Spinnerei è una grande area di archeologia industriale nella zona ovest di Lipsia che negli ultimi anni è diventata un quartiere culturale di rilevanza globale, le cui inaugurazioni più importanti attraggono più di 10.000 collezionisti e operatori del settore da tutto il mondo. Tutte le principali gallerie che rappresentano oggi gli artisti della Scuola di Lipsia sono localizzate qui e nuove gallerie internazionali continuano ad arrivare. Spinnerei ospita naturalmente anche molti studi di artisti, tra cui, ancora una volta, molti dei protagonisti della Scuola di Lipsia, ma anche laboratori artigianali, esercizi commerciali di vario genere e persino un call center. Un’area di 70.000 mq di superficie coperta utile che viene gradualmente riconvertita senza un euro di contributo pubblico. Un’area che, in pochi anni, è divenuta una meta regolare degli opinion leader del contemporaneo. Un miracolo o “soltanto” una lucida comprensione delle nuove opportunità di sviluppo offerte dall’arte? Ne parliamo con Bertram Schulze, amministratore delegato della società che gestisce Spinnerei e vera mente strategica di questa operazione.
Pierluigi Sacco: Come è iniziata la storia di Spinnerei?
Bertram Schulze: La storia di Spinnerei parte da una ricerca di mercato che dimostrò la profittabilità di produrre in Germania, alla fine dell’Ottocento, certi filati di cotone piuttosto che importarli dal Regno Unito o dalla Svizzera, come si usava fare a quel tempo. La società fu fondata nel 1884 e la costruzione degli impianti cominciò nel 1885. Il successo fu tale che si aggiunsero nuovi edifici ogni 2-3 anni e ben presto la società cominciò a operare nel mercato internazionale e non più soltanto in quello interno tedesco. I successi seguitarono e l’impianto continuò a espandersi con edifici di tutti i tipi, magazzini, laboratori, uffici, fino a dare vita all’impianto per la filatura del cotone più grande dell’Europa continentale. È curioso come oggi il recupero dello Spinnerei proceda, senza che ce ne fosse l’intenzione, nella stessa sequenza della costruzione originale: siamo partiti recuperando gli edifici più vecchi e man mano stiamo passando ai più recenti, che oggi sono quelli ancora in stato di abbandono. Siccome la produzione richiedeva all’interno una temperatura costante di 23 gradi, gli edifici sono stati costruiti con pareti molto spesse e con un ottimo isolamento sul tetto che rende possibile riscaldarli e climatizzarli con un dispendio energetico relativamente modesto, un fatto che si è rivelato molto importante per il nuovo uso dello spazio a prezzi ragionevoli. A noi non interessa offrire spazi troppo rifiniti e costosi ma, al contrario, intervenire il meno possibile e mantenere la loro autenticità storica. Col tempo Spinnerei ha perso la sua funzione produttiva originale e il processo è stato accelerato dal crollo del Muro di Berlino: negli anni della DDR qui lavoravano 4.000 persone, mentre negli ultimi tempi, alla fine degli anni Novanta, non ce n’erano più di 200-300. Non c’è mai stata una vera data di chiusura. Con la fine della DDR, Spinnerei fu venduta a un imprenditore tedesco occidentale interessato a produrre una mistura di cotone e caucciù che serviva per la fabbricazione dei copertoni delle auto. Questa produzione richiedeva però spazi ridotti; molti furono licenziati e molte parti del complesso rimasero abbandonate. Ma questo imprenditore accettò, già a partire dal 1992-1993, di affittare gli spazi inutilizzati a nuovi occupanti a prezzi molto ridotti, e molti di questi nuovi occupanti erano artisti. Lo stabilimento quindi non è mai stato davvero vuoto, c’è sempre stato un controllo sociale, il riscaldamento ha sempre continuato a funzionare, non ci sono mai stati vandalismi e questo credo sia stato molto importante. Quando anche questa produzione non è più stata economicamente conveniente, l’imprenditore ha messo la proprietà sul mercato e noi, nel 2001, l’abbiamo comprata. Venivamo da un’esperienza precedente che era stata un successo, anche se molto più piccola per dimensioni e molto meno connotata dal punto di vista artistico. A quel tempo il mercato immobiliare a Lipsia era in piena crisi, dopo un periodo di boom, e questo per noi è stato decisivo: siamo riusciti ad avere tutto per circa due milioni e mezzo di euro di allora, che non sono pochi ma certo nemmeno molti per un complesso di queste dimensioni, cioè più di 100.000 mq di superficie complessiva. L’abbiamo pagata, alla prova dei fatti, più o meno 25 euro al mq.
