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348 Mar-Apr 2020, Recensioni

23 Marzo 2020, 9:00 am CET

Olaf Breuning “We are all on the same boat” Galleria Poggiali / Milano di Marco Tagliafierro 

di Marco Tagliafierro  23 Marzo 2020
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Olaf Breuning, “We are all on the same boat”. Veduta della mostra presso Galleria Poggiali, Milano, 2020. Fotografia di Michele Alberto Sereni. Courtesy Galleria Poggiali Firenze / Milano / Pietrasanta.
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Olaf Breuning, “We are all on the same boat”. Veduta della mostra presso Galleria Poggiali, Milano, 2020. Fotografia di Michele Alberto Sereni. Courtesy Galleria Poggiali Firenze / Milano / Pietrasanta.
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Olaf Breuning, “We are all on the same boat”. Veduta della mostra presso Galleria Poggiali, Milano, 2020. Fotografia di Michele Alberto Sereni. Courtesy Galleria Poggiali Firenze / Milano / Pietrasanta.
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Olaf Breuning, “We are all on the same boat”. Veduta della mostra presso Galleria Poggiali, Milano, 2020. Fotografia di Michele Alberto Sereni. Courtesy Galleria Poggiali Firenze / Milano / Pietrasanta.
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Olaf Breuning, Don’t Worry, 2015. Stampa a sublimazione del colore su alluminio. 3 Ed. + 2 AP. 100 × 125 cm. Courtesy l’artista e Galleria Poggiali, Milano / Firenze / Pietrasanta.
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Olaf Breuning, You Can’t Teach Old Dogs New Tricks, 2018. C-Print, 6 Ed. + 2 AP. 122 x 155 cm. Courtesy l’artista e Galleria Poggiali, Milano / Firenze / Pietrasanta.
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Olaf Breuning, Happy Painters, 2018, C-Print, 6 Ed. + 2 AP. 122 x 155 cm. Courtesy l’artista e Galleria Poggiali, Milano / Firenze / Pietrasanta.
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Olaf Breuning, We Are All In the Same Boat, 2018. C-Print, 6 Ed. + 2 AP. 122 x 155 cm. Courtesy l’artista e Galleria Poggiali, Milano / Firenze / Pietrasanta.

Come si assesta il concetto di comunità oltre l’individualismo del digitale? “We are all on the same boat”, titolo della mostra di Olaf Breuning alla Galleria Poggiali, centra chirurgicamente uno dei temi sostanziali della contemporaneità. Quale idea di comunicazione tra le persone sopravvive nell’era dei social network? Questi ultimi possono essere considerati non luoghi? Si tratta di ambiti caratterizzati da una circolazione fredda o si può riscontrare una qualche sopravvivenza di comunicazione calda?

“Esistono dei non-luoghi che si pongono come luoghi di una nuova identità” ha spiegato l’antropologo francese Marc Augè nel corso della sua lectio magistralis al Quanto Basta Festival di Piombino, nel 2012. “Pensiamo ad internet e ai social network ad esempio, ma è importante chiedersi quale tipo di identità e comunicazione si crei attraverso questi mezzi”. Olaf Breuning risponde ideal-mente a questi quesiti con una mostra esplosiva, multimediale, con lo scopo di investigare i come e i perché le persone stanno ancora insieme e cosa le unisce, nonostante tutto. Un’emoticon riflettente re-gistra sulla sua stessa superficie il passaggio delle persone, mentre i disegni esposti trasfigurano attra-verso un nuovo espressionismo i caratteri della civiltà odierna. Ma sono le azioni tradotte dall’artista in segni che virano verso una sintesi astratta a significare le pulsioni più grottesche e naïf di un ritorno al contatto umano, dopo aver perso la dimestichezza che dovrebbe contraddistinguerlo. Breuning disegna un paese delle meraviglie, un teatro dei misteri che rivela, attraverso l’allegoria, quei passaggi indicibili delle relazioni tra gli individui – indicibili in quanto non esprimibili attraverso le parole.

In molte occasioni il modus operandi di Breuning è stato accostato, non senza una decisa cautela, a Quentin Tarantino, Paul McCarthy, John Carpenter; l’accostamento con quest’ultimo avvenne proprio per quanto dichiarato da Carpenter: “Opero molto sull’istinto; se mi sembra giusto lo faccio. Cerco di entrare in contatto con la pura creazione e i miei film di maggior successo sono usciti in quel modo. Non è qualcosa che posso analizzare”. Anche se, molto probabilmente, il più recente volto dell’artista è più vicino alla compostezza misteriosa, tragica e iperbolica del Parasite di Bong Joon-ho.

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