Il sacrificio è un concetto operativo. Lungi dall’essere un avvertimento etico-morale suggerito dalla dottrina cristiana, il sacrificio è una progettualità finanziaria che riguarda corpi umani e non-umani. Creatura mitologica simile al Leviatano, la città di Taranto è un’entità sacrificabile. Adottando un termine già utilizzato per i territori in cui venivano svolti i test nucleari, nel 2022 un rapporto delle Nazioni Unite sui diritti umani inserisce la città pugliese tra le «Sacrifices Zones»: aree permanentemente modificate da danni ambientali e disinvestimenti economici a vantaggio di interessi globali.
Nella città manifesto di uno stato di crisi permanente nasce “Post Disaster Rooftops”, una pratica critica e spaziale ideata nel 2018 da Post Disaster (Gabriele Leo, Gabriella Mastrangelo, Grazia Mappa, Peppe Frisino). Questa progettualità di lungo termine contamina l’architettura e il design attraverso approcci affettivi e intersezionali. Negli anni “Post Disaster Rooftops” ha generato dispositivi effimeri con cui destrutturare lo sguardo, tracciare narrazioni contro-egemoniche e interrogarsi sul disastro che circonda la città, espandendosi sul Mediterraneo.
Il dissenso si manifesta a partire dai tetti, luoghi simbolici che identificano la pratica di Post Disaster dal principio. Sebbene siano inseriti nel reticolo urbano, i tetti rappresentano delle zone di autonomia temporanea in cui sperimentare nuove modalità di organizzazione collettiva, espansa, non gerarchica e anti-autoriale. Artiste, curatrici e practitioner sono invitate a suggerire forme di co-abitazione urbana come atto di resistenza alle logiche funzionalistiche e monumentali dello spazio pubblico. Ogni EP (Extended play) di “Post Disaster Rooftops” incorpora voci multiple e sprigiona nell’atmosfera tracce, segreti e suggestioni per provare a rispondere alla stessa domanda: come si abita il disastro?
“La palude siderale”, quinto EP realizzato ad aprile 2025, indaga la decentralizzazione tramite una costellazione di spazi marginali di co-immaginazione in cui le geometrie industriali si mischiano a materialità vischiose e luci fluorescenti. Le pratiche artistiche proposte, tra nuove produzioni e versioni site-specific, si muovono in un terreno infestato da eredità tossiche. Dai tetti verso la città modernista e l’area paludosa, “La palude siderale” si sviluppa in due ‘movimenti’.
Primo movimento: laguna
Si parte dalla terra dei mostri
La laguna è uno spazio nomade, instabile, popolato da forze e flussi non-umani. Secondo la categorizzazione proposta da Deleuze e Guattari in Mille piani. Capitalismo e schizofrenia (1980), la laguna è uno spazio liscio che si oppone alla striatura urbana.
Sulla riva, scheletri arrugginiti di enormi gru raccontano un sogno di progresso e modernizzazione ormai fallito. Tra i ruderi degli Ex Cantieri Navali Tosi, lì dove questo sogno era stato ambientato, si diffondono suoni acquei. Riproposta a Taranto in una versione site-specific, Waterbowls (2006-in corso) di Tomoko Sauvage amplifica le vibrazioni impercettibili dell’acqua in una composizione sonora evocativa e rituale. Mentre il suono si inabissa verso le navate vuote dei cantieri, l’installazione luminosa realizzata da Post Disaster si appropria degli scheletri di ferro e cemento creando un immaginario sci-fi. È la prima apparizione della palude siderale.
Da questo pianeta anfibio accerchiato dalle scorie radioattive della modernità nascono molteplici storie. Il Cielo, Fa Acqua Dappertutto (2025) di Lodovica Guarnieri è una narrazione scientifica e poetica in cui la storia della violenza industriale capitalista di Taranto collide con altre vicende legate ai domini imperialisti e alle geografie coloniali nel Mediterraneo. Creando un intreccio spaziale e drammaturgico che dai cantieri navali si muove verso il mare, la lecture performance suggerisce pratiche di resistenza collettiva, umida e contro-antropocentrica. Iride (2023-in corso) di Trifoglio (Marta Bellu, Donato Epiro, Andrea Sanson) nasce dal desiderio comune di decostruire lo sguardo come esercizio di contemplazione della palude siderale. All’evanescenza del suono e del movimento del corpo che danza fanno da contrappunto le armature di cemento dei cantieri navali: la sovrapposizioni di paesaggi tecnologici e ecosistemi naturali genera un’atmosfera disorientante.
