Nella cittadina di Burbank, a nord di Los Angeles, c’è una lavanderia che si chiama Milt and Edie’s drycleaners. La tettoia del negozio è interamente verniciata di rosa ed è decorata con una serie di cagnolini scodinzolanti. I proprietari devono essere dei tipi simpatici, tanto che all’esterno del locale, sopra l’immagine di una cascata, hanno scritto: “If we were any more environmentally friendly, we’d be beating your clothes on a rock”. Guendalina mi ha inviato una foto del posto e mi ha detto che le sue nuove sculture si chiameranno proprio così: Milt ed Edies. Non so di preciso cosa l’abbia affascinata. Forse le scritte a led che affollano la vetrina o forse i cagnolini scodinzolanti… d’altronde i suoi Milt ed Edies (2022) sono due cani-scultura: due cucciolotti di piccola taglia, col corpo da cani e la faccia schiacciata dietro a uno specchio. Sembrano intrappolati in un mondo diverso, come tutte le opere di Guendalina, anche se conservano uno strano legame col nostro: sono pur sempre dei cani-scultura nati in una lavanderia della California.
La pratica artistica di Guendalina Cerruti è costellata da elementi che rimandano alla sua esperienza personale, così come agli oggetti, agli ambienti e alle persone che la circondano. “Il mio lavoro, di solito, nasce da un dettaglio della mia quotidianità che diventa molto rumoroso”, afferma l’artista, “vivo in un costante stato di allerta, esplorando il personale e il popolare nel periferico e nel superfluo”. Quel “dettaglio rumoroso” è molto spesso un’immagine, un momento o una suggestione, che Cerruti combina a scenari immaginari, dando vita a forme visive di autofiction.
In occasione della mostra collettiva “Gli impermeabili” (2020), l’artista presenta tre fotografie intelaiate da indumenti diversi. Una è incastonata in una camicia a righe verticali, un’altra in una canottiera bianca, un’altra ancora sembra fuoriuscire da un vestitino di lino rosa. Le tre fotografie mostrano tutte un identico gesto: un bacio. Nella prima, Miami (2020), si vede quello tra Leonardo di Caprio e Claire Danes nel film di Baz Luhrmann William Shakespeare’s Romeo + Juliet (1996); nella seconda, invece, quello tra Will Smith e Isabel Rosario Dawson nella pellicola diretta da Gabriele Muccino, Seven Pounds (2008), mentre la terza fotografia – Milano (2020) – mostra un bacio tra Guendalina e la sua compagna, immortalate in una posa che sembra richiamare quella dei baci cinematografici. Affiancando un momento personale a immagini celebri, Cerruti proietta il proprio bacio all’interno di una sequenza finzionale: lo esibisce come un’immagine tra le immagini, quasi svuotandolo del suo carattere intimo. Allo stesso tempo, però, il gesto dell’artista sembra estendere la propria influenza alla rappresentazione massificata e collettiva del bacio cinematografico, contaminandola con un’atmosfera singolare, privata.
Lo stesso accade nell’opera Smile Baby (2020), esposta negli spazi milanesi di Ordet per la mostra “Primary Domain”. In questo caso, tuttavia, Cerruti muove da una sensazione precisa: quel broncio immotivato di quando sei piccolo e tutti vogliono che tu sorrida nelle fotografie. Per questo lavoro, l’artista presenta cinque scatti di sé bambina, con un volto palesemente indispettito. Le cinque immagini sono identiche, ma sono esposte in cornici differenti, con una modalità di presentazione che ricorda quella dei negozi di articoli da regalo, dove le serie di fotografie standardizzate e sempre uguali si ripetono all’interno di riquadri diversi. Replicando questo preciso display, Cerruti dispone le sue istantanee su una cassettiera IKEA modello RAST – uno dei più popolari nelle comunità online DIY e IKEA Hacks – e le affianca a oggetti dalle forme radicalmente dissonanti: si vede un orsacchiotto di ceramica dallo stile inesorabilmente kitsch; il modellino di una Lamborghini Sián – verniciata 80 con un verde oliva che riprende il colore del cassettone – e quello di una tradizionale fontana pubblica di Milano – città natale dell’artista.
Anche in Smile Baby Cerruti interviene su una serie di immagini e simboli popolari: la Lamborghini come oggetto del desiderio, il modello più comune del mobile IKEA, le fontanelle milanesi “drago verde”. Eppure, nella sua composizione scultorea, questi oggetti sembrano in qualche modo perdere il loro carattere “pubblico”, come se la loro riconoscibilità fosse stata irrimediabilmente compromessa dagli accostamenti paradossali dell’artista. Ne scaturisce uno spaesamento interpretativo, esasperato dalla presenza di quel dettaglio intimo e “rumoroso”, che ci proietta in un’atmosfera essenzialmente opposta a quella dei simboli “condivisi” che popolano la cassettiera.
