La bellezza che si rivolge agli occhi è solo la magia del momento; l’occhio del corpo non è sempre quello dell’anima. – George Sand
Le fotografie di Francesca Woodman fanno appello a una moltitudine di contraddizioni: piacere e dolore, sensualità e durezza, trasparenza e solidità, piattezza e multidimensionalità, l’istante e la continuità del momento. Prodotte nell’arco di nove anni, dal 1972 al 1981 (tra i 13 e i 22 anni), esse appaiono a volte come esercizi scolastici; non a caso, dal momento che molte di esse furono risposte a problemi posti dai suoi insegnanti. Ma nella maggior parte dei casi, le fotografie di Woodman sono più che semplici risposte a domande e scavano più in profondità fino a produrre immagini persuasive e poetiche attraverso la fotografia, un mezzo che prontamente si prestava alla sua immaginazione e che dominava con facilità. La fotografia, nelle sue possibilità artistiche e di documentazione, invita a una compenetrazione dello stato psicologico del soggetto fotografato con l’occhio del fotografo. Il fatto che Woodman fosse spesso sia dietro che davanti l’obiettivo della macchina fotografica dà alle sue fotografie una dimensione aggiunta che va oltre il semplice autoritratto: esse sono essenziali memoranda di come la femminilità sia costruita e del potere della nuda forma femminile tanto di rivelare quanto di evocare il desiderio.
Nel corso della sua breve vita Woodman ha prodotto un corpus di opere (più di 500 negativi, provini e stampe) che indica un acuto e prodigioso senso di se stessa come artista. Come studentessa alla Rhode Island School of Design (RISD) di Providence, tra il 1974 e il 1978, assimilò gli insegnamenti dei suoi professori ma non rimase immune dalle tendenze artistiche del momento. Senza dubbio la predominanza dell’Arte Concettuale e della Body Art durante gli ultimi anni Settanta deve aver avuto i suoi effetti sulle sue scelte estetiche e probabilmente rinforzato il suo legame con la fotografia. Gli artisti aderenti a questi movimenti così come quelli dediti alla performance e al femminismo, concepirono il potenziale documentaristico della fotografia come elemento di investigazione dei fondamenti della rappresentazione (Joseph Kosuth), come critica istituzionale (Martha Rosler, Louise Lawler), come strumento di riesame degli stereotipi femminili (Cindy Sherman, Laurie Simmons) o come traccia visiva di azioni temporali (Laurie Anderson, Vito Acconci). Come già osservato in un primo saggio di Abigail Solomon-Godeau sulle fotografie di Woodman, lei, come altre artiste della sua generazione, doveva essere a conoscenza delle nuove emergenti teorie cinematografiche, in particolare del pionieristico saggio Visual Pleasure and Narrative Cinema [Laura Mulvey] (pubblicato su Screen nel 1975) e la sua dissertazione sulla psicanalisi e le formazioni sociali del sé attraverso le rappresentazioni cinematografiche delle donne. Questi sviluppi, così come l’irrompere del colore nell’arte fotografica promosso da William Eggleston, portarono a un boom durante i primi anni Ottanta che rese la fotografia il mezzo per eccellenza di quegli artisti interessati a sfidare i criteri consolidati imposti alla “fotografia-come-arte” dalle tradizioni modernista e pittorialista. Artisti che non erano necessariamente fotografi professionisti iniziarono a utilizzare la fotografia come un mezzo tra tanti, considerando la sua capacità di comunicare in modo significativo e immediato non dissimile dalle pietre e dai gessi dei primi creatori di immagine nelle grotte di Lascaux o dai pennelli e scalpelli di pittori e scultori nel corso della Storia dell’Arte.
Retrospettivamente, artisti come Lawler, Sherman e Simmons, così come Jack Goldstein, Sherrie Levine, Richard Prince e Sarah Charlesworth, tra gli altri, sono stati raggruppati come “The Picture Generation” dopo l’autorevole saggio Pictures, scritto dal critico americano Douglas Crimp che lo pubblicò prima su October (1979) e subito dopo organizzò una mostra a New York con lo stesso titolo. Nonostante le loro poetiche fossero diverse, ciò che accomunava questi artisti era il fatto che facessero parte della prima generazione cresciuta con le immagini in movimento — televisione e film — e scelsero la fotografia per la sua capacità di catturare ma anche di costruire una visione del mondo in rapido cambiamento. Il loro lavoro trasformò, attraverso un processo che Crimp etichettò come “l’attività fotografica del Postmodernismo”, il profluvio dell’informazione visiva rinvenuto nella cultura popolare americana in persuasive, critiche ma anche belle, fotografie. Francesca Woodman, pur facendo parte di questa generazione e quindi indubbiamente con interessi analoghi (in particolare nella rappresentazione del corpo femminile), aveva un temperamento estetico molto più radicato negli effetti visivi trovati, innanzitutto, in un tipo di malinconia vittoriana evidenziata dalle fotografie di Julia Margaret Cameron e poi nelle evocazioni oniriche dei più complessi livelli di coscienza caratteristici del Simbolismo e del Surrealismo.
