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347 Dicembre – Febbraio 19/20, Recensioni

13 Gennaio 2020, 11:00 am CET

Hans Hartung Mazzoleni Arte / Torino di Antonello Tolve

di Antonello Tolve 13 Gennaio 2020
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Veduta della mostra presso Mazzoleni Arte, Torino, 2019. Courtesy l’artista e Mazzoleni Arte, Londra, Torino.
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Veduta della mostra presso Mazzoleni Arte, Torino, 2019. Courtesy l’artista e Mazzoleni Arte, Londra, Torino.
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Veduta della mostra presso Mazzoleni Arte, Torino, 2019. Courtesy l’artista e Mazzoleni Arte, Londra, Torino.
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Hans Hartung, T1962-L2, 1962. Acrilico su tela. 60 × 81 cm. Courtesy l’artista e Mazzoleni Arte, Londra, Torino.
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Hans Hartung, T1975-E47, 1975. Acrilico su tela. 111 × 180 cm. Courtesy l’artista e Mazzoleni Arte, Londra, Torino.
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Hans Hartung, T1975-H46, 1975. Acrilico su tela. 97 × 162 cm. Courtesy l’artista e Mazzoleni Arte, Londra, Torino.
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Veduta della mostra presso Mazzoleni Arte, Torino, 2019. Courtesy l’artista e Mazzoleni, Londra, Torino.
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Veduta della mostra presso Mazzoleni, Torino, 2019. Courtesy l’artista e Mazzoleni Arte, Londra, Torino.

Artista tra i più significativi della scena informale europea (nel 1956 vince il Guggenheim International Prize e del 1960 è il gran premio per la pittura alla XXX Biennale di Venezia, ricevuto assieme a Jean Fautrier), Hans Hartung è al centro di un percorso irrinunciabile che delinea, a trent’anni dalla sua scomparsa, alcuni punti cardine di una cosmografia interiore tutta concentrata sull’«origine del segno, ma non sul senso originario del segno, bensì sull’atto che lo produce» (Argan).
Dopo un primo capitolo organizzato negli spazi di Londra (“Hans Hartung and Art Informel”), Mazzoleni Arte propone a Torino la seconda tappa di una retrospettiva che rilegge i momenti più salienti di una ricerca, dove la lenta e necessaria accumulazione di grafemi produce grovigli pulsanti, lingue di luce, lame di colore che sembrano provenire da una puntuale ritmica spirituale, da incroci di ascisse e ordinate che quasi come delle frustate di energia («l’energia è una forza che si può incarnare in ogni forma», avvisa l’artista), mostrano il desiderio di raggiungere l’essenza della realtà: «io mi sento fisicamente e psichicamente parte integrante della realtà e mi sembra di non poter fare niente che non sia in relazione diretta e stretta con essa», suggerisce sempre Hartung nel suo Autoportrait del 1976.
Scandita da cinquanta opere – fra cui T1962 L2 (1962), T1963 K42 (1963), T1975 E47 (1975), T1975 H46 (1975), T1988 E27 (1988) – nella mostra è possibile cogliere tutte le fasi di un vocabolario legato alla sottrazione cromatica, alla ferita dello scavo, alla tecnica del grattage o alle spruzzagliate con l’aerografo. L’intera esposizione ricostruisce le vicende di un uomo curioso, di un graveur-peintre (così lo ha definito Reiner Michael Mason) che dal 1922 al 1989 non ha mai smesso di creare atmosfere: e con un’urgenza d’assoluto che mira a conquistare lo spazio mediante il gesto, sempre modulato, attento a concepire vortici emotivi, macchie che «hanno l’aspetto zigzagante di una linea che corre attraverso la pagina», rigature passionali e erotiche, graffi plastici in cui si specchia l’eleganza e l’unicità del pensiero.

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