Fabiana Bellio: Per descrivere le tue opere hai spesso parlato di “apparizione”. Puoi spiegarci meglio cosa intendi con questa definizione?
Filippo La Vaccara: Ciò che definisco “apparizione” è il condensato di più immagini messe insieme, fermate, che danno vita a un’unica immagine, l’anima del mio dipinto.
Quando mi interessa un soggetto, con dei disegni ne esploro le caratteristiche, e inizio a tracciare delle linee alla ricerca della figura che possa meglio rappresentarlo. Questi schizzi sono molto importanti per me, danno forza e alimentano l’idea o la sensazione che quel soggetto mi ha comunicato.
In una fase successiva nascerà l’immagine — l’idea o, appunto, l’apparizione — che ho cercato e nutrito.
FB: I tuoi dipinti, così come le sculture, sembrano essenziali, ridotti al limite, proprio come gli spazi che fanno da sfondo, un incanto nella loro desolazione. Parlaci di questi silenzi visivi che da sempre crei.
FLV: Questa semplificazione estrema in realtà non è ricercata da parte mia, si tratta piuttosto di una “distillazione” dell’immagine che avviene in maniera molto naturale. Un dipinto, così come una scultura, è a mio avviso un modo per riordinare le idee del mondo. Ecco perché rimane l’“essenziale”.
FB: I soggetti che scegli sembrano personaggi di una fiaba, e ciò rende per certi versi la tua pittura semplice, perlomeno dal punto di vista formale. Qual è il concetto alla base?
FLV: Il mondo contemporaneo è già fin troppo pieno di materiale e informazioni superflue. La mia pittura al contrario sceglie la chiarezza e la leggerezza per esprimersi. Per questo motivo è facile trovarvi rimandi alle fiabe e ai personaggi che, pur nella loro immediatezza, hanno in ogni caso un contenuto più profondo e complesso. L’opera d’arte, in questo senso, può darci l’opportunità di uscire dal mondo ordinario, condurci per un viaggio e riportarci infine al punto di partenza con qualcosa in più. Un universo comprensibile, simile e parallelo a quello a cui siamo abituati. Questo è ciò che mi piace rappresentare.