Nel 1977 Woodman fu selezionata tra i migliori studenti della RISD per partecipare all’Honors Program, corso scolastico della durata di un anno a Roma. Questo periodo si rivelò estremamente importante per la sua evoluzione come artista, non solo grazie al modo in cui il suo lavoro venne influenzato dagli splendori estetici della città — la sua arte, architettura e qualità della luce — ma anche perché l’artista trovò nei negozi di alimentari e nei mercatini delle pulci della città, gli oggetti, gli abiti vecchi e gli altri articoli che finirono nelle sue fotografie. Parlava l’italiano, aveva già una certa familiarità con l’Italia (i suoi genitori possiedono una casa in Toscana) e si spostava facilmente in giro per la città. Oltre ai mercati, Woodman scoprì antichi caffè, un vecchio pastificio convertito a studi da numerosi pittori romani (tra gli altri, Giuseppe Gallo, Gianni Dessì, Bruno Ceccobelli, Sabina Mirri) e vicino al suo appartamento nei pressi di Campo dei Fiori, una piccola libreria gestita da due giovani bibliofili. La Libreria Maldoror nacque dall’estro di Giuseppe (Cristiano) Casetti e Piero Paolo Missigoi, le cui capacità e interessi includevano non solo libri ma anche cataloghi d’arte, cartoline e fotografie vintage, giornali letterari e libri di testo medici di scrittori e artisti associati al Simbolismo, al Surrealismo e al Futurismo. Fu un luogo in cui Woodman trascorse ore e giorni, e dove vide la prima edizione di libri e cataloghi di e su Antonin Artaud, Balthus, Georges Bataille, André Breton, Isidore Ducasse alias Comte de Lautréamont, Louis-Ferdinand Céline, Friedrich Nietzsche o Odilon Redon. Oltre a questi e altri scrittori e artisti molto conosciuti, Woodman casualmente ne incontrò altri più oscuri, come ad esempio il simbolista viennese Max Klinger, che ebbe un’importante ascendenza su Giorgio De Chirico e le cui serie di incisioni a partire dal 1881, Paraphrase über den Fund Eines Handschuhs (Parafrasi sul ritrovamento di un guanto), con molta probabilità ispirarono alcune delle immagini che Woodman incluse nel suo primo libro d’artista, Some Disordered Interior Geometries (1981). Nelle incisioni di Klinger si assiste a una narrazione — un guanto lasciato cadere da una donna viene raccolto da un uomo il quale fantastica sulla sua proprietaria — che offre un saggio visivo sorprendentemente conciso sul feticismo (il quale, non a caso, è contemporaneo alle investigazioni di Freud nell’ambito dell’inconscio e alla formulazione della psicanalisi). Il carattere fantastico o l’evocazione onirica del desiderio sessuale rinvenuto nelle stampe di Klinger interessarono chiaramente Woodman, che usando un vecchio quaderno italiano per appunti di geometria che aveva trovato alla Maldoror, sovrappose immagini di se stessa e testi scritti a mano sopra i diagrammi e i teoremi di geometria lì stampati.
Quando Woodman non usava il suo corpo come soggetto, spesso chiedeva all’amica Sloan Rankin-Keck di farle da modella. Le due giovani donne si erano conosciute nel 1975 durante il loro primo anno alla RISD e Sloan diventò la più devota e costante collaboratrice di Woodman durante i sei anni seguenti, quindi per più della metà del tempo che Woodman dedicò attivamente al suo lavoro. La loro relazione — come migliori amiche, colleghe, collaboratrici — produsse alcune delle immagini più accattivanti e poetiche di Woodman, a volte offuscando, mettendo assieme e scattando le fotografie in modi che mascheravano l’identità del soggetto così che i corpi delle due amiche diventavano intercambiabili. Prima a Providence, poi a Roma e infine a New York, Sloan appare come l’alter ego dell’artista: protesa verso una luminosa orbita simile a quella solare dipinta sul muro di una strada coperta di neve (Sloan, 1975); come una figura angelica sospesa sull’uscio di un palazzo romano (“Angel Series”, 1977-1978); o come una cascata di capelli biondi che scendono oltre il bordo di una vasca da bagno (Untitled, New York, 1979-1980).
