Se scaviamo nella nostra memoria, c’è un giorno particolare nel quale siamo stati attratti e ci siamo appassionati a una forma d’arte. Quel giorno, quell’attività creativa ci ha trasmesso un’emozione. L’arte di Andrea Pazienza attrae per la sua capacità di essere lente d’ingrandimento di una generazione sfortunata, a tratti presuntuosa, che negli anni Settanta credeva di poter “disegnare” un altro mondo ed è finita in gran parte omologata in gessato e cravatta. Alcuni sono stati esiliati completamente dalla società o derisi, altri invece non ci sono più.
Andrea Pazienza nasce a San Benedetto del Tronto nel ’56. I genitori sono entrambi professori. È risaputa la sua precoce predisposizione al disegno, uno dei suoi primi disegni fu un tavolo quadrato con tre gambe uguali e una un po’ più corta. Pazienza s’accorse della gamba più corta e disegnò un’aggiunta attaccata con lo spago, fin d’allora detestava cancellare. “Il mio primo disegno riconoscibile — racconta — l’ho fatto a diciotto mesi, era un orso, questo testimonia quanto era forte in me il bisogno di disegnare”.
Dopo aver trascorso gli anni dell’infanzia in Puglia, tra San Severo e San Menaio, luogo d’origine del padre, nel 1969 va a studiare al Liceo Artistico di Pescara. I quadri realizzati in questi anni già dimostrano il talento di Pazienza, un dono pittorico non comune. Quando il suo professore del liceo lo invita a dipingere una mano (uno degli elementi più difficili per chi studia pittura), Pazienza disegna un insieme di mani che formano nell’aria un movimento rotatorio. Da quel giorno, il professore Sandro Visca sarà il suo amico e confessore, consapevole di non poter insegnare nulla a quel ragazzo di sedici anni. Chiunque abbia visto Pazienza disegnare, racconta ammirato, ancora oggi, di una conoscenza straordinaria dell’anatomia.
È durante il periodo della tarda adolescenza che inizia la carriera artistica di Pazienza. Risalgono al 1973-76 le sue prime mostre collettive. Scriverà più tardi, a proposito degli anni trascorsi a Pescara: “Prima di fare fumetti dipingevo quadri di denuncia”. Nel 1973 si trasferisce a Bologna, dove frequenta il corso di laurea in DAMS (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo), cofondato da Umberto Eco. Traumfabrik, dal nome che l’amico e artista Filippo Scòzzari dà alla casa occupata in via Clavature 20, è la prima sigla con cui Pazienza propone i suoi fumetti.
Bologna all’epoca era l’ambiente ideale per i suoi progetti. Nel febbraio 1976 una sentenza della Corte Costituzionale decreta la fine del monopolio RAI sulle trasmissioni via etere. Sulla frequenza 100.6 Mhz a Bologna si ascoltava la prima radio “libera”: Radio Alice, voce del “Movimento”. L’11 marzo 1977 lo studente ventiseienne Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua, viene ucciso da un carabiniere sotto i portici di via Mascarella e la notizia viene diffusa da Radio Alice. Fino a quel momento il “Movimento” si era espresso soprattutto sul versante politico; fu Andrea Pazienza a dargli anche una valenza artistica.
Per Pazienza il semplice dipinto non è più sufficiente: per arrivare a parlare a tutti, il fumetto è l’arma più efficace. Scriverà nel 1981: “Nei fumetti c’è tutta la cultura del mondo e non c’è bisogno d’altro”. Nella prima puntata de “Le Straordinarie avventure di Pentothal”, sul numero 4 di Alter Alter, rivista figlia di Linus, Pazienza utilizza per la prima volta il fumetto come strumento di denuncia e dipinge la Bologna di quel periodo come una città assediata; da allora il fumetto non è stato più lo stesso. Ecco come Pazienza descrive su Alter Alter nell’aprile ’77 il leggendario Laboratorio Comune d’Arte Convergenze, Centro d’Incontro e d’Informazione a Pescara: “Parte degli artisti senza tetto si riunisce qui; si fa tutto il possibile, dall’happening alla grossa rassegna, dai concettuali ai comportamentisti, dai film in 16 mm o Super 8 alla Body Art, dai concerti ai veri e propri festival, ecc. C’è aria conviviale, da allegro seminario. Qui il mio curriculum sale a quota sette mostre personali e a una miriade di collettive”. La collaborazione con la rivista Alter Alter inizia dopo l’incontro con Oreste Del Buono e proseguirà per molti anni.
In arte, solitamente è il cinema che coniuga immagini e parole, ma Pazienza, attraverso il fidato pennarello, può essere personaggio principale, sceneggiatore e regista di ogni storia che la sua fervida immaginazione esprime. In questo modo viene accontentato anche il suo ego, nell’81 su Paese Sera dice di sé: “Sono il più grande disegnatore vivente”. Pazienza aveva due icone del fumetto. Il primo era Carl Barks, autore di Paperino, e il secondo era Moebius, al secolo Jean Giraud, l’artista che ha cambiato il look della fantascienza.
