L’epilogo di una progettualità creativa, di una collaborazione professionale o di una relazione affettiva implica una doppia spinta emotiva. Come Giano Bifronte l’inizio è implicito nella fine, esattamente come la vita è di per sé inclusiva della sua dolorosa conclusione. Attraverso fedi di vario genere o mediante un impegno rigoroso e morale verso la vita stessa in ogni atto del suo trascorrere, agiamo affinché gli innumerevoli epiloghi che costellano il nostro percorso vengano il più possibile accompagnati da piccole ritualità. Questo rende possibile il cambiamento e accogliere anche ciò che la stessa fine porta con sé, il germe di un nuovo esordio.
Piero Golia – classe 1974 – ha da poco inaugurato il progetto conclusivo di una trilogia performativa tutta romana, iniziata nel 2002 a Villa Medici, proseguita nel 2016 nella stessa Accademia di Francia e approdata oggi a La Fondazione, spazio no profit della Fondazione Nicola Del Roscio.
L’azione è stata concepita per i nuovi ambienti della capitale, aperti lo scorso settembre e che si pongono nel panorama romano come via alternativa sia alle istituzioni pubbliche sia alle gallerie private. Posta nel basement del palazzo degli anni Venti costruito da Firouz Galdo, un tempo sede del celebre teatro di varietà Florida e oggi di Gagosian Gallery, La Fondazione si è già distinta in questi mesi per una programmazione – a cura di Pier Paolo Pancotto – in cui l’originalità degli interventi e il coinvolgimento di artisti di successo all’estero ma poco esposti in Italia sono i caratteri distintivi. A questi si aggiunge una project room dedicata ad artisti emergenti e un ricco programma collaterale.
Nell’ovale centrale dello spazio, fulcro dell’impianto architettonico dell’intero edificio, gli spettatori hanno assistito, lo scorso 18 gennaio 2020, a un’azione inizialmente lenta e rumorosa che per quattro ore ha accompagnato la loro entrata e il loro passeggiare colmi di aspettative. Un gruppo di operai si è alternato nell’uso del martello pneumatico nel perforare a terra a lettere capitali la scritta “THE END”. Nonostante l’intenso rumore, l’azione ha catalizzato la curiosità e l’emotività del pubblico divenuto attivo nell’atto stesso della lettura della scritta, associandola inevitabilmente a personali o collettive fini. La perforazione, inoltre, solitamente sinonimo di distruzione, è stata in questo caso volta alla costruzione di una parola, di un significato e di un’opera d’arte.
Consapevoli dell’elemento musicale presente nelle precedenti performance della trilogia di Golia, l’attesa è cresciuta sino a raggiungere un picco con l’apparizione di due trombettisti all’ingresso, che annunciano l’evento catartico finale in cui un coro è apparso e si è raccolto attorno alla scritta. Inevitabilmente disposti anche noi intorno al coro a formare un cerchio, ne abbiamo seguito la direzione e l’esecuzione di Sleep, opera del compositore statunitense Eric Whitacre con testo del poeta Charles Anthony. Impossibile trattenere la commozione di fronte a qualcosa che ha tutto il sapore e la consistenza di un atto finale. Una breve sospensione temporale in cui il coro ha accompagnato in un personale e liberatorio viaggio di resa, per salutare con dignità la fine e l’inizio.