Francesco Gennari realizza un’opera costituita da un foglio di carta bianco al centro di cuiscrive: “Io sono Francesco Gennari”. Così – immediato e diretto – l’artista introduce il suo essere nel mondo. Tale azione è lapalissiana solo all’apparenza. Il processo di traduzione del sé in pura forma verbale, e la consapevole rinuncia a un’ulteriore componente visuale, tradisce una raffinata complessità di pensiero e contiene, in nuce, molte delle riflessioni sulle questioni di rappresentazione e autorappresentazione che accompagneranno Gennari in tutto il suo percorso.
D’altra parte, l’insistenza sull’autoritratto non è una novità ma una modalità a cui gli artisti hanno costantemente fatto ricorso per presentarsi e raccontarsi, in maniera letterale o tramite metafore e allegorie. Nell’autoritrarsi Gennari sceglie di operare per sottrazione. La sua figura non necessariamente è sempre presente, è richiamata talvolta proprio nella constatazione della sua assenza. Il corpo non è più misura di tutte le cose, diventa le cose stesse e, al contempo, le cose si fanno corpo, o sua evocazione, percezione, sensazione. O, per traslato, si reificano quali traduzioni mnestiche di un accadimento o di uno stato d’animo.
L’autoritratto è centrale anche nella personale di Gennari alla GAMeC di Bergamo, a cura di Lorenzo Giusti, di cui l’artista ripercorre in questi termini la genesi: “Poiché sta arrivando il temporale, ho deciso di fare una mostra dentro una nuvola grigia, carica di pioggia…; al suo interno scariche elettriche che danno luogo a tuoni e fulmini, ma anche di colori dell’arcobaleno che nascerà dopo il suo passaggio”. La selezione di opere dal 2009 al 2019 – alcune mai esposte in precedenza –, offre una perfetta esemplificazione di quella “sintesi irrazionale di sentimenti contraddittori” che è la pratica di Gennari, giocata su ambiguità e dicotomie: fulmini e arcobaleno, appunto, o poesia e geometria, tangibile e intangibile, visibile e invisibile, chaos e cosmos. Fondamentali i materiali, da lui impiegati senza gerarchizzazione alcuna, per la loro spendibilità narrativa, siano essi preziosi, organici o industriali – dal marmo al vetro al bronzo al gin. Gennari rifugge il realismo, la verisimiglianza, riuscendo a essere allo stesso modo fortemente realista. Le opere parlano profondamente di lui. E Gennari, a fronte della loro presunta matrice minimalista, rivendica in esse uno straripare di emotività. Opere tanto fisiche quanto metafisiche. Ma una metafisica del quotidiano, dove il dato autobiografico è costantemente trasceso per assurgere a universale.