Gentrificazione, displacement, ibridazione culturale, sono i temi attorno ai quali ruota la mostra “Via San Gennaro” di Sonia Leimer allestita al MAN di Nuoro.
Leimer, che da anni indaga con vari media il rapporto tra comunità, paesaggio urbano e ambiente, ha studiato per circa un anno gli effetti della gentrificazione e della speculazione edilizia sulla comunità italo-americana di Little Italy, a New York, e sul paesaggio urbano.
Il suo progetto, vincitore del bando Italian Council e sostenuto dalla partnership tra il MAN di Nuoro e l’ISCP di New York, porta il titolo dell’omonima festa del patrono di Napoli, tuttora celebrata nel quartiere della Lower Manhattan, di cui esplora con disegni, sculture e video il passato, il presente – segnato dall’espansione della vicina Chinatown – e il futuro.
Attraverso gli acquerelli e le cianografie su carta che ritraggono coni stradali, segnaletiche e idranti, e alcune sculture realizzate con materiali come acciaio e asfalto, tipici dell’edilizia urbana, l’artista interpreta l’oggetto urbano – ritratto senza sfondo e in posizione centrale sulla carta e assemblato in forme dinamiche nelle sculture – come un’entità viva che, con forme alterate o inedite, riflette i mutamenti della comunità.
Dalla sottrazione dell’area ai Lenape da parte degli europei nel XVII secolo, alle ondate migratorie provenienti dal sud Italia alla fine dell’Ottocento, fino alla recente espansione della comunità cinese della vicina Chinatown, la storia di Little Italy è infatti una storia di mutamenti. La sostituzione della comunità italiana con quella cinese è al centro delle opere Untitled I (2019) e II (2019) e di una serie di sculture che portano il nome delle vie principali del quartiere: le prime sono il risultato dell’assemblaggio di tende parasole con scritte commerciali italiane e cinesi, mentre le seconde sono costituite da grandi rotoli di carta provenienti da una tipografia di Chinatown, sui cui lati sono stampate vecchie fotografie di Little Italy.
Gli oggetti creati da Leimer, d’ispirazione concettuale, sintetizzano il carattere ibrido del quartiere, congelato nel momento in cui una comunità sostituisce l’altra.
Il corto che completa la mostra – a metà tra documentario e fiction, realizzato in collaborazione con Cooper Union, New York – racconta invece la storia dei Manteo, famiglia di immigrati italiani che a partire dagli anni Venti si è esibita a Little Italy con il teatro dei pupi, le tipiche marionette siciliane, e specula sul futuro del quartiere, destinato a soccombere al fenomeno del displacement.
Nel film Orlando il Furioso, il pupo di punta degli spettacoli dei Manteo, è narratore e alter ego dell’artista: mosso dal suo attuale padrone, il regista ed erede spirituale della famiglia Tony De Nonno, e con la voce prestata da un attore, osserva come la Little Italy dei Manteo – la cui storia esemplifica il desiderio di ogni immigrato di portare con sé usi e tradizioni della terra d’origine – sia ormai scomparsa, inglobata da Chinatown. La marionetta ha poi una visione del futuro in cui si staglia una Little Italy deserta, con Mulberry Street, suo cuore pulsante, con solo dei monumenti a ricordo delle comunità che l’hanno abitata.
Dal corto, dalle atmosfere quasi surreali, emerge la percezione della città come un organismo vivente destinato a mutare in continuazione sulla spinta dei fenomeni sociali. A differenza di Orlando però, che sembra accettare con amarezza i cambiamenti, il lavoro di Leimer esprime senza intento retorico la convinzione che la pratica artistica, come strumento di osservazione dei fenomeni sociali e attraverso la sensibilizzazione e la raccolta di memorie, possa costituire un mezzo di resistenza alla gentrificazione.