Patrizia Ferri: Dall’asciuttezza dei tuoi esordi negli anni Sessanta all’adesione al Medialismo negli anni Novanta, fino all’esercizio intellettuale ed estenuato sul linguaggio di oggi che ha il suo apice nel ciclo di fiori del male, immortalati un attimo prima di venir meno, c’è una ineluttabile fedeltà di fondo. In cosa sei cambiato oggi e cosa è cambiato nella tua visione del mondo e della realtà.
Gian Marco Montesano: Sono invecchiato, non cambiato. Noi, come tutte le cose, facciamo un’ingiustificata apparizione, sostiamo un attimo poi… rien ne va plus, les jeux sont faits…e si scompare. Si direbbe che io sia nato in un parcheggio, in un’area di sosta e che di lì non mi sia più mosso. Cambiare cosa? Perché?
PF: In che modo la tua esperienza come seminarista prima e come militare subito dopo ha influenzato il tuo lavoro? Voglio che mi racconti ancora quell’aneddoto sul canto della quaglia…
GMM: Non sono state esperienze, sono state le mie uniche scuole. Cosa ho imparato? Probabilmente a non interessarmi agli individui, ai soggetti, ma a guardare solo all’insieme, alle composizioni intricatissime che si formano nella collettività. Guardare ai Simboli che nascono dentro al gioco collettivo e non alle persone, ecco cosa ho imparato. Soprattutto ho imparato a disfarmi di me stesso, a liberarmi dell’Io. Senza dimenticare le quaglie del Colonnello Polo, anche loro mi hanno insegnato qualcosa. Prestavo inutilmente l’orecchio a una realtà inesistente. A forza di essere “messo agli arresti” ho finito per imparare che le quaglie, come la realtà, non cantano.
PF: Dopo il tandem arte e vita, il binomio arte e morte, un tema che condividi con una serie di artisti da Gino De Dominicis, Vettor Pisani, Piero Manzoni, a Damien Hirst, Enzo Cucchi, Maurizio Cattelan. Il tuo punto di vista è quello appunto della realtà dei simulacri, Baudrillard docet, ma non credi sia un retaggio di un Postmoderno ormai a sua volta cadavere ?
GMM: Faccio già fatica a capire cosa voglia dire Futuro figuriamoci le Avanguardie… Avanguardia di cosa? Un granello di polvere nel pulviscolo universale si dichiara avanguardia di chi? Per andare dove? Arte e Morte? Realtà dei Simulacri? Non so cosa dire, dal momento che la vita stessa è un Simulacro è inutile porsi degli pseudo-problemi. Gli artisti che citi sono tutti troppo grandi per me, troppo artisti. Il Postmoderno è un cadavere? Eccome! Lo dice la parola stessa, essendo postumo è il cadavere del Moderno, il cadavere di un cadavere. Il niente al quadrato.
PF: “Chi vive pensando solo in termini economici non potrà mai agire in termini sociali” affermavi nel 1984, quando il termine sociale era tra quelli impronunciabili artisticamente parlando. Sei ancora dell’avviso o era solo una voluta affermazione controcorrente che oggi risulterebbe ovvia?
GMM: Purtroppo non è mia. Quella frase l’ho rubata a Hitler — ognuno ruba dove può — poi l’ho incollata come titolo a un mio lavoro, tanti anni fa. Controcorrente? Hitler probabilmente sì. Certamente non io. Era lui l’artista che oggi comincia a sembrare ovvio.
PF: C’è chi dice che attualmente il potere dell’arte sia solo quello sancito dall’economia: in questa ottica che significato dai oggi al termine artista se ne ha ancora uno?
GMM: Per quel che ne so, l’arte è sempre stata soggetta al potere dell’economia. Dov’è lo scandalo? Gli artisti possono essere ipocriti o schizofrenici fin che vogliono ma i dati di fatto dicono questo. L’arte è sempre stata ruffiana nei confronti dell’economia ed è del tutto normale che sia così. Il termine “artista” mi è indigesto da sempre, però diventa digeribile se indica qualcuno intento a sopravvivere fuori dal lavoro alienato. Qualcuno che sia concentratissimo sulla propria fuga dal lavoro comunemente inteso, ecco, questo è l’artista che gode di una buona salute mentale. Che produca o meno “capolavori” non ha nessuna importanza, questo rarissimo personaggio fa di se stesso un capolavoro. E questo è l’unico tentativo nobile consentito.
