In un centro finanziario relativamente giovane come Seoul, dove gli spazi espositivi sono spesso appendici di grandi società imprenditoriali, gli intellettuali corrispondono a uomini d’affari e l’economia disegna panorami creativi all’interno di una cultura self-made. In questa intervista C. I. Kim si racconta nel suo ruolo di imprenditore e mecenate: uomo d’affari, collezionista d’arte contemporanea, proprietario di numerose gallerie e spazi espositivi, e lui stesso artista, racchiude in un’unica figura ruoli diversi del sistema dell’arte.
Benedetta Di Loreto: Come si presenta a chi non la conosce?
C. I. Kim: Nel 1978, quando ho incominciato i miei affari e la mia collezione, non avevo niente. Lavoravo tutti i giorni, non esistevano fine settimana, non esisteva riposo. Se potessi rinascere, non diventerei mai un uomo d’affari, è troppo pericoloso e sei responsabile di centinaia di impiegati che lavorano per te. Ho iniziato con una stazione di autobus nella città di Cheonan (Corea), che adesso non dista molto dal museo dove ci troviamo in questo momento.
BDL: Come ha cominciato a collezionare? Per amore per l’arte, per prestigio sociale o come forma di investimento?
CIK: Ho cominciato a collezionare nello stesso momento in cui ho iniziato la mia attività economica, non so per quale motivo. Semplicemente, frequentavo le gallerie e compravo arte, imparando sempre di più su questo mondo. L’inizio della mia collezione è stato una sorta di regalo divino.
BDL: Come decide di collezionare il lavoro di un artista? Segue una sua scelta personale oppure è consigliato da amici o consulenti?
CIK: È una mia scelta. Ho buon occhio, ho collezionato per talmente tanto tempo che ormai mi reputo preparato. So quello che voglio.
BDL: Fa studio visit?
CIK: Cinque anni fa ho cominciato a collezionare arte inglese: Damien Hirst, Tracey Emin, Gary Hume. Quando sono andato nello studio di Tracey Emin ho visto un’opera che era finita solo per metà, ma già sapevo che la volevo. Un’altra volta sono andato nello studio di Marc Quinn e ho visto un lavoro finito solo al 60%. Gli ho detto: “Mark, per piacere fammelo avere!”. Di Damien Hirst ho acquistato la terza edizione di Blood Head e la seconda edizione di Hymn; poi, appena ho visto la scultura Charity nel suo studio, gli ho detto che doveva essere mia. E ho acquistato la prima edizione. All’inizio andavo a comprare i lavori di persona, ora ricevo molti consigli su quello che potrei acquistare. Ma in questo momento, dopo aver lavorato tanto, mi sono preso un periodo di pausa, per formare uno staff di persone che lavori per me. E non cerco più spasmodicamente opere d’arte.
BDL: Cosa l’ha portata ad aprire spazi per l’arte e quando ha iniziato ad aprirne?
CIK: Nel momento in cui l’arte ha incominciato a essere molto richiesta, il ruolo del dealer è cresciuto insieme ad essa. Prima funzionava un po’ come una bicicletta, bastavano due ruote: l’artista e il dealer. Oggi invece è più come una macchina, c’è bisogno di quattro ruote: artista/dealer, collezionista/museo, e un buono spazio. Cinque anni fa ho capito che avere un luogo dove esporre è molto importante per l’arte contemporanea, per darne la migliore presentazione possibile. Arario Gallery ha aperto la prima sede nel 1989, ma non aveva una buona posizione; così nel 1999 abbiamo chiuso la vecchia sede e nel 2002 ne abbiamo aperta una in un nuovo edificio a Seoul e un’altra a Pechino. Il prossimo novembre Arario aprirà uno spazio di circa 2.000 mq a New York, a Chelsea. Per me lo spazio è come una scultura, come un volto: se fai un occhio grande e poi non ti piace puoi sempre rimpicciolirlo; ma se lo fai piccolo non hai più la possibilità di ingrandirlo. Questa è la logica che uso per i miei spazi: se ho uno spazio piccolo non posso più trasformarlo, ma se ne ho uno grande, allora posso giocarci.
BDL: Si dice che i collezionisti e i curatori siano artisti mancati; lei contraddice questo detto. Come si sente a essere un collezionista, un gallerista e un artista allo stesso tempo?
CIK: È semplicemente successo. Le persone incominciano a considerarmi più come artista che come collezionista o gallerista. Io voglio esporre il mio lavoro, non importa cosa pensa la gente, andrò avanti sperimentando e provando cose nuove.
BDL: Si considera un bravo artista?
CIK: Realisticamente mi rendo conto che le possibilità di avere successo come artista sono poche, ma non mi rassegno [ride]. All’inizio usavo i pastelli, mi sono subito reso conto che era un mezzo adatto a me, perché puoi usarli direttamente sulla tela e “sentirli”. Da quando lavoro su tele grandi senza usare i guanti ho sempre la punta delle dita consumate. Voglio lavorare sodo, anche sapendo che potrei non diventare mai un grande artista. Sarà una decisione di Dio, ma io proverò.