Durante l’anno trascorso a Roma (dal settembre del 1977 al maggio del 1978), le due amiche facevano ogni settimana gite a Porta Portese e a Piazza Vittorio, i mercati dove comprarono gli abiti vecchi, i frutti e il pesce che Woodman usò per le messe in scena in seguito immortalate nelle sue fotografie. Le anguille, o capitoni, una tipica leccornia romana natalizia, trovarono posto in diverse fotografie prodotte durante quell’anno. In una stampa senza titolo, il torso nudo e curvo dell’artista è disteso su un pavimento a intarsi bianchi e neri, cingendo una tinozza bianca con all’interno un’anguilla attorcigliata dalla pelle lucente. (Woodman stampò almeno due versioni di questa immagine, col suo corpo su entrambi i lati dell’anguilla). Mentre la sua figura è lievemente fuori fuoco, l’anguilla, il suo contenitore e i frammenti delle piastrelle del pavimento sono netti e nitidi; c’è un valore fallico attribuito al pesce, alla sua superficie nera in contrapposizione al bianco della tinozza e dei suoi fianchi, che catturano la luce tanto da dare l’impressione di brillare come la pelle dell’anguilla.
In una serie di sei fotografie anch’essa realizzata in questo periodo, intitolata “Fish Calendar-Six Days” (1977-1978), la sensualità palpabile rinvenuta nell’immagine dell’anguilla è contrapposta a un lato più giocoso e divertente. Qui Woodman usa tre limoni per rappresentare il mese di marzo e, come le pagine di un calendario, ognuna delle stampe successive include una o più anguille — su un tavolo, un piatto, appese tra le sue cosce — per corrispondere a un numero di giorni specifico. Ad esempio, la stampa per il 2 marzo mostra in primo piano un tavolo di marmo, due dei tre limoni sul suo margine destro, e un piatto bianco in equilibrio sul suo margine superiore con sopra un terzo limone e un’anguilla. Dietro al tavolo, alla sinistra del piatto, si vedono le gambe di Woodman avvolte in calze nere a righe verticali, tagliate all’altezza delle anche, e una seconda anguilla sospesa tra le sue gambe. Nell’ultima fotografia del calendario, l’artista siede nuda, in ombra, abbracciando le sue ginocchia, con il tavolo in primo piano ma con la sua metà di sinistra tagliata fuori dall’immagine. I tre limoni, tagliati e sbucciati, sono sul tavolo assieme a una singola anguilla sul piatto; le altre cinque anguille formano un drappeggio lungo il tavolo, con le teste che pendono dal lato di fronte. Giocose ed erotiche, queste fotografie indicano allo stesso tempo una lucentezza di spirito, un acuto senso della forma e un arguto simbolismo che le era proprio.
Woodman dimostrò spesso questa sua indole durante l’anno trascorso in Italia, che fu caratterizzato da costanti conversazioni sui libri e sull’arte, stimoli intellettuali e un cordiale senso di familiarità specificamente italiano. Gli amici che la conobbero allora raccontano di aver ricevuto da lei piccole note, messaggi, disegni e piccole stampe che attaccava alle loro porte quando erano assenti. Uno di questi è in forma di ricetta inventata per Casetti, scritta nel suo italiano imperfetto e civettuolo:
Winter Cooking: Ricetta invernale per frittata frizzante à la Francesca
1 orsacciotto di ricotta
2 di quelle mele verdi che so buoni dentro e brutti fuori
Girare nella mozione delle scondinzolavi di Ducasse (Casetti’s dog)
1 noce di Cristiano
Gratti dentro e giri bene ma ti raccomando con cura e calma.
Cucina la miscela con calore e tenerezza.
Se la frittata non frzza o pure a la pelle dura vale la pena convincerla anche visitarla.
Se invece la frittata è sciolta o troppo sensibile dala una parola rotonda e speciale o pure un piccolo carezza per convincerla di addrizzarsi. Anche un morso ai bordi. Questa frittata sembra faticosa ma è deliziosa e molto nutriente. Puo durare molto tempo e se conserva benissimo anzi insaporisce se è tenuta calda e trattato bene. Buon apettito!!