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7 Luglio 2017, 3:13 pm CET

Markus Schinwald di Alessandro Rabottini

di Alessandro Rabottini 7 Luglio 2017
Particolare della mostra al Museo di Palazzo Poggi, Bologna (2006). Courtesy Alma Mater Studiorum-Università di Bologna/Museo di Palazzo Poggi, Bologna/MAMbo-Museo d’Arte Moderna, Bologna. Fotografia di Ela Bialkowska.
Particolare della mostra al Museo di Palazzo Poggi, Bologna (2006). Courtesy Alma Mater Studiorum-Università di Bologna/Museo di Palazzo Poggi, Bologna/MAMbo-Museo d’Arte Moderna, Bologna. Fotografia di Ela Bialkowska.
Particolare della mostra al Museo di Palazzo Poggi, Bologna (2006). Courtesy Alma Mater Studiorum-Università di Bologna/Museo di Palazzo Poggi, Bologna/MAMbo-Museo d’Arte Moderna, Bologna. Fotografia di Ela Bialkowska.

Sembra che Markus Schinwald abbia tenuto bene a mente il monito con cui Hans Bellmer chiude la sua Anatomia dell’immagine (1957), “L’oggetto che somiglia soltanto a se stesso non ha realtà”, per concepire la sua mostra personale negli spazi del Museo di Palazzo Poggi e della Biblioteca Universitaria di Bologna, su commissione della GAM e a cura di Andrea Viliani.

E non è solo la presenza di Bellmer e del suo voyerismo disarticolato e dolente, fatto di arti meccanici e orifizi fantastici, a farsi sentire tra le sale che raccolgono reperti scientifici e strumenti di misurazione, raccolte naturalistiche e  cere anatomiche, e nelle quali Schinwald ha ambientato oggetti, stampe e installazioni, costruendo un percorso a tratti magico, magnetico. Più in generale, è tutta una tradizione surrealista fatta di sostituzioni anatomiche, macchine sensibili e fossili dell’inconscio erotico che rumoreggia negli interventi del giovane artista austriaco. Va detto subito che l’idea di intervenire nell’allestimento di una collezione inserendosi nello svolgersi della narrazione espositiva può far pensare a molteplici esperienze di appropriazione concettuale, da Hans Haacke a Mark Dion, Joseph Kosuth, Fred Wilson, Heim Steinbach… Non è questo il caso. Markus Schinwald, al contrario, propende decisamente per una soffusa ambiguità letteraria, evoca tanto un erotismo inorganico quanto il feticismo della conoscenza scientifica senza necessariamente prendere una posizione su questa o su quella questione, mette in scena un teatro estremamente raffinato ma, spesso, costellato di comparse assenti o falsi indizi. La sua è una mostra molto generosa, intrigante nello stabilire una continua tensione tra la natura tassonomica delle Raccolte di Storia Naturale e della Biblioteca e l’idea che la seduzione possa nascere solo dall’isolamento di una parte e mai da una visione totale dell’oggetto di passione. In un certo senso, tutta la mostra sembra ruotare attorno a una dialettica sfumata tra la visione come indagine (osservare, spiare, analizzare, sezionare, esporre, mettere a fuoco) e il suo contrario: il doppio, il trucco, la dissimulazione, la maschera, la visione disturbata o addirittura negata e, ancora, il corpo parziale, quel corpo ridotto che origina desiderio… Nei suoi momenti più riusciti, la mostra pone come oggetto ultimo di questa ambivalenza lo sconfinamento tra il sapere come radiografia, la Storia e l’analisi nell’affabulazione, e lo fa con un’eleganza allestitiva estremamente articolata. Ma in altri momenti, purtroppo, la tensione lascia il posto a una più vaga sensazione di rarefazione letteraria, già insita negli episodi più estenuati del Surrealismo e qui condita da spunti di gusto un po’ retrò, la cui patina nostalgica e glamour fatica a trovare un mordente. 

Palazzo Poggi e Biblioteca Universitaria di Bologna.

Mostra all’interno del progetto Coming Soon Mambo.

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