L’anno 1977 è stato fondamentale per la vita di Andrea Pazienza, e per molti della sua generazione. A maggio nasce a Roma Cannibale, rivista fondata da Stefano Tamburini e Massimo Mattioli, per le Autogestite Edizioni del Tapiro Arrapato. Dal secondo numero si aggiungono Scòzzari e Pazienza e il marchio diventa Primo Carnera editore. La copertina targata n. 7 sarà la prima realizzata da Pazienza. Con Cannibale gli autori diventano per la prima volta editori di se stessi. Straordinaria la pagina centrale in cui Pazienza disegna, a fianco a personaggi di fantasia, anche se stesso, Tamburini, Scòzzari e Mattioli. Sono sempre del 1977 le collaborazioni con Linus. Nella prefazione di Satira, di Baldini e Castoldi, Michele Serra afferma: “Il 1977 può ben riconoscere in Andrea Pazienza il suo più grande e rappresentativo figlio. Così grande, magari, da fare ombra al suo stesso contesto”.
Il contesto diventa, in realtà, sempre più grande dei singoli protagonisti. Nel 1978 inizia la collaborazione di Pazienza con Il Male, settimanale satirico fondato da Vincenzo Sparagna. Sulla rivista compaiono vignette satiriche sui politici italiani; il Presidente Pertini, le cui vignette saranno riunite in un volume, gli invierà i complimenti. Nel 1980 nasce a Milano Frigidaire, innovativa rivista creata da Vincenzo Sparagna con la collaborazione di Massimo Mattioli, Filippo Scòzzari, Tanino Liberatore, su un progetto grafico di Stefano Tamburini. Il primo numero risale al novembre 1980 e continua mensilmente fino al 1993. È su questa rivista che compare Zanardi, l’odioso personaggio creato da Pazienza. Nello stesso anno nascono anche i disegni per i manifesti del film La città delle donne di Federico Fellini e comincia la collaborazione con il cantante Roberto Vecchioni per le copertine dei suoi dischi. Le collaborazioni con le riviste iniziano a crescere: Frizzer (esperimento concepito all’interno di Frigidaire), Tempi Supplementari, Tango, Corto Maltese, Ottovolante (supplemento di Paese Sera), Zut, ecc.
La cospicua produzione di quegli anni comprende anche locandine teatrali, copertine di libri, ma anche dipinti. Espone nel 1982, in occasione della rassegna “Registrazione di frequenze” presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, e nel 1983 presso la galleria milanese Nuages e nella mostra “Nuvole a go-go” presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma. Sono del 1984 alcuni suoi lavori per la rivista greca Babel Babel e per la parigina L’echo des savanes.
Pazienza è tra i primi artisti a descrivere, nelle storie e nei personaggi da lui creati, l’abiezione dell’uso delle droghe pesanti che in questo periodo fanno la loro comparsa in modo massiccio tra la popolazione giovanile. Pentothal, Zanardi, Pompeo non sono personaggi positivi, sono maleducati, egoisti, cattivi e prepotenti, malgrado tutto deboli e insicuri. Ben presto i giovani iniziano a riconoscersi nelle tavole di Pentothal, caratterizzate dall’assenza di un vero ordine cronologico e da un groviglio di immagini e parole; il successo è immediato. Zanardi è un personaggio egoista, per lui la società deve essere sfruttata e vilipesa, e la droga è un mezzo per raggiungere i propri fini.
È con Pompeo, secondo la maggior parte dei critici, che Pazienza raggiunge la parte struggente, l’anima stessa del personaggio. La sconfitta dell’uomo è totale: “Sono in balìa della feccia del pianeta… permetto a chiunque di importunarmi, basta che abbia la roba…”. Diversi critici considerano tali personaggi degli autoritratti, ma probabilmente il dibattito non sussiste. Ogni prodotto dell’artista è un autoritratto, qualsiasi sia l’argomento. Come potrebbe non esserlo?
Andrea Pazienza muore all’una e mezza di notte tra il 15 e il 16 giugno 1988, a soli 32 anni. Molto è stato scritto da allora su di lui. Mi piace ricordare un suo amico e giornalista, Vincenzo Mollica, che rimpiangendolo pensava a quanto Pazienza ci avrebbe aiutato oggi a capire i nostri tempi. Credo però che l’artista avrebbe apprezzato anche una frase di un suo fan: “Andrea… non ti sei perso nulla!”. Pazienza non era in disaccordo con la realtà del suo tempo, se ne è abbeverato voracemente: “Lo sappiamo, i mostri si riproducono all’infinito”, scrisse.