Negli ultimi anni Lorenza Lucchi Basili ha fotografato, raccolto e catalogato centinaia di immagini di architetture, spazi, superfici sensibili alle variazioni della luce, frammenti di luoghi urbanizzati, prospettive vertiginose. Con una sola precisazione: non si tratta della mera rappresentazione fotografica di habitat contemporanei, né della loro riproduzione mimetica, poiché nello scegliere i soggetti da rappresentare l’artista guarda il mondo attraverso angolature mutevoli, affidandosi alle condizioni di percezione del momento dello scatto. Così il linguaggio fotografico si traduce in una ricerca che coglie gli aspetti intrinsecamente connaturati alla realtà. Allo scopo di garantire che questa personale visione del mondo rimanga fedele a se stessa, l’artista lavora unicamente con una macchina manuale, contrariamente a molta della fotografia digitale contemporanea.
Per la sua prima personale a Roma espone le serie fotografiche “Spazio Sessantatre, Seattle” e “Spazio Sessantotto, Vienna”. Le foto reagiscono all’architettura interna della galleria, creando con essa una relazione formale e semantica. Al rigido schema architettonico l’artista contrappone i caldi colori degli interni della Biblioteca di Seattle, opera quasi metafisica di Rem Koolhaas, e i pavimenti riflettenti della metropolitana di Vienna, animati da presenze umane, di cui si percepisce la sagoma di un uomo o la parvenza di un movimento. Nella definizione del proprio orizzonte di riferimento, l’artista sceglie di attraversare lo spazio — fisico o immaginario, intimo o collettivo — con gli occhi della mente. Un cielo specchiato sulla fronte di un grattacielo, un pavimento luccicante, il riflesso di un’architettura su uno specchio d’acqua si trovano fisicamente e idealmente al confine tra il concetto di “dentro” e di “fuori”. Questa posizione intermedia non è altro che l’espressione arbitraria della percezione umana, la relazione tra due condizioni primarie che nelle foto di Lorenza Lucchi Basili si esprimono oltre la superficie della realtà.