La necessità di pensare l’ecologia non solo come uno studio scientifico ma anche come una ricerca esistenziale è ciò che caratterizza il pensiero dello psicanalista Félix Guattari, autore del saggio Le Tre Ecologie (1989) da cui la mostra curata da Caterina Riva al MACTE – Museo di Arte Contemporanea di Termoli prende il titolo. Per Guattari, l’eco-logia è una eco-sofia, un nuovo modo di pensare simultaneamente le tre dimensioni che contraddistinguono il nostro stare al mondo: quella sociale, quella ambientale e quella mentale.
Allo stesso modo l’esposizione, la prima che inaugura la nuova direzione del museo molisano, non presenta l’ecologia come un argomento fatto di certezze e punti di vista privilegiati, ma invita undici artisti di diverse nazionalità a delineare “contesti ambientali ibridi, sognati, contaminati”. La mostra diventa un organismo esposto a diverse ibridizzazioni, senza che vi sia gerarchia alcuna nella presentazione delle opere che la costituiscono. Complice l’architettura del museo e la circolarità della sala principale, le opere si presentano al visitatore tutte insieme, lasciandolo libero di attivare le proprie riflessioni in autonomia e rendendolo così complice del movimento di ibridizzazione ed eterogeneità che caratterizza la direzione curatoriale della mostra.
Tra le prime opere ad accogliere il visitatore vi è l’installazione Ipogea (2010) di Piero Gilardi: una vera e propria caverna platonica, i cui interni, una volta illuminati dal visitatore, riproducono il rombo tipico delle grotte profonde. Per Gilardi, artista e attivista, pensare in maniera ecologica fa parte di un piano più generale di riscatto esistenziale, raggiungibile solo attraverso un’immersione nelle profondità della natura. Un’immersione nella propria intimità è ciò a cui invita l’opera Corpi (2021) di Francesco Simeti. Due caroselli Kodak proiettano simultaneamente immagini di corpi d’acqua minuziosamente ritagliate dal New York Times e collezionate dall’artista nel corso del 2020. A fronteggiare la fluidità e i colori caldi di queste immagini in loop ci sono i basso- rilievi di Calendar (2020) di Micha Zweifel. Una riflessione esistenziale, quella ecologica, che si traduce nel lavoro di Zweifel in una pratica manuale minuziosa, molto attenta al dettaglio ma che da vita a scenari poeticamente astratti.
Alla nostalgia di mezzi desueti come i caroselli o i bassorilievi segue la sorprendente modernità di Tusalava (1929) di Len Lye. Primo film di Lye e capolavoro della video-animazione sperimentale, l’opera presenta un’alternanza di cellule nere che occasionalmente si compongono in organismi surreali e si scompongono a seguito dell’incontro-ibridizzazione con altre cellule.
L’eterogeneità della curatela si coglie anche nel passaggio dal surrealismo del cinema di Lye al realismo poetico degli altri due film in mostra, rispettivamente Wutharr: Saltwater Dreams (2016) dei Karrabing Film Collective e Wild Relatives (2018) di Jumana Manna. Mediante l’osservazione della quotidianità di alcune persone e delle lotte per la sopravvivenza che la caratterizzano, entrambi i film affrontano l’intrecciarsi di questioni ambientali e politiche rendendo così visibili le connessioni operanti tra le tre ecologie.
Lotte di sopravvivenza che potrebbero caratterizzare il futuro dell’umanità sono il soggetto dei tre disegni a penna su carta di Nicola Toffolini, sapientemente accostati alla carta da parati Hawkweed (2016) di Simeti che rende protagoniste tutte quelle piante che nelle rappresentazioni artistiche tradizionali restavano sullo sfondo. Un altro lavoro a parete è la serie di fotografie Boutade (2021) di Silvia Mariotti, che presenta un paesaggio selvoso frutto della manipolazione digitale di luoghi reali.
A concludere la mostra, le nuove opere di Francis Offman e Jonatah Manno: materiali di uso quotidiano come fondi di caffè arricchiscono le pitture stratificate di Offman, mentre i rifiuti come quelli trovati sulla spiaggia dopo l’alta marea vengono cristallizzati in forme puramente estetiche da Manno, che presenta due cianotipie realizzate con alga poseidonia e due sculture in resina, alga e microplastiche. La rivoluzione culturale che una riflessione ecologica implica si traduce dunque nella capacità creativa di considerare anche i materiali più poveri come degni narratori di una storia che ci riguarda.