Maurizio Cattelan: Pronto, Matthew? Sei tu? La linea è molto disturbata. È il momento giusto per alcune domande?
Matthew Monahan: Sicuramente verremo interrotti. Devo essere in un posto sperduto. Sento una eco nel telefono che mi sta facendo diventare matto.
MC: Sembra come se stessi parlando attraverso una maschera! Come faccio a capire se sei veramente tu e non uno dei tuoi impostori?
MM: I miei impostori? Intendi le mie sculture. Loro non fanno interviste, nonostante il loro racconto sia più interessante del mio.
MC: Qual è il loro racconto?
MM: “Bene, oggi mi hanno scolpito gli occhi e intagliato la fronte!”. “Sono nato un dio e ora vivo nei bassifondi. Sono uscito da un blocco, levigato e bellissimo, simmetrico e definito, decorativo e manieristico. Sono stato unto con pura cera d’api. Adornato con oro, abbellito con glitter e pigmenti rari. Io lancio l’imperioso sguardo dei faraoni”.
MC: Posso ancora sentirti… ma a pezzi.
MM: “…Esatto! Anche io sono stato frantumato perché ero inutile tra gli atei, e sono stato castrato dai devoti! Sono caduto da una grande altezza, sono stato abbattuto per ricavare pezzi di ricambio, trasformato in palle di cannone e soldati di fanteria, mimetizzato per l’Età del Ferro! Coperto di grafite, armato di unghie e geometria angolare”.
MC: Non riesco a capirti molto bene. Puoi chiamarmi su un’altra linea?
MM: “L’avanguardia mi ha spedito nelle prime file! Per essere annichilito per la causa, per il progresso! Astrazione! Autonomia! Tutto ciò che avevo è stato spedito a casa in una scatola, farcita di trofei, il benvenuto di un eroe. Ora sono solo un avanzo dell’esercito, uno spaventapasseri, una curiosità…”. Ti ho perso… riproviamo più tardi.
MC: …Pronto, si sente bene ora, dove sei?
MM: Nel mio nuovo studio, il segnale qui è chiaro. È in centro, all’incrocio tra il toy district e il quartiere malfamato. Ho appena visto tre uomini piombare giù da un albero con un bouquet di fiori. Stanno facendo strane danze sotto quell’albero, devono essere le preghiere dei fumatori di crack. Le radici sono completamente lisce per via degli squatters che bazzicano tra le pattuglie. Ma l’albero rende tutto pittoresco e pacifico.
MC: È importante per te il tuo studio?
MM: In genere non ho molte idee senza il mio studio. Non riesco mai a concretizzare un progetto, devo averci le mani dentro. Ho delle regole ma poi aggredisco il soggetto in qualunque modo. Dopo un centinaio di facce vuoi solo infrangere la formula della faccia. Certi giorni sono convinto di combattere una battaglia persa!1
MC: È un problema di ri-animazione?
MM: Sì, ma è anche interessante vedere quanto può essere inanimata la figura. Ci sono momenti in cui la faccia diventa davvero viva e il corpo sembra roteare di sua spontanea volontà, quando la figura ti si presenta di fronte, ma sembra che io mi prenda il disturbo di rovinarla, di paralizzare il corpo come fosse irrigidito in una trance.
MC: Ma tu stai col cavallo morto?2
MM: Ho provato a lasciarmi dietro la figura. Ho pensato anche di diventare astratto, ma è stato inutile. Senza la figura tutto diventa arbitrario. Così ho imparato tutti i diversi modi per distogliermi da questi personaggi esigenti, per rompere la loro simmetria. Ma non voglio raccontare una storia o creare una scena. Tempo e spazio devono essere sepolti all’interno della figura stessa.
MC: Dici di avere delle regole nel tuo studio.
MM: Nessun uso della fotografia, nessuna proiezione, nessun manichino, nessun modello dal vivo, nessun calco dei corpi, nessun ready made, nessun costruttore e nessun materiale di consultazione. Sono abbastanza dogmatico su questo. Quando nel 1995 iniziai con la figurazione era così difficile concentrarsi che dovevo assicurarmi di non avere scorciatoie. Volevo solo vedere qualcosa che solo io potevo fare e ho pensato che potevo trovarlo da qualche parte nel viso e nel corpo. Se stabilisci le regole e il soggetto, puoi davvero concentrarti sullo stile, quello che Barthes definisce una “dimensione verticale e solitaria del pensiero, il prodotto di una verità e non un’intenzione”. La solitudine poteva essere troppa, ero in una specie di gang con altri due artisti, Tom Houseago e Michael Kirkham. Ci facevamo chiamare “the crows”e ci sostenevamo a vicenda.
MC: Sei stato in Europa per molto tempo e poi a New York e Los Angeles. I tuoi lavori erano qui e là, poi hai fatto una mostra da Anton Kern nel 2005 e all’improvviso sei esploso tutto in una volta. Che cosa ti è successo?
MM: Ero stanco del qui e là. Mi sono ritirato per un anno, sono tornato al tavolo da disegno, al lavoro degli esordi, ai vecchi professori. Quell’anno feci un viaggio in Tibet e in Nepal che ebbe un forte impatto su di me: la scultura laggiù è davvero usata per ospitare gli spiriti. Poi sono tornato e Bush è stato rieletto, e il mio liberalismo dal cuore spezzato è cessato completamente. Passai dalla NPR (National Public Radio) all’Indie, non tolleravo quel flusso monotono di “imparzialità”. E ho capito che se ho potere in questo mondo è attraverso l’arte; anche se è un potere oscuro, o assurdo, o triste solitudine. Ho iniziato a macinare tutto ciò che avevo fatto fino ad allora, ho caricato ogni missile sbagliato e ogni granata inesplosa: un’improvvisata bidonville di scultura e disegno in espansione.
MC: Che mi dici di tutti questi piedistalli? Ho la sensazione che il gabinetto delle curiosità non ti possa più contenere.
MM: I piedistalli sono la mia concessione al mondo reale, sono come un intermediario, un dealer, per impedire che i lavori vengano pestati. Non sono pronto ad abolirli, così come non sono pronto a lasciare il white cube. Non voglio colmare la lacuna tra arte e vita, la voglio sostenere. Sono remoti e incompleti ma voglio accrescere la tensione tra piedistallo e figura. Può essere una relazione originale, qualcosa come un rapporto schiavo-padrone. Questa cosa del gabinetto delle curiosità penso sia stata ingigantita, genera una specie di distacco coloniale che voglio superare. Costruisci un ponte per andare dall’altra parte e tutti vedono solo il ponte. Quando faccio delle mostre vengo sempre colto impreparato dallo spazio espositivo, tutta la segretezza viene persa, come quando la canzone si interrompe e tutti nella stanza ti sentono urlare. Vorrei poter spiegazzare le stanze come faccio con la carta. Dov’è Gordon Matta-Clark?
MC: Potresti essere tu Gordon Matta-Clark.
MM: Sono un sacco di artisti! Li incanalo tutti verso una specie di confuso incantesimo. Sento che la storia dell’arte è piena di queste incredibili pozioni, magie e illusioni. Con la nostra purezza modernista e il progresso americano tutto viene trasformato in una inutile lezione di storia dell’arte. Se sei abbastanza stupido da chiamare te stesso un artista potresti anche avere la chiave per la cassetta del pronto soccorso.