PF: “Il potere dell’arte” è anche il titolo di un articolo su Flash Art in cui teorizzi la piena realizzazione artistica di Hitler nella creazione del Nazismo, come modello di società estetica propriamente detta sull’onda dell’arte totale wagneriana, che si manifesta in un potenziale fanatismo criminale come componente intrinseca dell’artisticità: una teoria seducente e provocatoria che fa saltare tutti i parametri e i luoghi comuni della lettura storica…
GMM: Grazie per le intenzioni seduttive che mi regali, purtroppo volevo soltanto allontanarmi, prendere ancor più le distanze dalla retorica positiva dell’arte, dalle patetiche auto-celebrazioni dell’Io che caratterizzano gli artisti, dalla loro voglia impotente di determinare il mondo. Di questa corporazione Hitler è il più realizzato, il meno velleitario: almeno lui c’è riuscito. Solo per dieci anni, ma c’è riuscito.
PF: È possibile una società estetica da un punto di vista democratico, secondo gli ideali shilleriani — ovvero l’utopia del ’68 — pensi possa essere oggi praticabile più che nell’immaginazione al potere, con il potere dell’immaginazione al servizio dei valori collettivi? Per Borges la democrazia è “una strana aberrazione della statistica”. Che ne pensi ?
GMM: Penso che Borges ha ragione, ha sempre avuto ragione. Tu piuttosto pensa che la Democrazia ha preferito dare il Nobel a un pagliaccio… Concediamo pure che la Democrazia sia il minore dei mali necessari per il governo delle umane genti e allora? Questo dettaglio ti risolve forse la vita? Adorando la Democrazia si può arrivare a credere che esista una soluzione all’insensatezza dell’esistere, una soluzione che non c’è. Ma, pur di illudersi, gli ubriaconi si ostinano a voler bere attaccati al collo di una bottiglia vuota. L’Immaginazione al potere? Bella frase! Perché no? Basta sapere quel che significa. Infatti, l’Immaginazione al potere c’è già stata, molto prima della crisi adolescenziale del ’68. In Germania, per l’appunto, i deliri immaginativi di un artista hanno avuto il potere di abbattersi sul mondo, il succedersi degli accadimenti, cioè la cosiddetta realtà, doveva piegarsi all’Immaginazione. E si è piegata! Splendida riuscita dell’Immaginazione al potere. Però…
PF: Se il killer è il pittore stesso, il corpo del reato e l’arma del delitto sono, grattando un po’ la superficie dell’apparenza, sotto gli occhi di tutti. Ti sei volontariamente fatto sfuggire qualcosa nel piano del delitto perfetto, o semplicemente intendi riesumare le spoglie della pittura come pretesto per un gioco intellettuale e cinico nella scena del sistema dell’arte?
GMM: Troppo onore, usando la pittura avrei assassinato la pittura? Se fosse vero sarebbe la sola cosa buona fatta da me nell’ambito dell’arte. Più modestamente continuavo a regolare i conti con me stesso, a disfare il soggetto, cioè a disfare Montesano e, poiché il Destino mi ha fatto vivere di pittura dovevo fare e, nel contempo, disfare la pittura. Un paradosso assurdo, ma le contraddizioni della vita sono infinite. Io non esisto, ma sono qui e devo pur fare qualcosa — ben inteso, senza lavorare. La maschera d’artista è quella che mi consente al meglio di far finta di esserci.
PF: Nella tua operazione chirurgicamente asettica, hai fatto fuori anche gli eventuali numi tutelari, ovvero quei riferimenti nella storia dell’arte che ogni artista rivendica. Si può dire che hai edipicamente ucciso i tuoi padri?
