Il lavoro di Koki Tanaka (rappresentante del Giappone alla Biennale di Venezia 2013) fa un passo avanti nella riflessione sul ruolo dell’autore nella produzione artistica contemporanea. Una sottotraccia della sua ricerca è infatti l’analisi delle dinamiche di collaborazione all’interno di un processo o di un’azione, per la produzione di senso. Spesso Tanaka propone al pubblico di rispecchiarsi in “ritratti sociali” che evidenziano i comportamenti delle persone coinvolte in contesti e azioni inusuali. I due video A Haircut by 9 Hairdressers at Once del 2010 e A Piano Played by Five Pianists at Once del 2012 coinvolgono due gruppi di professionisti — parrucchieri nel primo caso e pianisti nel secondo — i cui membri si confrontano contemporaneamente su uno stesso obiettivo: il taglio dei capelli di un’unica persona per i parrucchieri; la creazione ed esecuzione di un pezzo per i pianisti. La condizione alla base del lavoro è che tutti partecipino contemporaneamente e attivamente allo svolgimento del compito.
La questione dell’autore e di come la sua biografia e la sua personalità influenzino la percezione dell’opera è stata affrontata in maniera significativa a ridosso del ’68, in vari ambiti della cultura: dalla filosofia alla letteratura, dal cinema alle arti visive, dalla stampa ai mass media. Un punto centrale della questione riguardava “la morte del’autore” suggerita da Barthes (The Death of the Author, 1967), a favore della libertà da parte del pubblico di attribuire il proprio significato all’opera, al di fuori di schemi critico-commerciali predefiniti. Nello stesso periodo alcuni artisti visivi sperimentavano forme di produzione artistica attribuite a un’identità collettiva, senza una leadership dichiarata tra i membri che ne potesse condizionare il risultato. General Idea — collettivo creato a Toronto nel 1969 da tre artisti — utilizza i più svariati media pop, esasperandoli al punto da creare un continuo slittamento tra il potere del mezzo e il potere del messaggio, in perfetto stile McLuhan. Stravolgendo le proprie identità e scimmiottando riviste di gossip, sfilate di moda, performance, programmi televisivi e merchandising, General Idea ironizza sulle strutture che incorniciano la lettura della realtà, a partire dall’identità del singolo in rapporto agli stereotipi sociali. Contemporaneamente prende piede un’altra lettura del lavoro collettivo inteso come forma di aggregazione aperta, per favorire la diffusione di un’azione politica, culturale e sociale vasta e virale. Dagli anni Settanta alcuni gruppi di artisti e critici come Art&Language, Group Material, Gran Fury, Guerrilla Girls hanno sperimentato forme di aggregazione e produzione artistica più o meno anonime, volte a interrogare la struttura del sistema dell’arte e a favorire la creazione di uno “spazio sociale come opera d’arte”. Queste esperienze conducono negli anni Novanta all’utilizzo della relazione tra persone, spazi e oggetti appartenenti a contesti specifici come elementi fondanti dell’opera. Il contrasto tra interesse individuale dell’artista e apertura di uno spazio reale di confronto collettivo con l’Altro come soggetto antropologico si risolve diversamente in ogni singolo caso.
Per il padiglione del Giappone, Tanaka si concentra sulla condivisione come atto di conoscenza privata e pubblica. Se nei decenni precedenti l’altro era fortemente riconosciuto come un’altra identità politica, di genere, culturale o economica, per Tanaka ha un identikit molto simile all’io. La sua riflessione per la Biennale parte dalla situazione specifica del suo paese dopo lo tsunami del marzo 2011: qual è il senso della condivisione e della collaborazione promossa dall’interno di una situazione di disagio? In che modo un artista può agire all’interno di una collettività? Dice Tanaka: “Il vettore della comprensione si muove sempre da coloro che non hanno esperienza della sofferenza a coloro che ne hanno. Non può andare nell’altra direzione. Questo è il motivo per cui dovremmo probabilmente esplorare l’impegno non attraverso la comprensione ma attraverso altri mezzi”.
Dopo lo tsunami, molti comportamenti quotidiani sono cambiati. Se ad esempio prima era usuale prendere l’ascensore, ora le persone non si fidano più e utilizzano maggiormente le scale. Questo cambiamento di abitudine ha un significato molto forte e l’atto di salire e scendere le scale porta con sé una memoria di sensazioni e pensieri muti importanti. Nel lavoro A Behavioral Statement (or an Unconscious Protest) Tanaka restituisce poeticamente e intimamente il nuovo significato di questo atto ritraendo un flusso di persone che salgono e scendono delle scale di emergenza tenendo in mano il proprio libro preferito.
Le situazioni che l’artista presenta si basano su azioni quotidiane che diventano simboliche perché da lui riconosciute come tratti sociali comuni attraverso cui confrontarsi. Il suo essere autore si contrappone al suo sottrarsi dalla scena e dall’azione diventando osservatore di una progressione di fatti spontanei che accadono e si raccontano sulla base di una traccia da lui proposta. Nei due video citati all’inizio di questo articolo, sono chiamati in causa dei professionisti, portati a un confronto serratissimo e assurdo. L’abbondanza di nozioni e specializzazioni che caratterizza il nostro presente viene costretta verso la difficile unicità delle relazioni: i ruoli professionali si svuotano progressivamente della loro competenza per lasciare lo spazio alle singole personalità. In A Piano Played by Five Pianists at Once i cinque musicisti — tutti all’incirca della stessa età — si arrovellano per trovare una linea guida attraverso cui collaborare; nessuna sembra funzionare, ma proprio grazie a quel tempo di discussione la situazione si trasforma spontaneamente. I parrucchieri hanno età e stili evidentemente differenti. Si divertono e ognuno cerca di dare il suo taglio, agendo continuamente sul taglio dell’altro e su una testa che nel tempo si esaurisce. Nel lavoro di Tanaka i ruoli sono chiari, lo schema di azione condiviso, e il lavoro non cerca un assunto finale, ma la reale manifestazione del processo di relazione che emerge a prescindere da un significato voluto.