Parlare e pensare a Massironi equivale a ripercorrere la storia dell’arte della ricerca percettiva dell’ultimo mezzo secolo. Il clima artistico alla fine degli anni Cinquanta era caratterizzato in generale da un’atmosfera informale, un’arte a mio avviso facile, che tutti potevano fare, al punto che la degenerazione portò a far eseguire quadri anche da galline e scimmiette con risultati non dissimili da quelli degli artisti. Tuttavia, qualcuno si sottraeva a questa atmosfera imperante cercando di percorrere strade inedite appartenenti al mondo del fare mentale. Giovani che operavano in luoghi distanti tra loro e provenienti da condizioni, background ed esperienze formative assai diverse, spesso non sapendo dell’esistenza l’uno dell’altro, anche perché nessuno storico o critico aveva teorizzato ciò che stava accadendo.
Ma quando le più svariate circostanze li portavano a incontrarsi, subito si riconoscevano come soggetti di uno stesso modo di sentire, più orientati verso il design e l’architettura, la sociologia e la psicologia rispetto alle tendenze artistiche individuali. Una germinazione spontanea che si sarebbe coagulata attorno ad Almir Mavignier per dare inizio alle “Nuove Tendenze”. E Manfredo Massironi era tra questi giovani. Infatti, nel 1959, aveva fondato con Biasi, Chiggio, Costa e Landi a Padova il Gruppo N, primo gruppo realmente anonimo. Altri gruppi erano nati in precedenza: nel 1951 a Zagabria Exact 51; Equipo 57 nel 1957 in Spagna e altri ne seguirono nel 1960, il Gruppo T a Milano e il GRAV a Parigi. Il Gruppo N aveva forti idee innovatrici in tutte le direzioni comportamentali e di progettazione e Manfredo Massironi ne fu il lucidissimo teorico (memorabili sono stati i suoi interventi ai convegni di San Marino, allora palestra delle istanze artistiche degli anni Sessanta). Nel 1961 fu allestita la prima mostra, “Nova Tendencjia”, organizzata a Zagabria dagli autori, senza critici o altri mediatori, né tantomeno mercanti. Il modo di operare era particolarmente severo e la partecipazione aperta solo a quelle ricerche che ne condividevano il metodo.
Quello delle “nuove tendenze” era un sistema che non accettava la nozione carismatica ed elitaria dell’artista, né l’atteggiamento del mondo dell’arte sui versanti della critica e del collezionismo. Ne deplorava il mercato basato sulla manipolazione dei soggetti, autori e fruitori, e sulla mistificazione dell’opera. In Italia nacquero le mostre di Arte Programmata. In tutta Europa i titoli erano “Arte Cinetica”, “Movimento”, “Visualità”, “Lo spazio dell’immagine”, “Environnements”, “Luce”, “Monocromo”, “Nuove tecniche, nuovi materiali”, “Ricerche continue”, sino alla grande esposizione del 1965 al MoMA di New York, “The Responsive Eye”, che decretò il grande successo ma anche la volgarizzazione delle idee: successo superficiale consumatosi in poco tempo.
Massironi, che delle nuove tendenze era stato uno dei protagonisti, fu anche uno dei primi ad andarsene: avrebbe avuto altre battaglie da “perdere” subito dopo. Si dedicò sempre all’insegnamento e pubblicò libri, divenuti fondamentali, di psicologia della percezione; continuò a lavorare in silenzio, fece opere spesso sottilmente ironiche, sempre intelligenti. Per lunghissimo tempo non le espose. Le ricerche di Massironi sono continue nel vero senso della parola, perché lavora su soggetti che portano a risultati plastici anche diversissimi tra loro, tanto da poter essere identificati per un insieme di problemi differenti e non per uno stile.
Problemi che si svolgono all’interno delle geometrie e, in generale, giocano con le scienze esatte che egli trasforma in materia visiva. Infatti, Manfredo Massironi ha sempre amato esplorare, investigare, scoprire e fuggire. Non si è mai soffermato a ripetere e quando raramente ha relizzato delle varianti è stato perché ha intuito che avrebbero portato al dischiudersi di altre strade. In realtà lavora alla fuga e, paradossalmente, essere uomo in fuga è per lui anche la maniera di restare fedele a se stesso e all’idea di non farsi mai prendere dalle cose, dai sistemi o dalle persone.
In una recente intervista rilasciata a Nicola Galvan tra ricordi del passato e del presente, Manfredo Massironi tra l’altro ha dichiarato: “La dissoluzione dei gruppi fu dovuta a diversi fattori, certo l’ingresso del mercato creò una competizione che finì per restringere lo spazio di manovra dei vari operatori. È vero che la critica non ebbe poche responsabilità nel fallimento del loro progetto. Argan fu tra i pochi a compiere lo sforzo di comprendere realmente le implicazioni del nostro lavoro, il quale generalmente subiva una lettura superficiale. Il manifestarsi di tendenze come l’Arte Povera o, più tardi, la Transavanguardia, giunse come movimento di liberazione per la critica, dato che il ragionamento interpretativo poteva farsi più libero, più ampio. Non solo fui favorevole alla nascita dei gruppi e alla loro diffusione, ma ho sempre ritenuto che la loro sia stata un’esperienza ingiustamente breve: a mio avviso vi erano le possibilità di una maturazione estetica e concettuale delle cose che facevamo. Per me il gruppo rappresentava uno strumento per capire di più. Amavo l’idea della collaborazione, il fatto di mettere le idee in comune e farle circolare. Per quanto mi riguarda, il ‘seriamente ludico’ in realtà esisteva nella precedente attività di gruppo, credo costituisse anzi una delle sue potenzialità.
Probabilmente è un aspetto che tendo a rivendicare con più decisione rispetto ai miei compagni. Se il gruppo esistesse ancora oggi, cosa piacevole da pensare, il gusto per il ‘gioco’ sarebbe stato qualcosa che, in virtù di uno spirito diverso, avremmo potuto mettere meglio a profitto. Non a caso, ritornando per un istante a riflettere sull’arte di oggi, tendo ad avvertire una maggiore sintonia con artisti come Cattelan o altri che, come lui, sanno offrire soluzioni non prive di una certa ironia. C’è da aggiungere che a volte il contenuto ludico può infastidire le forme istituzionali dell’arte più di un discorso, in apparenza, più radicale o più complesso”.