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17 Luglio 2015, 1:11 pm CET

Postmodernismo. Stile e sovversione di Luigi Meneghelli

di Luigi Meneghelli 17 Luglio 2015
April Greiman e Jayme Odgers, Manifesto del Cal Arts (California Institute of the Arts), 1978. Cromolitografia offset.

 

April Greiman e Jayme Odgers, Manifesto del Cal Arts (California Institute of the Arts), 1978. Cromolitografia offset.
April Greiman e Jayme Odgers, Manifesto del Cal Arts (California Institute of the Arts), 1978. Cromolitografia offset.

Più che un movimento, un fenomeno culturale; più che una tendenza, un’atmosfera sociale. La mostra, che arriva al Mart  dal Victoria & Albert Museum di Londra, tenta di focalizzare le forme, gli effetti, i tempi di una sensibilità che non ha un vero inizio e certamente non ha (ancora) una vera fine. Se da una parte sembra rovesciare i postulati evoluzionisti e radicali del Modernismo, rivendicando nostalgie passatiste, sogni di innocenza, citazioni disinibite, dall’altra non ha nessuna necessità di rompere, dato che il suo obiettivo è proprio quello di uscire dall’era delle rotture. Essa sviluppa una infinita mescolanza di generi, di stili, di registri. Basterebbe prendere come esempio il film Blade Runner di Ridley Scott, dove originale e replica sono presi in un unico “destino”, o la bellezza androgina di Grace Jones fotografata da Jean Paul Goude, trasformata in un perfetto “arabesco” possente e iperreale. È la realizzazione del più sorprendente montaggio di segni che si possa immaginare: è il trionfo della posa, del simulacro, dello spettacolo esibito. È la cultura “erudita” che si mescola  a quella “popolare”, da sempre caratterizzata da maggior spontaneità, autenticità, naturalezza. Così Laurie Anderson appare come una cantastorie sensuale e infantile che recita aforismi, aneddoti, sogni, dove ogni logica è andata in frantumi, e Cindy Sherman come un camaleonte che fa ricorso a un corpo plurale giocando sul fragile confine tra arte-vita-identità. L’essere e il mondo sono insomma ricomposti secondo il personale capriccio, nel qui e nell’ora di un desiderio liberato e assoluto. Nel campo dell’arte, della musica, della moda, ma soprattutto dell’architettura e del design. Dichiarò Ettore Sottsass: “Sono molto innamorato dei ruderi. Perché, di nuovo, sono ciò che ci rimane, ciò che l’ignoto ci concede di pensieri, di progetti, di speranze”. Il discorso postmoderno richiede non la negazione del già detto o del già fatto, ma la sua citazione ininterrotta, non l’abdicazione al progetto, ma un’azione “in uno stato di spreco, di indifferenza disciplinare”. Argomento esaurito, oggi? O non piuttosto questione arrivata al suo compimento, al suo esito diffuso, combinato con tutti gli aspetti del vivere?

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