Cerruti lavora a una personalizzazione dello standard, manipola l’ordinario e lo destabilizza, lo rende alieno e lo esibisce da un’inedita prospettiva. Al contempo, riqualifica un’estetica generica e omologante, come se quella catena di luoghi comuni di cui si serve continuasse a custodire segreti. Nei dipinti a griglia presentati nella sua ultima personale “People Watching” (2022), ad esempio, si vedono una serie di piumini North Face e di magliette Disney, che si ripetono sulla superficie della tela. I capi d’abbigliamento sono rappresentati in maniera realistica e sono cuciti assieme come in una sorta di trapunta a scacchiera. Cerruti non concepisce questi lavori come oggetti o come semplici dipinti, ma come entità viventi, quasi come fossero persone, o meglio, come fossero amici che si ritrovano in uno spazio. L’ostinato assedio all’universo delle merci si traduce quindi in un animismo diffuso, che pervade tutti gli oggetti presenti e si riverbera nell’ambiente. Si pensi agli stessi titoli che l’artista assegna ad alcune delle sue opere (come Cindy, Betty, Oscar) o anche a quel particolare metodo che utilizza per incorniciare le tele: molte di queste sembrano munite di capelli e parrucche, che Cerruti realizza con degli asciugamani monocromi e delle paillettes, creando diversi tipi di acconciature.
Al confine tra il mondo interiore, delle emozioni e dei ricordi, e quello del mondo esterno, della cultura popolare e della società di massa, il lavoro dell’artista esplora costantemente il rapporto tra dimensioni eterogenee. Nella mostra “Wasted Dreams” (2021), alla Public Gallery di Londra, Cerruti mette in scena l’incontro tra lo spazio domestico e lo spazio urbano, trasformando gli ambienti della galleria nella cameretta di una bambina. Al centro della stanza, dispone un monumentale diario adolescenziale, dove raffigura i sogni e le aspirazioni dei millennials. Tra le pagine colorate, piene di glitter e di disegni, si vedono ritagli di Justin Bieber, immagini tratte dai classici Disney e lo skyline di Los Angeles all’imbrunire. Ispirandosi sia alle strade del centro di Londra, sia all’arredamento domestico, l’artista fa collassare queste due dimensioni in oggetti ibridi che sembrano fuoriuscire dalle pagine del diario: Resting Dreams (2021) è una culla modellata sulla forma della metropolitana di Londra, Rocking Car (2021) è una sedia a dondolo che imita il design di una Porsche mentre Wasted Dreams (chest of drawers) (2021), è un cassettone che simula una classica dimora inglese stile reggenza.
Oltre ad essere presenze fisiche, che per la loro familiarità attraggono lo spettatore richiamando elementi dell’arredamento, quasi tutte le sculture di Cerruti si presentano come dei piccoli universi enigmatici, estremamente difficili da decifrare sebbene carichi di significati. You and us e A white van in the parking lot (entrambi 2019), ad esempio, sono due lavori scultorei che si sviluppano su piedistalli di legno, decorati con tende colorate e con numerose scritte di auguri. Nel primo, troviamo un paesaggio innevato in cui un pino solitario fronteggia un gruppo di pini posizionati dall’altra parte della strada. Nel secondo, invece, un misterioso van bianco è parcheggiato in un’area di sosta, con lo sportellone aperto, come se stesse per scaricare qualcuno o qualcosa. A cosa alludono questi scenari? Qual è il senso profondo di questi lavori?
Frutto di un linguaggio che non dice, né cela, ma accenna, suggerisce, le sculture dell’artista sono teatrini anti-monumentali che spostano il centro dell’opera sul piano dell’immaginazione. Si spiegano simultaneamente su molteplici registri di senso, tutti ugualmente validi, e aprono uno spazio intermedio e sospensivo che non è destinato a essere colmato. Se questa attitudine enigmatica potrebbe apparire diversa, persino opposta, alla pratica autofinzionale di Cerruti, non va tralasciato il fatto che, anche in questo caso, i paesaggi plastici dell’artista nascono da visioni altamente introspettive, prodotte da interessi estetici ed emozionali personali. È in questa tensione enigmatica, e a tratti ironica, che si condensa gran parte del lavoro di Guendalina Cerruti che, attingendo contemporaneamente alle proprie esperienze e al proprio vissuto, rende finalmente possibile la convivenza tra autobiografia e finzione, realtà e immaginazione.