Secondo movimento: città
Si arriva alla terra dei sogni rotti.
Il secondo movimento inizia da Piazza Fontana, spazio affettivo a cui Post Disaster lega la sua narrazione. Tra i ruderi di una anonima fontana ottocentesca, negli anni novanta viene collocata un’opera d’acciaio realizzata da Nicola Carrino. Giulia Crispiani affida a queste volumetrie spigolose, che nel tempo hanno accolto contestazioni e giochi di bambini, il primo atto di Paludofobia (2025). La disposizione spaziale dei corpi in cerchio attorno alla voce recitante dà vita a sedimenti di proteste accumulate su blocchi di metallo. Il risultato è un reading politico e poetico impregnato di salsedine e diossina. Il secondo atto, performato dai tetti della Città Vecchia, si interseca alle partiture distorte di Waterfront (2021-in corso), una performance sonora di Gaspare Sammartano. I suoni prodotti dalla manipolazione dei nastri si insinuano attraverso una drammaturgia tentacolare per le vie strette del centro storico, toccano i corpi, li penetrano, li contagiano.
L’ultimo spazio da occupare è la Città Nuova, spazio in cui si manifesta il fallimento del futuro turbo-capitalista che accompagnava la narrazione dell’industria dell’acciaio tra gli anni sessanta e settanta. Cometario (2025), escursione performativa immaginata da Extragarbo (Cosimo Ferrigolo, Gaia Ginevra Giorgi, Edoardo Lazzari) per Taranto, rende fisica/materica quella dimensione onirica già evocata dalle parole di Giulia Crispiani. In una città in cui i piani urbanistici hanno lasciato molti spazi di vuoto, Cometario inventa una nuova geografia, una mappa celeste immaginifica e affettiva creata a partire dai sogni e segreti delle persone incontrate. Se riferirsi alla città spesso equivale a un concetto pratico, con il lavoro di Extragarbo l’esperienza soggettiva di ogni corpo contribuisce alla formazione di un ambiente inteso come spazio-tempo abitato, che si disintegra non appena perde i suoi abitanti.
Oltre alle pratiche spaziali e performative effimere citate, le questioni su cui si interroga l’osservatorio temporaneo di “Post Disaster Rooftops” vengono elaborate attraverso la chiave discorsiva dalle conversazioni (tra gli ospiti di questa edizione: Silvia Gioberti, Markus Bader, Mario Lupano, Nina Bassoli, Michele Galluzzo) e quest’anno, per la prima volta, da un sorprendente formato espositivo, editoriale e performativo curato da Mario Lupano con Gianluca Marinelli e Vincenzo Moschetti: SOTTOSOPRA: scorie, tracce, incantamenti, una mostra istantanea realizzata nel seminterrato della Concattedrale disegnata da Gio Ponti negli anni sessanta e inaugurata nel 1970. Così l’anti-monumentalità esplorata da Extragarbo riverbera in SOTTOSOPRA e si insinua nelle viscere segrete di un’architettura “fuori scala”. Da questi spazi di scarto, dispositivi di stupore e meraviglia, divampa una riflessione critica sulle simbologie del gigantismo architettonico della città. Costellata da epifanie performative, l’esplorazione fa riemergere esperienze artistiche sviluppate a Taranto tra gli anni sessanta e settanta, contribuendo in maniera significativa alla storicizzazione di un modernismo periferico e liminale.
Così la palude, dopo alcuni bagliori, si ritira lasciando in città solo poche tracce per custodire il segreto di un’apparizione aliena. A chi resta sul pianeta terra, come suggerisce Giorgio Manganelli in La Palude Definitiva (1991), non resta che la contemplazione.