PS: Ci sono singoli appartamenti a Londra che costerebbero molto di più…
BS: In certe zone di Londra quella somma non basterebbe nemmeno per comprare un appartamento, certo, ma lì potresti rivendere a cifre ancora più alte dopo un anno a qualche acquirente russo. Da noi le cose sono un po’ più difficili. Quando siamo partiti non ci aspettavamo di arrivare dove siamo ora. Non è che se vai da una banca e dici che hai un grande complesso industriale pieno di artisti squattrinati, questa corra a darti dei soldi. Nessuna banca lo farebbe, e infatti abbiamo dovuto fare da soli, investendo tutto in proprio con le nostre magre risorse. I primi 2-3 anni sono stati molto difficili, ci siamo limitati ad affittare spazi a prezzi molto bassi senza nemmeno poterci sostenere con la produzione, come aveva fatto il proprietario precedente. Ma eravamo consapevoli del potenziale fantastico di questo posto, delle sue dimensioni, della sua storia. E anche i nostri inquilini erano molto interessanti. Avevamo all’incirca 50 artisti e 8.000-10.000 mq di superficie occupata. Abbiamo parlato del futuro di Spinnerei con gli occupanti precedenti e sono orgoglioso di poter dire che non abbiamo dovuto mandare via nessuno, tutti si sono integrati nel nostro progetto. In genere accade ben altro: i vecchi inquilini vengono sbattuti fuori e si affitta a prezzi più alti ai nuovi arrivati. Da noi nulla di tutto questo è avvenuto: ci interessava creare una massa critica di personalità creative che vivevano e lavoravano lì. Nel 2001, inoltre, il successo della Scuola di Lipsia cominciava a manifestarsi. Neo Rauch stava diventando rapidamente un artista importante e aveva il suo studio da noi, così come altri artisti più giovani che però seguivano rapidamente le sue orme. Era chiaro che, con tutti questi artisti così promettenti, si sarebbero potute portare nella proprietà anche le gallerie. Abbiamo cominciato a parlare con Eigen+Art all’inizio del 2004 e a metà di quell’anno avevamo già firmato un contratto con loro. Inizialmente volevano occupare un grande spazio dalle caratteristiche quasi museali, l’edificio 12, ma sarebbe stato troppo costoso risistemarlo nel modo opportuno, e quindi hanno scelto un’altra soluzione, meno ambiziosa ma sempre molto vasta, nell’edificio 3. Non appena le altre gallerie hanno capito che la galleria leader si sarebbe spostata da noi si sono mosse tutte in pochissimo tempo. È stato quindi subito molto chiaro che portare qui Eigen+Art fosse un’ottima idea. E con la stessa logica abbiamo fatto una proposta a Wolfgang Boesner, che possiede un’importante catena di negozi di materiali per artisti, e anche lui, a fronte della nuova situazione, in poco più di un mese ha deciso di venire e di occupare 2.000 mq. Questi impegnativi lavori di rinnovo sono stati resi possibili anche grazie a un programma speciale per l’impiego che ci ha permesso di utilizzare una notevole quantità di forza lavoro, a quel tempo disoccupata, a costo zero per noi. La ristrutturazione ha inciso sul nostro bilancio soltanto per quanto riguarda i materiali di costruzione, ma non il costo del lavoro. Con questa ristrutturazione siamo riusciti a dimostrare che gli edifici potevano essere recuperati molto bene offrendo ottime sistemazioni, e a quel punto in molti si sono convinti che valeva la pena venire da noi e pagare l’affitto.