BDL: Come crede di venir recepito dal pubblico? E che considerazione ha di se stesso?
CIK: Intorno a me vedo tantissimi uomini d’affari andare in bancarotta perché la maggior parte delle persone che ha successo diventa poi troppo sicura di sé, e questo porta a strafare. Potresti diventare troppo presuntuoso o non avere più considerazione degli altri, ad esempio di chi ti ha permesso di arrivare così lontano. Io sono il peggior nemico di me stesso. Questa è la ragione per cui, in questo momento, sto vivendo e lavorando su un’isola, perché credo di aver bisogno di fare un passo indietro. Ho bisogno di avere una prospettiva migliore, una migliore opinione della vita, e voglio evitare di diventare troppo presuntuoso o troppo avaro. Le persone mi riconoscono quando cammino per strada. Non voglio diventare una figura troppo pubblica, non sono un politico che ha sempre bisogno di incontrare persone. Per questo ora sto nell’ombra.
BDL: Come crede che vengano considerati gli artisti asiatici dal mercato occidentale?
CIK: L’arte contemporanea asiatica ha oggi molto a che fare con l’identità e l’originalità. L’Asia non ha una lunga storia in materia di arte contemporanea, abbiamo iniziato tardi, c’è un abisso tra noi e il mondo occidentale. Ma proprio in questo momento c’è anche molta attenzione verso gli artisti cinesi, indiani e coreani. Anche se la gente crede che sia solo una montatura, io sento che con il giusto supporto gli artisti asiatici possano essere riconosciuti internazionalmente.
BDL: Vuole fare quello che Charles Saatchi ha fatto con la Young British Art?
CIK: Penso di avere una lunga strada da percorrere prima di raggiungere i suoi traguardi. Lui è il grande Saatchi, io sono solo il normale C. I. Kim. Continuerò a supportare gli artisti per aiutarli ad affermarsi. Lo scorso gennaio ho organizzato una mostra intitolata “Our Magic Hour”, in cui ho invitato sei giovani artisti europei che non avevano mai esposto in Asia — Monica Bonvicini, Roberto Cuoghi, Ugo Rondinone, David Renggli, Markus Schinwald, Hans Op de Beek — perché volevo che i miei artisti “vedessero” e imparassero. Sento che questo è il mio dovere: porto avanti i miei affari per guadagnare così da poter supportare i giovani artisti. Vivere la vita come un sogno è per me un dono. Molte persone mi hanno aiutato ad arrivare così lontano, ora voglio restituire qualcosa e aiutare gli altri. Voglio lasciare qualcosa dietro di me.
BDL: Acquista opere d’arte in ogni Paese in cui va o prevalentemente in Inghilterra?
CIK: Se trovo dei buoni lavori li compro, ma adesso mi limito a un paio di dealer.
BDL: In questo momento nel suo museo c’è una mostra dedicata al suo lavoro da artista. Quando ha cominciato a fare arte?
CIK: Quando le persone mi chiedevano quale era il mio sogno, rispondevo che volevo diventare un uomo d’affari, non un artista. A volte sorprende anche me! Nessuno nella mia famiglia ha a che fare con l’arte e ancora oggi non so dire perché ho iniziato a dipingere. Non era qualcosa che avevo pianificato o che volevo fare da sempre. È successo. All’inizio ero sempre in banca a portare soldi da investire, ed ero sempre in rosso. Solo nove anni fa ho iniziato a guadagnare bene, ed è da quel momento che ho cominciato a lavorare come artista, perché avevo altre persone che seguivano gli affari assieme a me. Se non avessi dipinto mi sarei sentito molto stressato o malato. Da quando la mia passione per l’arte mi ha portato a fare arte, ho una vita migliore, una migliore prospettiva. Quando ho iniziato i miei affari come costruttore non ero ricco, ho incominciato da solo e volevo fare qualcosa di bello ma non potevo permettermi grosse spese, dovevo fare tutto io. Credo che questo mi abbia aiutato a diventare un artista. Quando lavoravo e viaggiavo per cercare spazi per il mio lavoro non possedevo una macchina fotografica e allora realizzavo degli schizzi. È così che ho incominciato a disegnare: per sopravvivere, non solo per fare qualcosa di bello. Nel 1987 o 1988 sono stato a Los Angeles e ho comprato una macchina fotografica Canon scontata del 30%. Da quel momento ho incominciato a fotografare.
BDL: Ha aperto un museo a Cheonan, una grande galleria a Pechino e una a Seoul. Sta aprendo un’altra galleria a New York e ha una residenza per artisti in una delle isole più belle della Corea. Cosa sta cercando di raggiungere, qual è il suo obiettivo finale?
CIK: In questo momento sto pensando a tre cose. La prima è la direzione che i miei affari prenderanno nei prossimi dieci anni. Devo guardare il futuro e prevedere cosa succederà. La seconda è trovare buoni lavori di artisti prima che diventino famosi e cercare giovani artisti che espongano nei miei spazi, in particolare artisti asiatici, con gli europei c’è molta competizione. La terza è fare qualcosa di bello come artista. Ho diverse cose da concludere… mi auguro di poter esultare!