GMM: Ma chi avrei dovuto far fuori? Un attore del Varietà mio padre carnale? Don Giliberti mio padre Salesiano? Il Colonnello Polo, mio padre Alpino dal quale ho imparato — a forza di punizioni — che le quaglie non cantano? Deleuze mio padre nella produzione di concetti? Perché mai? Che male mi hanno fatto? Qualcosa di buono mi hanno insegnato, certamente non la pittura. Sono autodidatta congenito.
PF: Dietro il killeraggio della pittura c’è anche la consapevolezza dei nuovi linguaggi che avanzano e che probabilmente si sostituiranno all’arte come l’abbiamo finora pensata?
GMM: Come no! Nuovi linguaggi crescono (sarebbe più preciso dire: nuove tecnologie crescono e i linguaggi artistici non c’entrano niente, sono solo parassitari) comunque crescono e si sviluppano. Lo so perfettamente. E allora? Questi nuovi linguaggi crescono e si sviluppano per fare cosa? Per produrre cosa? Una proliferazione inarrestabile di… immagini. E siamo da capo a dodici. L’enorme accumulazione di capitale-prestigio che consente alla pittura di persistere ancora oggi si è formata sulle immagini, sulla rappresentazione attraverso le immagini. E ci risiamo. Tutto ritorna eguale sotto le forme cangianti e provvisorie chiamate realtà. Le immagini escono dalle tombe museali e, prodotte con le tecniche più nuove, si moltiplicano per partogenesi come nei film dell’orrore, invadono e si mangiano il mondo. Essendo fantasmi di un qualcosa che, se c’è stato, non c’è più o è separato, le immagini sono niente, precisamente l’Ente non c’è. Il niente, essendo niente può essere tutto e cambiare all’infinito, ogni giorno.
PF: Il gioco dell’artista è simile a quello di Dio che gioca a dadi di Einstein?
GMM: No. C’è una differenza sostanziale: l’artista, per vocazione o per necessità, è la menzogna incarnata, dice sempre bugie soprattutto quando giura di dire la verità. Dio no! Dio gioca a dadi con noi ma, come dice Einstein, non bara mai, non dice mai bugie. Le nostre miserie, la nostra coscienza infelice incapace di accettare la sconfitta deriva da questo.
PF: Stai progressivamente cancellando dal tuo orizzonte le sovrastrutture astratte tenute in vita da un atteggiamento ideologico che sopravvive al crollo dell’ideologia stessa, ovvero l’idea di identità in senso ampio, di Storia, Cultura, la stessa idea di Arte che non è a tua detta un idolo a cui immolarsi e insieme l’essere Autore, insomma sembrerebbe che tu in qualche modo stia architettando la tua perfetta sparizione senza che nessuno se ne accorga aderendo a una posizione filosofica sul filo del rasoio. Possiamo definirlo un piano strategico di sopravvivenza umana, per uno “umano, troppo umano” come diceva Nietzsche quale in fondo sei tu?
GMM: Piuttosto è vero il contrario. Sono già sparito anzi, simulacro di Montesano a parte, non ci sono mai stato. Il delitto perfetto che ho cercato di compiere è proprio questo: far credere di esserci non essendoci. Eppure, ciò nonostante, tu dici “umano troppo umano” (ancora Nietzsche, questa conversazione sta diventando un’orgia di nichilismo, poco importa, una posizione vale l’altra). Ma ho capito cosa vuoi dire. Mi rode un poco ma è vero. Qualche volta ho dovuto ammettere con me stesso di esserci, in pieno. E fu solo dolore, dolore atroce.
PF: Insomma, se tutto nel sistema dell’arte e nei rapporti codificati come sociali è un gioco di ruolo e un mascheramento continuo e nonostante a tua detta sia proprio la maschera del paraculo cinico e distaccato, quella che tu indossi che ti dà la possibilità di giocare su più tavoli, sotto sotto sono proprio i valori dell’autenticità che ti sono cari, ovvero quei punti fermi e insormontabili che sono alla base della nostra vita e che danno la misura al suo svolgimento, quei comportamenti che danno dignità e valore al destino. Ma chi è veramente Montesano, una sorta di Giano bifronte?
GMM: Montesano chi? Comunque, tra le sue maschere preferite credo ci siano Pinocchio, Peter Pan, Giovanni della Croce.
