti altri, combinato con le antiche tecniche di artigiani/e approfondite durante la sua residenza italiana – appaia volutamente più ancestrale che contemporaneo, l’artista affronta alcune delle parole chiave dell’attualità (patriarcato! Antropocene!) in un modo che sembra più vissuto in prima persona, sincero e visivamente accattivante rispetto a molti dei suoi contemporanei. Mescolando la sfera personale con quella politica, l’allegorico con il quotidiano, il passato con il presente, Talbot raggiunge una notevole forma di atemporalità, portando la testimonianza ultima del potere trasformativo dell’arte.