PS: Quindi all’inizio del 2005 il primo nucleo di gallerie si era già insediato…
BS: Esatto. Le prime sei gallerie hanno aperto il primo maggio del 2005. Prima di allora c’era solo uno spazio non profit, chiamato b2, che oggi è una galleria privata con lo stesso nome e che sta ancora presso di noi ma in un altro spazio. Sono stati dei pionieri, sono arrivati troppo presto e per diverso tempo sono rimasti soli…
PS: E quando sono arrivate le gallerie straniere?
BS: Un po’ di tempo dopo. Ma ricordo ancora il momento in cui sedevo con i proprietari della nostra società nel caffè dello Spinnerei e parlavo con loro della sistemazione dello spazio di Eigen+Art, che ci sarebbe costata la bellezza di 350.000 euro. C’erano molte cose da sistemare e i proprietari avevano diversi dubbi; inoltre, l’affitto che avremmo potuto chiedere non sarebbe stato alto, tutt’altro. Ma Judy Libke, il gallerista, venne al nostro tavolo e ci disse che se gli avessimo affittato lo spazio a quelle condizioni lui avrebbe fatto la nostra fortuna. Gli abbiamo creduto ed è andata proprio così, le altre gallerie sono arrivate subito e tutto è cominciato. A quel punto molte più gallerie volevano venire, ma abbiamo scelto secondo criteri qualitativi. Eravamo, naturalmente, interessati alle gallerie responsabili del successo della Scuola di Lipsia, ma allo stesso tempo non volevamo quelle che cercavano di trarre vantaggio da quella tendenza senza avere i mezzi per andare oltre, per sopravvivere alla moda. Non abbiamo preso tutto quel che ci capitava, siamo stati molto selettivi. Volevamo gallerie ben connesse alla scena locale ma anche a quella internazionale. Abbiamo, in un certo senso, mantenuto un atteggiamento curatoriale nei confronti della nostra politica di sviluppo, e questo si è rivelato decisivo. Ora naturalmente tutto diventa più facile, perché quando cominci a riempire gli spazi arriva sempre più gente interessante con proposte interessanti. E aumentano anche i servizi: tra poco, per esempio, avremo un laboratorio fotografico, di cui si sente un gran bisogno. Ciò che ci ha permesso di fare il salto a livello internazionale è stato l’interesse dei media. Con il successo della Scuola di Lipsia tutti hanno incominciato a parlare di noi, e anche le gallerie hanno contribuito moltissimo: grazie al loro lavoro Spinnerei è rapidamente diventata famosa in tutto il mondo dell’arte. Alla fine del 2005 il direttore di Pierogi, Joe Amrhein, che è anche un artista, aveva una mostra presso la galleria Dogenhaus. Vide il complesso e ci chiese se era disponibile uno spazio per la sua galleria da occupare per un anno. Ce l’avevamo e glielo abbiamo dato, e in seguito abbiamo stipulato con lui un contratto a lungo termine, quindi evidentemente si era trovato bene. C’è stato un articolo molto divertente sul New York Times che mostrava quanto costa qui annualmente affittare una galleria di 300 mq e cosa si ottiene a New York per la stessa cifra: un confronto fin troppo eloquente! Da noi puoi avere una galleria da 200-300 mq per un anno per la stessa cifra con cui si paga per 3-4 giorni uno stand in una fiera internazionale di livello. E qui trovi comunque molti degli artisti che espongono oggi nelle fiere migliori. È un posto che entra sempre più nelle agende dei viaggiatori internazionali dell’arte, ed è un buon posto in cui stare per le gallerie. Così sono arrivate anche le altre, come Fred di Londra o Kavi Gupta di Chicago. Nell’opening del primo maggio di quest’anno abbiamo ospitato per quattro giorni, negli spazi del nostro edificio 12, quindici gallerie internazionali attentamente selezionate e provenienti da tutto il mondo. Abbiamo già molte richieste di gallerie che vorrebbero essere qui per l’opening del primo maggio dell’anno prossimo e di quello ancora successivo. Magari con qualcuna di loro si parlerà di una presenza permanente, staremo a vedere.
PS: Una lezione da meditare attentamente… e ad maiora!