Guia Cortassa: Nei tuoi lavori c’è una dicotomia: un’apparenza molto gradevole, estetica, e un contenuto violento e distruttivo; oppure una risoluzione formale più graffiante, dura, per un contenuto più candido.
Gabriele Porta: Non voglio mettere due realtà a confronto, ma indagare lo spazio tra questi due poli; la dicotomia è la partenza, voglio sapere cosa c’è all’interno, nel territorio che non riesco mai a controllare quando giro un video: il luogo più interessante in cui un artista possa stare. Nel caso di In the Middle of the Floor There Is Something You Cannot Control si tratta di un evento che né io né gli altri possono manovrare. Tutto ciò che ne esce, per me, è una sorpresa che rende il lavoro più interessante anziché avere un controllo preciso e confinato su ogni singolo aspetto. Mi piace dare un inizio e una fine, ma lascio molta libertà a quello che c’è in mezzo; generalmente non spiego il mio lavoro. Mi piace l’idea che il fruitore riesca a trovarvi qualcosa di nuovo.
GC: Che scarto c’è tra i video e i lavori statici?
GP: Non c’è grandissimo scarto. Uso sempre lo stesso stile, anche durante la realizzazione; sono libero dal punto di vista formale, per esempio in In the Middle of the Floor…, non avevo mai usato la camera a mano, ma sempre un cavalletto. Mi interessa il video come indagine sul tempo e l’immagine statica come ricerca tra lo spettatore e l’opera, in una sfera più intima. Non ho mai lavorato sullo spazio con un progetto da poter essere realizzato in site specific, a parte in occasione di Frieze, tra l’altro sempre con una forma adattabile.
GC: Mi sembra ci sia molta letteratura nelle tue opere.
GP: Sì, mi interessa la letteratura perché al contrario di un film — in cui è tutto prestabilito, dal volto alla storia, all’idea del protagonista — lascio più spazio al fruitore. Leggere è uno degli ultimi baluardi della conoscenza privata, si fa da soli. Il cinema, pur avendo una visione singola, rimane sempre un momento collettivo.
GC: C’è anche tanta scienza, umana e biologica; un interesse quasi darwiniano.
GP: Lavoro sul genere umano, sull’uomo come persona e condizione, cosciente dei miei limiti; grazie al direttore del Bioparco di Roma, ho scoperto la grande quantità di teorie evoluzionistiche esistenti, che si integrano tra loro. Mi interessa il rapporto tra filosofi a e scienza rispetto all’uomo, un approccio sia umanistico sia antropologico. Le grandi domande fatte dalla scienza sono quelle su cui ha riflettuto anche la filosofia per secoli; il darsi sempre e per forza risposte anche dove non siano presupposte. Persino la fisica ha ricercato la “particella di Dio” con l’acceleratore del CERN, è questo il mio approccio scientifico.
GC: Come scegli i tuoi materiali?
GP: È un fatto tattile, devo toccarli, scelgo quelli che mi piacciono di più. Quando scelgo, per esempio, la carta vetrata, mi preoccupo anche del colore, ma ciò che conta è la texture. Ora sto cercando uno specchio che renda un’immagine sfocata, si ottiene con una sabbiatura. Forse è la chiusura del cerchio.
GC: E per il futuro?
GP: Non ho un progetto organico; lavorerò su video abbastanza complessi, che richiederanno tempi di realizzazione lunghi. Mi piacerebbe riuscire a realizzare un’installazione site specific. E, magari, una performance.