Ho condannato me stesso a una vita di collaborazioni nel momento in cui ho comprato una chitarra e ho messo in piedi una band, ma al contempo ho deciso di non imparare a suonare. Senza alcuna grammatica musicale in testa, non ero nemmeno in grado di ricordarmi gli accordi da una prova all’altra. Cosa che ha provocato l’effetto desiderato di sviluppare la concentrazione, insieme ad alcune conseguenze che non avevo previsto. Infatti, quando a causa di questa coraggiosa decisione iniziai a essere riconosciuto e celebrato e fui in grado di assumere musicisti professionisti che mi accompagnassero, questi hanno cominciato a umiliarmi in ogni momento a causa della mia ignoranza in materia musicale.
Tuttavia ho resistito a tali pressioni e tuttora non so suonare la chitarra.
Le mie attuali opinioni sulle collaborazioni in ambito musicale sono nate dall’osservazione delle rock band e dal modo in cui effettivamente riescono a realizzare ciò che nessun compositore o musicista, lavorando da solo, potrebbe fare. Queste mie convinzioni hanno trovato immediata conferma quando ho conosciuto l’opera di William Burroughs e Brion Gysin The Third Mind.
In seguito mi sono interessato alle imprese di gruppi artistici come gli Squat Theatre e agli arrangiamenti live di formazioni quali Sun Ra e la sua Arkestra. Quando ho cominciato a documentarmi in maniera più sistematica su queste unioni, ho scoperto di non essere il solo. Dal film di Scott e Beth B su Jim Jones alla collezione dei poster di Otto Muehl di Chris Wool, dai Gelitin a Reena Spaulings, tutti sembravano essere interessati alla cooperazione. In quanto membro di una band e produttore musicale l’idea di collaborazione per me, come per gran parte dei musicisti, rappresenta uno stile di vita. Forse più di altri, o almeno prima di molti, sono stato attratto dalla possibilità di collaborare con artisti provenienti da altri ambiti. Probabilmente ho approfittato in modo eccessivo della gelosia che gli artisti generalmente nutrono nei confronti dei musicisti, ma, a dir la verità, anch’io sono sempre stato invidioso degli artisti e del modo in cui riescono a concepire la loro arte.
Nel momento in cui l’idea o il gesto hanno apparentemente avuto la meglio sull’esigenza dell’abilità manuale, la scelta di utilizzare mezzi materiali o immateriali nella pratica artistica è diventata ancora più arbitraria e aperta a livelli di interpretazione che i musicisti possono solo sognarsi. Ed è stato per questo motivo che mi sono rivolto così spesso alle belle arti. Nel caso di un film, il rapporto tra immagine e suono crea un ordine gerarchico difficile da sciogliere, il quale fa sì che il musicista si trovi spesso in una posizione di svantaggio quando collabora con un artista che appartiene a un altro ambito. La musica in genere sembra essere soltanto una colonna sonora, utile a fornire le emozioni da accostare alla parte visiva.
Sebbene la musica sia più difficile da ignorare, è in qualche modo più facile da dimenticare. La maggior parte delle collaborazioni non si spinge molto più in là rispetto a ciò che potrebbe tranquillamente essere fatto dal singolo. Ma forse una fusione non è poi così necessaria. Quando si lavora insieme, ci sono molte altre contrapposizioni che devono essere superate, e cercare di trovare un equilibrio mettendo da parte i protagonismi è il minore dei mali. Probabilmente il puro impulso di collaborare è una ricompensa, la nostra ricompensa. Tra i tanti tipi di collaborazioni, una di quelle che preferisco è la traduzione. Come traduttore part-time mi piace la divertente dinamica di dominio e sottomissione insita nel tradurre.
L’autore, assente, non può sfidare i miei capricci, mentre io naturalmente posso nascondermi dietro di lui come se fosse un albero. È anche divertente immaginare come questa frase suonerà in italiano.
Piuttosto che sfuggire ai tentativi di conferire a un partner o a un altro ruoli specifici in un progetto comune, trovo più interessante seguire le tracce dei contributi individuali e intrecciare in una narrazione ciò che ho appena districato. È come raccontare barzellette in una lingua straniera, impossibile ma molto divertente. Ovviamente tutti noi sappiamo cos’è un collaboratore. Anche se spesso non è chiaro che cosa esattamente venga tradito, sembra che stiamo rinunciando a qualcosa quando co-firmiamo un pezzo.
Alla fine degli anni Settanta, Sumner Crane, un artista e uno dei fondatori dei Mars, ha coniato uno pseudonimo di gruppo che includeva anche me e Rudolph Grey. Abbiamo esposto con il nome di Jack Texas. Ognuno di noi ha contribuito con il proprio lavoro, firmandolo come Jack Texas. C’era un unico pezzo, un bastone dipinto di bianco, sul quale tutti noi abbiamo aggiunto un segno magico. Almeno un dealer rispettabile deve aver pensato che non eravamo seri. Un aneddoto: i “Breaks” di MTV erano video di un minuto realizzati da artisti per promuovere il canale. Jean Michel Basquiat aveva deciso di realizzare il suo come se fosse una pubblicità per due suoi amici che a suo parere non avevano ricevuto sufficiente attenzione: Stephen Sprouse ed io. Basquiat mi chiese di correre nell’inquadratura suonando la chitarra e di buttare per aria un mucchio di scatole di legno che aveva dipinto di bianco e aveva decorato con dei disegni in nero. Appena lo feci, si mise a correre anche lui verso l’inquadratura urlando: “Hai preso a calci le mie scatole, stai attento!”. Dopo abbiamo collaborato per la parte musicale. Mi ricordo che quando stavamo realizzando il missaggio cercò di convincere il tecnico del suono a sovraccaricare il soundboard in modo che il suono sarebbe risultato distorto, ma il tecnico si rifiutò. Certo, ci sono anche delle collaborazioni che mi sono sfuggite. In particolare mi dispiace non aver mai collaborato con Hélio Oitica o Kate Valk. Ma non ho mai cercato di collaborare con qualcuno che non mi andasse a genio.