PF: Come il protagonista nel film di Stanley Kubrick Eyes Wide Shut, tratto da Doppio sogno, Schnitzler si trova a sperimentare “mediante la coscienza del disorientamento che cosa significa veramente guardare, imparare, conoscere, vedere”, la cancellazione è l’accecamento che occorre “per imparare nuovamente a guardare, conoscere e riconoscere la scena del mondo”?
GMM: Il Mondo è un Teatro immobile dove solo le scene, chiamate realtà, cambiano e si succedono fino alla chiusura del sipario. Poi, la sera dopo, tutto ricomincia e ritorna come sempre. Solo gli attori non sono più gli stessi. Un Eterno Ritorno senza di noi. Questa è l’allucinazione sofferente che provoca nel “sociale” l’illusione del cambiamento, facendo credere a una realtà che, non essendoci, ricompare, ovviamente, sempre come nuova.
PF: Nello scenario da Day After Day della civiltà occidentale che prefiguri, l’unica chance per sopravvivere secondo te è quella di una vita soggettiva che si trasformi in una favola. Tu in quale vorresti vivere?
GMM: In quella che poi tanto favola non è, nella storia di San Giuseppe da Copertino, il Santo Imbecille, il Patrono degli studenti, il quale però volava. O, almeno, svolazzava. Dopo questo capolavoro poetico dell’intelligenza Cattolica, dovresti chiedermi perché sono religioso. Te lo voglio dire comunque: credo in Dio perché non esiste, cioé ex-iste. Sono dunque devoto, in ginocchio davanti all’Assenza. Ecco il motivo per il quale non ho mai dato appuntamento alla realtà.
PF: Parlami del tuo rapporto con il denaro, il sesso, l’amore, la morte, la vita, con le sue verità ultime, le grandi virtù poetiche, quei punti fermi, insormontabili oltre il cinismo di circostanza del gioco dei ruoli, le bugie di Pinocchio e la maschera del paraculo, come dici tu.
GMM: DENARO: Sterco del demonio, sì, ma necessario per concimare gli orti del Signore. Mi pare che la metafora Cattolica, in risposta al moralismo di Lutero, dica chiaramente quel che penso del denaro.
SESSO: Semplicemente non esiste. Così com’è praticato e comunemente vissuto il sesso è discorso, discorso sul sesso. Un disturbo di massa
parlato, raccontato, pubblicizzato, filmato, stampato, vietato poi
liberato e… consumato. La pretesa naturalezza degli impulsi sessuali
di naturale ha soltanto la durata breve, l’estasi effimera e la noiosa
ripetitività di tutto ciò che è in natura. Il resto, la rianimazione e
il ritornare arbitrario del desiderio, è discorso, immagine, produzione
fantasmatica, artificio. L’esatto contrario del naturale. Per esistere,
persistere e riprodursi con esiti forti e duraturi, la sessualità
necessita di una isterizzazione perpetua, storica e culturale. Si chiama
Perversione (vertere altrove), “contra humani generis legem vivere” secondo San Girolamo. La Perversione sovrana si riassume così: sorvegliare, punire, mettere ordine nei piaceri, metterli nella forma chiusa del Rituale. In caso contrario non disdegnare la castità.
Esattamente il contrario di natura e naturale.
AMORE: l’Amore, per esser tale, “si fa” solo e sempre in tre. Tu, io e l’Altro… che non c’è. Chiamalo se vuoi Assoluto e, se ce la fai,
chiamalo Dio. Escludendo il terzo Assente parlare d’Amore significa
parlar d’altro, in tal caso si tratta di patologie più o meno gravi:
carenze affettive, sessualità confusa, posizionamenti sociali,
intemperanze giovanili, attrazioni fugaci per quanto violente, ecc…
Passioni tristi destinate al rogo del tempo.
PF: Insomma la maschera non te la levi proprio mai…
GMM: Meine liebe, hai già dimenticato? Non ti scordar di me… Stavo per dire, e tu mi hai preceduto. Non si dimentica l’amore. L’amore non si ammala di dimenticanza, piuttosto muore.